Adalbert de Vogüé

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Adalbert de Vogüé, O.S.B.
Presbitero
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Dom Adalbert de Vogüé
Titolo
Incarichi attuali
Età alla morte 86 anni
Nascita Parigi
4 dicembre 1924
Morte Abbazia de la Pierre-qui-Vire
14 ottobre 2011
Sepoltura
Appartenenza
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Vestizione [[]]
Professione religiosa 1948
Ordinato diacono
Ordinazione presbiterale
Ordinazione presbiterale 1950
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° vescovo di Roma
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al pontificato
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Extra Anni di pontificato


Cardinali creazioni
Proclamazioni
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Eventi
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Consorte

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Figli
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Collegamenti esterni
Invito all'ascolto
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Con studi fondamentali ha restituito all'occidente cristiano una porzione immensa del suo patrimonio spirituale.
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Adalbert de Vogüé (Parigi, 4 dicembre 1924; † Abbazia de la Pierre-qui-Vire, 14 ottobre 2011) è stato un presbitero e benedettino francese, grande studioso della Regola di San Benedetto e in generale delle origini del monachesimo.

Vita

Infanzia e vocazione

Nacque in una delle più antiche famiglie nobili di Francia, teneramente amato. All'età di dieci anni sentì la vocazione come una chiamata alla prospettiva della vita eterna:

« Fra tempo ed eternità nessuna misura possibile. Ciò che finisce doveva essere sacrificato o subordinato a ciò che dura per sempre. Dovevo fare della mia vita una preparazione, puntare tutto sul definitivo e sull'assoluto. La chiamata di Cristo a lasciare tutto per seguirlo era l'espressione di quella esigenza e di quella verità. Non esisteva altro da fare quaggiù e lo avrei fatto. »

A quell'età si immagina genericamente l'ingresso nella vita religiosa, forse da sacerdote, forse da missionario: "Lasciare tutto e andare il più lontano possibile nel dono di sé", scrisse.

Negli anni seguenti l'adolescente Adalbert fu folgorato da alcune parole delle lettere di Charles de Foucauld: "Immensa felicità di cui si gioisce al pensiero che Dio è Dio e che Colui che amiamo con tutto il nostro essere è infinitamente ed eternamente felice". A lungo ne custodì l'emozione. A diciassette anni subì l'influenza di John Henry Newman, di cui apprezzò l'unione fra l'intelligenza e la fede, fra l'estetica e la religione. Sognò di vivere un'esistenza di studioso a Oxford, la città di Newman, oppure a Roma presso l'Ateneo di Sant'Anselmo, che aveva visitato a quindici anni e che sarebbe diventato in seguito la sede del suo insegnamento.

Riferendosi al periodo dell'occupazione tedesca della Francia, quando frequentava la Sorbona, scrisse in seguito: "A Parigi, nel febbraio 1944, la frenesia della prossima liberazione rende lo studio difficile. Occorre arruolarsi nella resistenza o al servizio di Dio". Due mesi dopo, nell'Abbazia benedettina della Pierre-qui-Vire, iniziò il suo cammino nella vita monastica. La scelta dei benedettini fu dettata dall'attrazione per il loro ethos: "Desiderare la vita eterna con ardente brama spirituale"[2].

Monaco e studioso

Fu per lui facile staccarsi da quanto aveva nel mondo, come si evince da ciò che egli stesso raccontò del primo periodo in monastero: affermò di non sentire l'esigenza di scrivere a casa: se lo faceva una volta al mese era solo per obbedire all'abate che glielo aveva ordinato. Quelle sue lettere divennero chiamate alla vita monastica per i suoi genitori.

Dei primi cinque anni di vita nel monastero affermò: "(Le osservanze) mi procuravano reali costrizioni e io ringraziavo Dio per questo. La mia fondamentale disposizione era una incondizionata accettazione della vita comune fondata sulla regola di san Benedetto, com'era vissuta quando io entrai"[1].

All'Abbazia de la Pierre-qui-Vire fece la professione solenne nel 1948; nel 1950 fu ordinato presbitero. Ottenuto il dottorato in teologia a Parigi nel 1959, si dedica all'insegnamento sui Padri della Chiesa e il monachesimo antico al Pontificio Ateneo S. Anselmo in Urbe e presso il suo monastero.

Il primo appello alla riscoperta dell'antico monachesimo, di cui diventerà il maggiore esperto, gli giunge attraverso il teologo Louis Bouyer, che tenne un ritiro alla Pierre-qui-Vire nel 1949 e che attirò la sua attenzione sull'epilogo della regola di san Benedetto. Le parole del Bouyer gli spalancarono uno squarcio sui fondamenti scritturali e patristici della regola. Le opere dei padri della Chiesa si trovavano allora in grandi raccolte, in lingua originaria. Occorreva tradurle, inquadrarle nei rispettivi contesti e pubblicarle. Dato che ciascuna risaliva ai Vangeli e ne proponeva i fondamenti in rapporto ad altre, era necessario ricostruire il sistema dei rimandi, ove trovavano spiegazione reciproca. A tale impegno si votò Adalbert. Di quegli anni scrisse:

« Alla gioia di attendere alla verità e di compiere scoperte si aggiungeva la speranza di essere utile alla Chiesa, non solo portando qualche illuminazione alla ricerca, ma anche edificando ponti in due direzioni: quella del passato, ove Cristo è presente nei padri e quella del movimento scientifico contemporaneo, dove il suo spirito cerca di infondersi. Essere nella Chiesa dei nostri giorni un orecchio attento, ascoltando la voce di Dio che parla dall'inizio dei tempi, farsi carico di quel ruolo di antenna spirituale con tutti i possibili strumenti utili alla ricerca scientifica contemporanea, unire in me stesso le richieste della scienza moderna al tradizionale impulso di cercare Dio: queste alcune delle gioiose ambizioni che mi sostenevano mentre procedevo nei miei studi. »

Nel 1960 difese la sua tesi su La Comunità e l'Abate nella Regola di san Benedetto, che segna l'inizio della sua ricerca e delle sue numerose pubblicazioni sugli scritti monastici. La sua attività docente iniziò con i Padri della Chiesa. Fu professore al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo dal 1966.

Dal 1974 si ritirò in un eremo vicino al monastero dove era entrato e dedicò la sua vita a investigare la storia del monachesimo dalle origini, basandosi sugli scritti dei Padri e dei fondatori; ne furono il frutto i dodici volumi della Histoire littéraire du mouvement monastique dans l'antiquité ("Storia letteraria del movimento monastico nell'antichità")[3]

Si dedicò anche allo studio approfondito della Regola di san Benedetto, pubblicando tra l'altro La Regola di san Benedetto. Commento dottrinale e spirituale[4], tradotto in molte lingue, oggi punto di riferimento imprescindibile per lo studio dell'argomento. Pubblica anche La comunità. Ordinamento e spiritualità[5], Il monachesimo prima di san Benedetto[6] e San Benedetto. L'uomo e l'opera[7].

Negli ultimi anni della sua vita aveva spesso sottolineato la particolare importanza che egli attribuiva a un suo libro non specialistico, dedicato alla pratica del digiuno nella vita monastica e cristiana, Aimer le jeûne. L'experience monastique ("Amare il digiuno. L'esperienza monastica")[8]. La sua esperienza intellettuale di monaco, non disgiunta dalla sua continua ruminazione sul fine ultimo della vita cristiana, traspare anche in Desiderio desideravi[9].

È autore di edizioni critiche fondamentali delle più antiche regole monastiche occidentali, pubblicate in gran parte nella collezione delle Sources Chrétiennes, in particolare, della Regula magistri e della Regola di San Benedetto. Accanto a queste edizioni, per la stessa collana delle Éditions du Cerf aveva edito i Dialogi di Gregorio Magno e le opere monastiche di Cesario di Arles. Negli ultimi tempi stava lavorando a testi del monachesimo greco.

Il 13 ottobre 2011 uscì dal monastero per una passeggiata nella foresta e a sera non rientrò. Dopo otto giorni di ricerche, il 21 sera, i confratelli lo ritrovarono esanime lungo il fiume che scorre nei dintorni dell'abbazia de La Pierre-qui-Vire, dove viveva dall'età di vent'anni.

Valutazione

L'impegno di padre de Vogüé travalica la cinta claustrale. Egli è parte d'una costellazione di studiosi dediti a rileggere le fonti del cristianesimo con i criteri delle scienze umane; è uno degli esponenti di quell'intellighenzia del Novecento cattolico che ha accordato al pensiero della Chiesa una nuova universalità.

La sua opera libera la spiritualità monastica dalle angustie della celebrazione devota e rifonda il pensiero dei Padri rendendolo accessibile.

Il lavoro del padre de Vogüé richiama i contemporanei alle altezze dell'ideale monastico e a pratiche ascetiche e liturgiche che rischiavano l'oblio; assegna inoltre alla presenza femminile nella storia monastica il posto che le è dovuto.

Adalbert de Vogüé ha riconsegnato all'Occidente cristiano una porzione immensa ed essenziale del patrimonio spirituale che gli è proprio.

Opere

Note
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni