Missione ad gentes

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Emmanuel Pereira, Matteo Ricci (1610), uno dei più grandi missionari della Storia della Chiesa
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Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.
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La missione ad gentes è una delle dimensioni dell'attività della Chiesa; essa risponde al mandato di Cristo espresso in Mt 28,19-20 .

La missione è un aspetto essenziale della fede cristiana in quanto crede il messaggio di Cristo di importanza universale e considera tutte le generazioni della terra come oggetto della volontà salvifica e del disegno di salvezza di Dio o, in termini neotestamentari, considera il "regno di Dio" che è venuto in Gesù Cristo come destinato a tutta l'umanità[1].

La missione ad gentes

« si distingue dalle altre attività ecclesiali, perché si rivolge a gruppi e ad ambienti non cristiani per l'assenza o insufficienza dell'annunzio evangelico e della presenza ecclesiale. Pertanto, si caratterizza come opera di annunzio del Cristo e del suo Vangelo, di edificazione della chiesa locale, di promozione dei valori del Regno. »

Uso del termine missione

Spiritualità della missione
Il Cristo di Rio de Janeiro

« Ricordo quando arrivai la prima volta in Brasile nel 1972. Entrando in nave nella Baia di Guanabara e guardando verso la città di Rio di Janeiro, la prima cosa che mi si presentò agli occhi fu la grande statua del Cristo Redentore, che dalla collina del Corcovado sembra proteggere la città. Quel Cristo dalle enormi braccia spalancate mi diede un'impressione di accoglienza. Commosso, pensai: "Sono venuto in Brasile per annunciarlo, ma lui è già qui che mi aspetta". Questo pensiero ha sempre accompagnato la mia vita di missionario. Il Signore è presente nella storia, nella cultura, nel dolore dei popoli. Io, missionario, sono chiamato a condividere con i fratelli e le sorelle a cui sono inviato l'esperienza di Dio per un arricchimento reciproco. Sono un mendicante che incontra altri mendicanti e, insieme, cerchiamo l'unico tesoro, che è il Dio della vita, che costruisce il suo Regno tra tutti i popoli attraverso Cristo nella forza dello Spirito»
(Padre Franco Masserdotti, missionario comboniano e vescovo di Balsas, Lettera a Nigrizia scritta una settimana prima della tragica morte avvenuta il 17 settembre 2006[2])

La realtà della missione ad gentes è stata sempre presente nella storia della Chiesa anche se il termine "missione" riferito in senso tecnico all'opera di evangelizzazione in ambienti non ancora cristianizzati risale al XVI secolo[3].

Prima dell'uso di "missione" la Chiesa si servì di altre espressioni per indicare la stessa realtà: "Dilatatio fidei", "Propagatio fidei", "Evangelii Praedicatio", "ministerium Verbi", "Procuratio salutis", "Convocatio gentium", "Praedicatio apostolica"[4]. Parallelamente, per indicare i "missionari" si usarono queste espressioni: "operarii aut ministri Sancti Evangelii", "peregrinantes pro Christo", "nuntii evangelii", "proficiscentes ad infedeles convertendos", "ministri Christi in gentibus" ecc.[5]

Gli storici spiegano l'inizio dell'utilizzo del termine "missione" facendo riferimento a Ignazio di Loyola che propone alla Compagnia di Gesù il "voto de las misiones", cioè la disponibilità dei suoi membri ad accettare qualsiasi destinazione e compito o "misión" in qualsiasi luogo o territorio o "división". In effetti il termine negli scritti di Ignazio era sinonimo di "obbedienza" e indicava l'invio da parte dell'autorità competente e il luogo dove svolgere tale incarico, senza nessuna specificazione, però, circa il luogo o i destinatari[6].

Progressivamente all'interno stesso della Compagnia si iniziò ad applicare il termine "missione" ai ministeri che implicavano una distanza dal luogo di residenza e un accentuato dinamismo apostolico che spingeva all' itineranza[7].

Il termine già agli inizi del 1600 uscì dall'ambito della letteratura gesuitica e si diffuse velocemente, fino al punto che "missioni" sarebbe equivalso a "missioni estere", in particolare attraverso i carmelitani riformati i quali nella riflessione su quali direzioni dare alla loro riforma si interrogavano sugli aspetti contemplativi e apostolici della riforma teresiana. Padre Giovanni di Gesù Maria, ad esempio, scrisse tra il 1604 e il 1605 ben tre opere sulla missione[8] e il padre Tommaso di Gesù diffuse il termine fuori dall'ambito carmelitano con le sue due opere Stimulus missionum sive de Propaganda a religiosis per universum orbem fidem (Roma 1610) e De procuranda salute omnium gentium (Anversa 1613).

L'accoglienza ecclesiale del termine dipese dai legami che i padri carmelitani ebbero con la curia pontificia[9]. Nel 1599 Clemente VIII aveva istituito una Commissione di nove cardinali che doveva gestire i problemi della missione e della conversione degli eretici[10]; in questa iniziativa non solo i carmelitani furono presenti ma fu carmelitano Pietro della Madre di Dio, il "superintendens missionum" o segretario generale per incarico del quale Giovanni di Gesù Maria scrisse i suoi lavori. Anche per questi motivi il termine "missione" entrò nel linguaggio pontificio: Paolo V lo utilizzò nella bolla di erezione della Congregazione di S. Paolo apostolo per le missioni (Onus pasto­ralis officii, del 22 luglio 1608). La Congregazione de Propaganda Fide, sorta nel 1622, utilizzerà il temine "missioni" in un significato comprensivo della conversione dei pagani e degli eretici e della pastorale straordinaria presso i cattolici (missioni popolari, ad esempio)[11].

« Il termine "missione", preso dal contesto e dal significato fornito dai gesuiti, fu utilizzato quindi per indicare l'apostolato iniziale presso i paesi non credenti in Cristo. (..) È proprio in questo periodo dei primi anni del XVII secolo che il termine missione acquista il suo diritto di cittadinanza nella terminologia ecclesiastica per designare le nostre odierne missioni estere. »
(Walter Insero, La chiesa è "missionaria per sua natura" (AG 2): origine e contenuto dell'affermazione conciliare e la sua recezione nel dopo Concilio, Roma 2007, 37.)

Così si esprime Bosch inserendo il termine nel contesto del suo inizio e della sua prima diffusione:

« Il nuovo termine, "missione", è legato indissolubilmente, dal punto di vista storico, all'epoca coloniale e all'idea di un incarico magisteriale. Il termine presuppone una chiesa stabilita in Europa che invia delegati a convertire i popoli d'oltremare e costituisce, in quanto tale, un fenomeno collaterale all'espansione europea. »
(David Bosch, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia, Brescia 2000, 321.)

Storia

La storia della missione ad gentes si intreccia e si confonde con la storia stessa della Chiesa[12]. Le opere di storia delle missioni dell'Ottocento, risentendo eccessivamente del metodo apologetico, furono più attente alla celebrazione delle glorie dei missionari piuttosto che alle informazioni documentarie[13]. Grazie alla facoltà di Missiologia di Münster nel 1924 fu prodotto il primo lavoro scientifico ("secondo le fonti") di parte cattolica sulla storia delle missioni a opera di Joseph Schmidlin[14] seguito da altre opere scientifiche impostate secondo l'ordine cronologico e geografico delle missioni[15]. Recentemente la storia delle missioni è stata affrontata con un'impostazione più teologica in opere di missiologia che privilegiano l'analisi di "modelli" o "paradigmi" missionari rispetto alla scansione geografica e cronologica[16].

Dal I al III secolo

"Paolo luce delle genti" di Maria Pia Redivo, allieva della Glikophilousa della diocesi di Locri-Gerace, (tempera su tavola, 50x40)[17]
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Storia della Chiesa del I secolo

Negli anni immediatamente successivi alla Pasqua l'impegno missionario della chiesa primitiva fu indirizzato principalmente a Israele anche se non mancarono proseliti provenienti dai gentili.

La comunità di Antiochia, soprattutto grazie all'opera di Paolo e Barnaba, aprì già intorno al 40 le prospettive della missione cristiana a una dimensione universale accogliendo senza distinzioni ebrei e gentili. Le tensioni con la Chiesa di Gerusalemme circa il ruolo dei gentili furono chiarite nel cosiddetto Concilio apostolico (o Concilio di Gerusalemme) (47 o 48). La guerra giudaica (66-70) e la distruzione di Gerusalemme (70) portarono a un progressivo irrigidimento del giudaismo farisaico che rese prima difficile la partecipazione dei giudeo-cristiani alla vita della sinagoga e infine, intorno all'85, impossibile dopo la promulgazione delle Diciotto benedizioni che anatemizzavano i cristiani e gli eretici[18]. La missione della Chiesa primitiva, dunque, pur non dimenticando la necessità della missione ai Giudei e la priorità permanente di Israele, si rivolse prevalentemente ai gentili.

La veloce diffusione del cristianesimo avvenne per "osmosi" affidata alla predicazione itinerante e alla spontaneità dei normali rapporti personali e sociali dei singoli cristiani[19]:

« I missionari più numerosi non furono i maestri di perfezione, ma spesso i più semplici tra i cristiani con lo spettacolo di fedeltà e di forza che essi davano al mondo »
(Adolf von Harnack, Missione e propagazione del cristianesimo nei primi tre secoli, Cosenza 1986, 276 (orig. tedesco 1902).)

In questo primo periodo della storia della Chiesa l'attività missionaria fu spontanea, nel senso che nasceva dalla naturale esigenza di comunicazione della fede cristiana e nel senso che non c'era nessuna tattica predisposta di proselitismo. Le persecuzioni e il martirio più che indebolire o frenare l'espansione cristiana la rinvigorirono conferendo ancor di più agli occhi dei pagani un'autorevolezza che veniva dalla testimonianza dell'amore universale. Il frutto di questa prima espansione missionaria fu la nascita di comunità cristiane che si rendevano progressivamente autonome con la costituzione di una propria gerarchia.

Dal IV al XIII secolo

Ambito romano, San Silvestro riceve in omaggio da Costantino le insegne imperiali (1246 - 1254), affresco; Roma, Complesso monumentale dei Santi Quattro Coronati

Con il riconoscimento ufficiale e la libertà di culto promossa da Costantino e Teodosio la Chiesa fece i conti col massiccio ingresso di neofiti dovuto all'identificazione tra cristianesimo e impero. In un impero ormai ufficialmente cristiano si fece strada la necessità di raggiungere i popoli estranei all'impero[20].

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Evangelizzazione dei popoli germanici

L'evangelizzazione e le conversioni dal IV secolo in poi non furono più il risultato di testimonianza personale e persuasione. Si trattò, soprattutto per i popoli germanici, di conversioni di massa conseguenti alla conversione dei capi. La stretta unione fra la vita dello Stato e il culto religioso, che caratterizzava questi popoli, fece sì che la loro conversione al cristianesimo non fosse solo un atto religioso, ma anche un atto sociale e politico.

Il primo popolo germanico che abbracciò il cristianesimo (di matrice ariana, però) durante la sua migrazione verso l'area mediterranea fu quello dei Visigoti. Un altro popolo, la cui conversione segnò la storia dell'Europa, è quello dei Franchi, grazie al battesimo di Clodoveo I. I Longobardi si convertirono grazie soprattutto al papa Gregorio Magno. Particolarmente lunga e ardua fu l'evangelizzazione dei Sassoni, contro i quali Carlo Magno combatte un'atroce guerra, iniziata nel 772 e conclusa solo oltre trent'anni dopo.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Evangelizzazione dei popoli slavi
Cirillo e Metodio, evangelizzatori dei popoli slavi, icona russa del XVIII-XIX secolo.

Per quanto riguarda l'evangelizzazione dei popoli slavi, essa avvenne in un contesto di concorrenza tra l'impero greco e il nuovo impero proclamato da Carlo Magno. Le missioni di Cirillo e Metodio, che fin dall'inizio ebbero come destinazione Roma, intendevano ricomporre la piena unione visibile tra le Chiese di Roma e Costantinopoli.

L'iniziativa fu assunta dai principi e dall'imperatore, l'adesione al cristianesimo dei quali aveva una rilevanza sociale, civile e religiosa insieme. II potere politico imponeva la nuova fede con lo stesso criterio con il quale emanava le leggi dello Stato.

La scelta del modello occidentale di cristianesimo o, all'opposto, di quello orientale esprimeva, così, la volontà di aderire all'una o all'altra sfera d'influenza politica.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Storia del monachesimo occidentale
Sant'Agostino di Canterbury mandato da papa Gregorio Magno a evangelizzare la Britannia, in un'immagine del Liber Chronicarum (1493)
San Bonifacio battezza i sassoni e Martirio di San Bonifacio, dal Sacramentario di Fulda (XI secolo)

Se l'opera di cristianizzazione dei popoli germanici e slavi vide protagonisti i principi e il potere politico sotto la responsabilità del Papa e si realizzò con metodi militari e coercitivi, l'evangelizzazione vera e propria fu opera del monachesimo:

« Anche se le comunità monastiche non erano intenzionalmente missionarie (cioè create avendo per scopo la missione), erano permeate da una dimensione missionaria. Anche senza saperlo e senza proporselo intenzionalmente, la loro condotta era totalmente missionaria. »
(David Bosch, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia, Brescia 2000, 328.)

Il monachesimo dal V al XII secolo salvò il cristianesimo dalle ambiguità che l'alleanza con il potere civile comportò per la Chiesa medioevale[21].

Un ruolo significativo per la missione ebbe il monachesimo irlandese (o celtico), San Colombano, in particolare. Il monachesimo benedettino condivise con quello celtico una forte enfasi escatologica e, pur essendo più realistico, si impegnò in imprese esplicitamente missionarie in maniera ancora più significativa dei monaci celtici.

Fu il papa benedettino Gregorio Magno, in effetti, il primo a concepire una "missione estera" pianificata mandando il monaco Agostino tra i pagani inglesi.

L'incontro tra il monachesimo celtico e quello benedettino diede vita a un monaco missionario, Bonifacio di Crediton, che riuscì a unire la predicazione itinerante a una solida organizzazione ecclesiastica[22].

In questo periodo della storia della Chiesa e della storia delle missioni uno dei principali problemi storiografici è l'analisi degli strumenti coercitivi usati per la diffusione del cristianesimo[23]. Il testo biblico di riferimento[24], usato esplicitamente o implicitamente per giustificare la coercizione al battesimo di pagani e giudei fu Luca 14,23: «Compelle intrare» ("E costringeteli a entrare") usato in questo senso per la prima volta da Agostino nella controversia donatista (in riferimento, però, agli apostati e non ai pagani). Se inizialmente la coercizione escludeva l'uccisione e si riferiva ai soli apostati, piano piano si fece strada, soprattutto con Gregorio Magno, l'idea di una "guerra giusta" (bellum justum) che preparasse indirettamente il terreno per la missione ai pagani. La guerra di Carlo Magno contro i Sassoni (772-804) fu la conseguenza di una progressiva teorizzazione del confuso legame tra religione e politica. Una volta battezzati, i Sassoni andavano incontro alla pena di morte se ritornavano alla loro fede tradizionale: era infatti inconcepibile per la mentalità dell'epoca credere alla loro lealtà politica se era in dubbio la loro lealtà religiosa. La "Capitulatio de partibus Saxoniae", d'incerta datazione, forse del 782, testimonia la violenta severità con la quale Carlo Magno intervenne nei confronti della religione tradizionale del popolo conquistato. La coercizione nell'attività missionaria non fu un fatto isolato ed estremo, perché la si userà ancora per molti secoli[25]; nella cristianizzazione della Norvegia, ad esempio, a opera di Olav II di Norvegia alla fine del decimo secolo e nella sottomissione della Sassonia orientale nel dodicesimo secolo.

Le crociate si collocano in questo contesto, anche se il loro scopo non fu "missionario" ma di difesa della Terra Santa, anzitutto e quindi dei territori cristianizzati, dall'aggressiva espansione islamica[26].

Nella Chiesa di questo periodo ci furono, però, anche figure e stili di missione che rifiutarono la violenza e la coercizione in materia di fede. Esemplare è la posizione di Alcuino di York il quale, ad esempio, cercò di mitigare e consigliare Carlo Magno circa i metodi di cristianizzazione dei popoli sottomessi; in una sua lettera così si esprime con chiarezza: «Absque fide quid proficit baptisma? Dicente apostolo: Sine fide impossibile placere Deo» (Senza la fede a che serve il battesimo? Dice infatti l'apostolo che senza la fede è impossibile essere graditi a Dio)[27]. Nelle missioni dei monaci celtici e benedettini, poi, solo pochi di loro fecero tentativi di convertire con la forza[28].

In questo periodo, la Chiesa subì una serie di profondi mutamenti:

« Dalla condizione di piccola minoranza perseguitata passò a quella di organizzazione grande e influente; da setta molestata si tramutò in vessatrice di sette; ogni legame fra il cristianesimo e il giudaismo venne spezzato; si sviluppò una stretta relazione fra trono e altare; l'adesione alla Chiesa diventa una cosa data per scontata; il ministero del credente fu in gran parte dimenticato; il dogma venne definitivamente fissato e portato a compimento; la Chiesa si adattò alla lunga posticipazione del ritorno di Cristo; il movimento missionario apocalittico della Chiesa primitiva cedette il passo all'espansione del cristianesimo »
(David Bosch, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia, Brescia 2000, 333.)

La predicazione missionaria itinerante

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Predicazione missionaria itinerante

Intorno all'anno mille la storia delle missioni registra un certo indebolimento dell'azione missionaria dovuto alle complesse condizioni della Chiesa di quel periodo (interferenze politiche, lotta per le investiture, feudalesimo ecc.). Si era fatta strada, inoltre, la convinzione che ormai l'Europa fosse già cristiana. Quello che restava da fare era difendersi dall'invasione islamica e cercare di espandersi agli estremi confini del nord Europa.

I primi fermenti in grado di scuotere la struttura fortemente sclerotizzata delle istituzioni ecclesiastiche, ormai del tutto inserite nell'organismo della società feudale, si manifestarono verso la metà dell'XI secolo a opera di movimenti popolari evangelicali. Lo stesso movimento di riforma della chiesa, noto con il termine complessivo di riforma gregoriana, dovette il suo successo, almeno nella sua fase iniziale, all'appoggio di vasti movimenti popolari.

La dimensione missionaria della Chiesa di questo periodo vide protagonisti soprattutto questi movimenti popolari guidati da personalità carismatiche che iniziarono a predicare ideali religiosi di riforma ecclesiastica e che si distinguevano per l'affermazione della povertà evangelica e per la predicazione itinerante[29]. Accanto a esperienze ortodosse (ad esempio Roberto d'Arbrissel e Norberto di Prémontré), ci fu­rono anche manifestazioni religiose di tipo ereticale (ad esempio Bogomili, Patarini, Catari, Valdesi ed Umiliati).

Di fronte a questi fermenti la gerarchia ecclesiastica reagì con varie condanne a partire dalla decretale Ad abolendam diversarum haeresium pravitatem approvata da Lucio III alla Dieta di Verona il 4 novembre 1184.

Il fatto che questi movimenti di predicatori fossero di diversa ispirazione portò Innocenzo III a una diversa reazione nei confronti dei vari gruppi rafforzando la repressione nei confronti di coloro che erano esplicitamente eretici e cercando di contenere i movimenti pauperistici-evangelici riconducendoli all'obbedienza cattolica.

Lorenzo Lotto, Predicazione di San Domenico, olio su tela, 1508

In questo contesto la Chiesa gerarchica promosse la vocazione missionaria alla predicazione itinerante di Francesco d'Assisi e di Domenico di Guzman per far fronte alla predicazione itinerante degli eretici, soprattutto catari e albigesi. Il XIII secolo vide, con la fondazione degli Ordini mendicanti, quindi, un rilancio dell'azione missionaria che fu caratterizzata dalla responsabilità diretta del Papa e dalla itineranza nelle nascenti città, tra gli eretici e i dissidenti.

Oltre alle missioni contro gli eretici, i Mendicanti si interessarono della questione musulmana affrontandola in modo diverso dall'impostazione "crociata" del tempo. Sia i Domenicani che i Francescani si resero conto che il metodo armato delle Crociate poteva difendere la Chiesa ma non convertire l'Islam. Per la conversione sarebbe stato necessario un approccio diverso: bisognava comprendere l'Islam, acquistarne la fiducia, replicare ai suoi argomenti e alla sua teologia con ragioni valide[30]. Esemplari di questo nuovo stile furono Raimondo di Peñafort, domenicano, che organizzò una scuola per le lingue arabe e che sollecitò Tommaso d'Aquino a comporre la Summa contra Gentiles (destinata ai cristiani e agli stessi missionari per avere argomenti adatti nelle dispute coi musulmani) e il terziario francescano Raimondo Lullo che patrocinò la causa missionaria dello studio delle lingue orientali per arrivare a conoscere meglio il mondo medio orientale e il musulmanesimo[31].

Dal XV al XVIII secolo

Carta Geografica Completa di tutti i Regni del Mondo stampato per la prima volta in Cina, nel 1602, da Matteo Ricci, su richiesta dell'Imperatore Wanli.

Nella seconda metà del XV secolo le nuove scoperte geografiche resero evidente alla Chiesa che esistevano ancora territori per i quali era necessaria la cristianizzazione. Quest'opera di cristianizzazione fu affidata ai Regni cattolici del Portogallo e della Spagna.

Con la bolla Romanus Pontifex di Nicolò V, del 1454, la Inter coetera (13 marzo 1456) di Callisto III e la Aeterni dirigete di Sisto IV (21 giugno 1481), il papato legittimava con fini religiosi le conquiste dei portoghesi in Africa e nelle "Indie". Dopo l'impresa di Cristoforo Colombo del 1492, però, papa Alessandro VI risolse pacificamente la vertenza geografica e politica tra Spagna e Portogallo con una serie di bolle: la prima, [[Inter coetera (3 maggio 1493)|Inter coetera]], datata 3 maggio 1493, fu una bolla di donazione, in quanto il pontefice concedeva ai sovrani spagnoli Ferdinando e Isabella le terre scoperte o da scoprire verso l'India. Il giorno dopo promulgò la seconda bolla, sempre chiamata [[Inter coetera (4 maggio 1493)|Inter coetera]], di spartizione, poiché tracciava una linea in cui assegnava i territori alle due Corone (la linea di demarcazione fu poi modificata con il trattato di Tordesillas). Con la Eximiae devotionis, sempre del 4 maggio, Alessandro VI concesse ai re di Castiglia e d'Aragona gli stessi privilegi pontifici riconosciuti anteriormente al Portogallo tra il 1454 e il 1481. A questi documenti seguirono i brevi Pii fidelium, del 23 giugno 1493 e Dudum si quidem, del 25 settembre dello stesso anno.

La Universalis Ecclesiae Regimini del 1508 di Giulio II investiva il re di Spagna di compiti apostolici fino a farne il suo delegato per la missione. L'investitura simile, per il Portogallo, fu fatta da papa Leone X, nel 1514, con la Pro excellenti praeeminentia[32].

Questi privilegi da parte del papato concessi ai sovrani portoghesi e spagnoli sempre in cambio dell'impegno a cristianizzare i territori occupati, portarono alla teoria del patronato regio (o vicariato regio) secondo il quale i re diventavano vicari del papa e assumevano piena autorità sulle chiese dei nuovi territori, fino a diventarne patroni. Concretamente i re di Spagna e Portogallo conferivano i benefici ecclesiastici, erigevano parrocchie e diocesi definendone i confini, controllavano e autorizzavano le partenze dei missionari in base alla nazionalità e alla lealtà politica. Il patronato portò fino al punto che gli stessi interventi del Papa non avevano valore nei territori di missione se non dopo l'approvazione regia. I re si sentivano investiti di una missione divina, ma la motivazione religiosa dell'attività missionaria da loro organizzata era evidentemente viziata da implicazioni politiche e commerciali.

Le missioni americane

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Evangelizzazione delle Americhe

I primi missionari che partirono per le Americhe agirono senza metodo nel tentativo di cristianizzare gli indigeni. All'inizio si trattò, in effetti, di una missione frettolosa e superficiale che utilizzava come strumenti il "requerimiento" e l'"encomienda".

Il "requerimiento" era una intimazione fatta agli indigeni ad accogliere la fede cristiana e a sottomettersi alla chiesa, al papa e al re, sotto la minaccia della guerra.

La "encomienda" era la struttura giuridica in base alla quale un "encomendero" riceveva il diritto di colonizzare un territorio e di commerciare con gli indigeni. Questi diritti erano molto vasti: comprendevano insieme a permessi commerciali, anche aspetti amministrativi, militari e religiosi per cui l'"encomendero" aveva il diritto di stabilire divisioni territoriali, di fondare città, di regalare territori ai propri dipendenti, di battere moneta, di dispensare giustizia e altro. Si trattava di un sistema feudale che permise uno spietato sfruttamento coloniale.

Solo successivamente si pensò la missione sul modello apostolico: occorrevano apostoli semplici, virtuosi e liberi da ambizioni e per questo si pensò agli ordini mendicanti, francescani, domenicani, agostiniani e mercedari.

Questi missionari seguirono il metodo della "tabula rasa": nella convinzione che le nuove terre costituissero un mondo dove l'opposizione alla fede e alla morale cristiana era assoluta ne conseguiva la necessità di distruggere ogni forma idolatrica per poter poi instaurare la fede[33].

Saranno i missionari della seconda e della terza generazione a ricorrere a metodi più evangelici e più fruttuosi con l'istituzione della "doctrina", della "congregación" e delle "reducciónes". Le "doctrinas" erano centri di istruzione, quasi delle scuole, che prestavano particolare attenzione alla istruzione religiosa; le "congregaciones" erano delle comunità che dovevano servire a favorire la conversione ma che, pur prefiggendosi di impedire la disgregazione delle comunità indigene, operavano secondo gli schemi e i valori occidentali.

Diverse furono le "reducciónes", che intendevano costruire una società ordinata e giusta, un mondo nuovo quale base di incontro tra il vangelo e la vita degli indigeni.

Lo stretto legame tra l'azione missionaria e quella politica alimentò diffidenza e ostilità verso i missionari e portò, infine, a uno scontro tra le ragioni socio-politiche della conquista e gli ideali dell'evangelizzazione[34]. La colonizzazione fu una forma di brutale conquista, emblematicamente segnata dal dramma della schiavitù. Nel 1537 il papa Paolo III autorizzò l'apertura del mercato degli schiavi di Lisbona; questo avvenne nonostante che, quello stesso anno con la bolla Veritas ipsa, lo stesso papa avesse ribadito, contro ogni obiezione, che gli indiani - cioè gli indigeni delle indie occidentali - erano anch'essi "veri homines".

Non mancarono, in questi contesti confusi, voci che seppero denunciare gli abusi dei "conquistadores" nei confronti delle popolazioni indigene (Matias Paz, Antonio de Montesinos, Bartolomé de Las Casas, Francisco de Vitoria, ad esempio).

Le missioni africane

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Evangelizzazione degli antichi regni africani

Il continente africano aveva già conosciuto fin dal I secolo il cristianesimo soprattutto nelle regioni settentrionali e in quelle della Nubia e dell'Etiopia[35].

Nel XV secolo iniziò la propagazione del cristianesimo nelle zone costiere grazie al re portoghese Enrico (1394-1460) il quale, nello spirito della "riconquista", decise di affrontare i saraceni sui loro territori. Evidentemente la "riconquista" portoghese aveva anche e soprattutto motivi economici.

Nel 1452 il papa Nicolò V lo autorizzò a conquistare i territori dei musulmani e dei pagani e lo riconfermò nel 1454 con la bolla Romanus Pontifex nella quale assegnava al Portogallo il diritto a tutte le future conquiste a sud di Capo Bojador "fino alle Indie". Questi privilegi furono affiancati in campo religioso dalla bolla [[Inter caetera (13 marzo 1456)|Inter coetera]] di Callisto III il quale concesse "per sempre" la giurisdizione ecclesiastica all'Ordine del Cristo nella persona del Gran Priore di Tomar. Dopo la morte di re Enrico il Papa acconsentì che la guida dell'Ordine fosse affidata al re del Portogallo così che anche la giurisdizione ecclesiastica passò alla corona.

Il cristianesimo portato in Africa dai navigatori e commercianti portoghesi tra il XV e il XVI secolo non attecchì, anche se in alcune zone i tentativi missionari andarono avanti fino al 1632 (data dell'espulsione dei gesuiti dall'Etiopia dove era stato tentato per circa 150 anni un avvicinamento della Chiesa etiope a quella romana), al 1807 (nel caso del Regno di Warri), al 1835 (nel caso del Regno del Kongo - corrispondente all'attuale Congo e Angola, dell'Impero di Mwene Mutapa - cioè le regioni degli attuali Zimbabwe e Mozambico - e della missione di Luanda). Nell'Africa orientale l'attività missionaria fu limitata alle aree islamizzate delle città-stato (ad esempio Malindi, Kilwa, Sofala, Mombasa, Barawa, Faza, Pate, Lamu, Zanzibar non andò oltre qualche iniziale tentativo d'evangelizzazione. Di tutti questi tentativi l'unico storicamente rilevante fu quello nel regno del Kongo grazie alla sincera conversione e all'opera di cristanizzazione di re Alfonso[36].

Il fallimento delle missioni portoghesi in Africa fu dovuto a vari motivi: la mancanza di una forza missionaria stabile e numerosa dovuta al clima malsano e alle malattie tropicali; l'identificazione tra patronato regio portoghese e la "Conquista" che portò a confondere, anche agli occhi degli indigeni, l'attività missionaria e quella politica, i difetti del metodo missionario che impedirono l'integrazione del Vangelo nella vita e nelle culture locali e infine - e soprattutto - il commercio degli schiavi al quale parteciparono attivamente i missionari portoghesi[37].

Le missioni in Asia

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Evangelizzazione dell'Asia
Peter Paul Rubens, Miracoli di San Francesco Saverio (1617 - 1618 ca.), olio su tela

Il cristianesimo, secondo la tradizione, era arrivato in Asia già nel primo secolo con l'apostolo Tommaso che dal 52 d.C. avrebbe fondato comunità dall'India dell'est fino al sud del Paese. Tra il III e il V secolo un ruolo fondamentale svolsero le comunità siriane che avevano come centro Edessa. In Cina già nel V secolo arrivarono cristiani persiani che resero poi possibile all'inizio del VII secolo la nascita della prima comunità cristiana che perdurò, durante la dinastia T'ang, per circa due secoli. Nel XIII secolo il Vangelo fu annunciata ai Mongoli[38] e, ancora una volta, ai Cinesi (per opera soprattutto di Giovanni da Pian del Carpine, Guglielmo di Rubruck, Odorico da Pordenone e Giovanni da Montecorvino), ma il cristianesimo quasi scomparve in queste regioni per una serie di cause, tra le quali l'insorgere dell'Islam, l'isolamento geografico, l'assenza di un appropriato adattamento alle culture locali e forse, soprattutto, la mancanza di preparazione a incontrare le grandi religioni dell'Asia[39]. Alla fine del XIV secolo si verificò un drammatico ridimensionamento della Chiesa in Asia, eccetto per quanto concerne la comunità isolata dell'India del sud.

I missionari Matteo Ricci e Adam Schall mostrano la carta della Cina, incisione dal frontespizio della China illustrata di Athanasius Kircher

La ripresa dell'espansione missionaria in Asia avvenne nel 1498 quando i portoghesi, grazie a Vasco da Gama, raggiunsero le coste indiane stabilendovi i primi avamposti commerciali e religiosi e stabilendo a Goa la sede del vicerè e dell'arcivescovo.

Le prime missioni, che non diedero grandi frutti, furono opera del clero secolare portoghese e degli antichi ordini religiosi.

Nel 1540, il re del Portogallo chiese l'intervento della nuova congregazione dei gesuiti e sarà con loro che la missione in Asia ebbe una svolta e un singolare sviluppo[40].

Francesco Saverio, responsabile del primo gruppo missionario di gesuiti, fu nominato da Paolo III legato pontificio per i domini portoghesi dell'Oriente; partendo da Goa, dove giunse nel 1542, dedicò il suo impegno alla evangelizzazione dell'India spingendosi fino in Giappone e in Cina: la morte lo colse nel 1552, a San-ch'-uan, un'isoletta di fronte a Canton, alle porte della Cina. Francesco Saverio aprì la strada alle missioni di Roberto de Nobili in India, di António de Andrade e Ippolito Desideri in Tibet e di Matteo Ricci in Cina.

L'eredità missionaria di Francesco Saverio fu presa in mano da Alessandro Valignano, nominato Visitatore generale delle Missioni affidate alla Compagnia di Gesù[41], che si estendevano dall'Etiopia all'India, a Malacca, alle isole Molucche, al Giappone e alla Cina. Valignano inviò Michele Ruggeri[42] e Matteo Ricci a Macao perché vi imparassero il cinese e si preparassero quindi a entrare in Cina[43]. Matteo Ricci si propose di svolgere il suo apostolato presso le classi colte mettendo così a frutto le sue conoscenze di matematica, scienza e filosofia; dapprima come bonzo buddista e poi come letterato confuciano, Ricci svolse la sua attività soprattutto presso la corte, in dialogo con la cultura confuciana e in opposizione a quella buddista e taoista. Alla sua morte, nel 1610, non lasciò molti convertiti ma ottenne che il cristianesimo fosse legalmente presente in Cina e che vi godesse di grande prestigio morale[44]. Il metodo di Ricci non fu condiviso dai suoi successori e soprattutto dai missionari domenicani, francescani, ma anche di altri ordini e congregazioni[45]: la "questione dei riti cinesi"[46] (così è conosciuta la complessa vicenda di comprensione del tentativo di inculturazione di Ricci e le contestazioni al suo metodo nate dopo la sua morte) si protrasse fino al 1742 quando, con la bolla Ex quo singulari di papa Benedetto XIV, fu praticamente decisa l'inaccettabilità dei metodi missionari iniziati da Ricci[47].

Vicenda analoga a quella del Ricci e della questione sui suoi metodi si verificò in India dove Roberto De Nobili, convinto che dovessero essere gli europei a adattarsi agli indigeni, permise ai cristiani la conservazione delle tradizioni che fossero a rischio di idolatria e di superstizioni ed egli stesso vive alla maniera dei sanyassi e dei brahamini. La dibattito sui riti malabarici si concluse nel 1744 con la bolla Omnium sollicitudinum di papa Benedetto XIV[48].

L'evangelizzazione dell'Asia tra il XVI e il XVIII secolo conobbe oltre al problema dei metodi missionari, la difficoltà dovuta ai contrasti tra le varie potenze europee che si contendevano le zone costiere per il controllo del commercio. Questi contrasti furono aggravati, dalla prima metà del XVII secolo, dalla nascita di Propaganda Fide che si pose in atteggiamento critico nei confronti dell'arroganza del patronato portoghese.

In India Propaganda decise di erigere territori propri come vicariati apostolici indipendenti dal patronato portoghese. Questa duplice giurisdizione creò confusione, conflitti, gelosie, nocendo gravemente alla missione. A partire dall'India tentativi missionari furono fatti nel Tibet, nell'India settentrionale, in Persia e in Birmania, ma con scarsi risultati[49].

Le missioni in Cina, attraversate dalla tensione della questione dei riti, furono portate avanti soprattutto dai gesuiti tedeschi e francesi e poi dai francescani spagnoli delle Filippine[50]. Anche in Cina il Portogallo cercò di far valere il patronato e ottenne dal debole Alessandro VIII nel 1690 i vescovadi di Nanchino e Pechino dipendenti dal patronato. A Pechino fino al XIX secolo coesistevano chiese cattoliche dipendenti dal patronato, quelle dipendenti dai gesuiti francesi (che Luigi XIV non volle mai sottomettere a nessun'altra autorità che non fosse francese) e quelle dei missionari di Propaganda Fide.

Le missioni in Giappone furono provate, dopo un inizio promettente, da una serie di persecuzioni[51] che culminarono con la chiusura agli europei (1614), missionari compresi.

Solo nelle Filippine i missionari spagnoli riuscirono a inserirsi nella vita del popolo indigeno fondando una chiesa locale realmente vitale. Anche se l'inizio della missione, nel 1521 con lo sbarco di alcuni Eremitani Agostiniani (che erano al seguito di Ferdinando Magellano il quale fu ucciso dagli indigeni), fu segnato dalla reazione delle popolazioni locali, dopo il 1564 con l'agostiniano Andrea di Urdaneta e la presa di possesso formale da parte della Spagna nel 1569 la diffusione del Vangelo non trovò ostacoli se non nei principati islamici di Jolo e di Mindanao. Nell'opera missionaria furono impiegati oltre agli Eremitani Agostiniani, i Francescani (1579), i Domenicani (1581), i Gesuiti (1581) e gli Agostiniani Recolletti (1606). Per il fatto della difficoltà delle comunicazioni con la madre patria, gli spagnoli considerarono poco le opportunità economiche e commerciali dei possedimenti filippini e i missionari poterono dedicarsi all'opera di evangelizzazione senza i problemi che c'erano stati nelle Americhe. Nel 1579 Manila divenne vescovado e già nel 1595 arcivescovado in modo che la chiesa Filippina iniziò ad avere una propria gerarchia. Il risultato delle circostanze geografiche e del lavoro missionario fu una nazione che dopo cinquant'anni di missioni era praticamente tutta cattolica, l'unica dell'Estremo oriente[52].

La nascita di Propaganda Fide (1622)

Gregorio XV, fondatore della Sacra Congregatio De Propaganda Fide, in un ritratto del Guercino
Urbano VIII, fondatore del Pontificio Ateneo de Propaganda Fide con annesso il Pontificio Collegio Urbano de Propaganda Fide per accogliere i seminaristi dei paesi di missione, in un ritratto di Gian Lorenzo Bernini
Prima spedizione missionari dei Salesiani per l'Argentina nel 1875.
Missionari in Cina alla fine del XIX secolo.
Daniele Comboni con Daniele Pharim Den Sorur, ex schiavo riscattato in Sudan, divenuto sacerdote dopo aver frequentato gli studi presso il Collegio di Propaganda Fide a Roma.
Annalena Tonelli, laica missionaria uccisa in Somalia nel 2003.
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Sacra Congregatio de Propaganda Fide

Il sistema del patronato regio aveva garantito la diffusione della Chiesa nelle terre colonizzate da Spagna e Portogallo. Col passare degli anni, però, la Santa Sede si rese conto degli inconvenienti della connessione e confusione tra colonialismo e missione anche a motivo delle ingerenze degli ufficiali statali negli affari ecclesiastici.

Papa Pio V nel 1568 tentò la costituzione di una commissione cardinalizia che presiedesse alle attività missionarie. Analogo tentativo fu fatto nel 1599 da Clemente VIII che aveva istituito una commissione di nove cardinali super negotiis Sanctae Fidei et Religionis Catholicae che avrebbe dovuto gestire i problemi della missione e della conversione degli eretici. Questa Commissione prenderà il nome di "Congregatio de Fide Propaganda" la quale, una volta sciolta, sarà sostituita dal "Segretariato generale delle Missioni" che avrà il compito di preparare la creazione della Sacra Congregatio De Propaganda Fide, fondata il 6 gennaio 1622 da Gregorio XV[53]. La bolla di fondazione "Inscrutabili Divinae Providentiae", è datata 22 giugno); a questa fecero seguito altri documenti pontifici fondamentali: "Romanum decet" (con la medesima data), "Cum inter multiplices" (14 dicembre 1622), "Cum nuper" (13 giugno 1623), e infine "Immortalis Dei" (1º agosto 1627).

Gregorio XV diede a questa Congregazione una solida organizzazione interna, fondi necessari e soprattutto uomini capaci di darle la necessaria impostazione iniziale. Tra questi va ricordato in particolare il primo segretario, Francesco Ingoli (1578-1649), uomo deciso e dinamico che seppe dare un impronta indelebile alla congregazione disciplinando il movimento missionario, fino ad allora travagliato da rivalità all'interno della stessa Chiesa[54].

La nuova Congregazione era incaricata di promuovere la propagazione della fede e assicurare la conservazione della fede nelle comunità cattoliche in diaspora.

Per quanto riguarda la promozione della fede, era compito di Propaganda

« coordinare tutte le forze missionarie, fino ad allora sovente sparse; dare direttive uniformi per le missioni; organizzare le missioni sistematicamente in tutto il mondo, anche in quelle parti, fino allora "dimenticate"; mettere in guardia i missionari dalle conseguenze perniciose del colonialismo e dal confondere le cose ecclesiastiche con quelle politiche; liberare le missioni dalle grinfie del colonialismo politico e trasformare le missioni da un fenomeno coloniale in un movimento puramente ecclesiastico e spirituale; promuovere energicamente la formazione del clero autoctono e l'erezione delle gerarchie episcopali autoctone; finalmente aiutare le missioni materialmente. »
(Josef Metzler, La Congregazione "de Propaganda Fide" e lo sviluppo delle missioni cattoliche (secoli XVIII-XX), in Anuario de Historia de la Iglesia 9 (2000) 145-154, 146.)

L'importanza di "Propaganda Fide" per lo sviluppo delle missioni fu nelle indicazioni che offrì ai missionari per la valorizzazione delle culture locali. In effetti i tentativi missionari del XVI secolo avevano mancato soprattutto sotto questo aspetto. La valorizzazione delle culture locali si manifestò anche nell'insistenza con la quale "Propaganda" chiedeva e supportava la formazione di clero e di gerarchie autoctone[55].

Tra le attività iniziali di particolare rilievo della Congregazione ci fu l'istituzione, nel 1626, della Tipografia Polyglotta per stampare libri nelle lingue delle popolazioni presenti nei territori di missioni e la fondazione, con la bolla di Urbano VIII del 1º agosto 1627 del Pontificio Ateneo de Propaganda Fide con annesso il Pontificio Collegio Urbano de Propaganda Fide per accogliere i seminaristi dei paesi di missione.

La caratteristica di apertura spirituale e culturale della nuova Congregazione fu ben descritta in un documento che è considerato la "Magna Charta" di "Propaganda"[56], l'"Istruzione per i Vicari Apostolici della Cocincina, del Tonchino e della Cina", del 1659[57]

Un passaggio di questa "Istruzione" recita così:

« Non compite nessun sforzo, non usate alcun mezzo di persuasione per indurre quei popoli a mutare i loro riti, le loro consuetudini e i loro costumi, a meno che non siano apertamente contrari alla religione e ai buoni costumi. Che cosa c'è infatti di più assurdo che trapiantare in Cina la Francia, la Spagna, l'Italia o qualche altro paese d'Europa? Non è questo che voi dovete introdurre, ma la fede, che non respinge né lede i riti e le consuetudini di alcun popolo, purché non siano cattivi, ma vuole piuttosto salvaguardarli e consolidarli. (...) Quanto ai costumi che sono manifestamente cattivi, sarà bene rimuoverli con l'atteggiamento e col silenzio più che con le parole, cogliendo beninteso l'occasione di sradicarli pian piano e quasi insensibilmente, una volta che gli animi siano disposti ad abbracciare la verità. »
(Sacrae Congregationis de Propaganda Fide, Istruzione per i Vicari Apostolici della Cocincina, del Tonchino e della Cina, 1659.)

La questione dei riti che scoppiò nonostante le chiare direttive che la Congregazione aveva dato ai missionari dell'Estremo Oriente

« fu una vera e propria tragedia della storia missionaria. La "maledetta questione dei riti cinesi ha ritardato di due secoli l'evangelizzazione della Cina", ha detto Pio XI. »
(Josef Metzler, La Congregazione "de Propaganda Fide" e lo sviluppo delle missioni cattoliche (secoli XVIII-XX), in Anuario de Historia de la Iglesia 9 (2000) 145-154, 148.)

Il valore storico di Propaganda sta nell'affermazione, con la sua costituzione e con le sue attività, del carattere ecclesiale della missione. Il Pontefice riservava alla sua giurisdizione l'azione missionaria nei territori di missione. Questa rivendicazione del compito di unificare e dirigere le attività missionarie dovette entrare necessariamente in conflitto con le potenze economiche e politiche dell'epoca. Il metodo della nomina dei vicari apostolici a partire dal 1637 fu la prima grande azione di separazione tra evangelizzazione e colonizzazione.

Tra XVIII e XIX secolo

Nel XVIII secolo fino ai primi anni del XIX secolo gli storici registrano una crisi nell'attività missionaria della Chiesa.

I motivi furono molteplici: il regresso sociale e politico di Spagna e Portogallo che, pur con tutti i problemi, attraverso il patronato regio avevano mantenuto costante un certo impegno missionario; l'imporsi di nazioni protestanti come Inghilterra e Olanda; l'affermarsi di una concezione mitica del mondo primitivo con i suoi corollari sulla "bontà naturale" e sul "buon selvaggio" da non inquietare con la predicazione missionaria; la propaganda illuministica e razionalistica che avrebbe minato la fede cristiana nelle sue basi[58]; e, infine, la soppressione dell'ordine dei gesuiti (1773) che rappresentava una delle forze più lucide dell'impegno missionario della Chiesa.

L'offensiva giacobina e gli esiti della Rivoluzione francese, con la soppressione degli istituti francesi impegnati nelle missioni (agosto 1792)[59] e la chiusura della Congregazione di Propaganda Fide decisa dalla Repubblica Romana del 1798 sollecitarono una revisione sulla formazione delle gerarchie autoctone, sul clero indigeno e sulle autonomie finanziarie che avrebbe condotto a una nuova strategia sulle missioni e ai successi delle missioni ottocentesche[60].

Le missioni ottocentesche

La sensibilità e l'attività missionaria della Chiesa riprese agli inizi dell'Ottocento grazie all'opera di pontefici come Pio VII, Gregorio XVI e Pio IX che rivitalizzarono Propaganda Fide, al clima culturale romantico che esaltava l'opera civilizzatrice della Chiesa, alle nuove esplorazioni soprattutto in Africa ed Estremo Oriente Oriente.

In questo periodo la sensibilità missionaria fu condivisa da tutto il popolo di Dio. Provvidenziale fu la nascita Pontificia Opera per la Propagazione della Fede fondata a Lione nel 1822 dalla Venerabile Pauline Jaricot, la quale era riuscita a diffondere l'idea che tutti i battezzati fossero protagonisti della missione. Grazie al coinvolgimento di tutti, le fu possibile sostenere anche economicamente le opere missionarie dopo che a causa delle spogliazioni napoleoniche e dei governi massonici sia Propaganda Fide che i grandi ordini religiosi erano stati ridotti a una reale povertà di mezzi.

Importante fu poi la nascita della Pontificia Opera della Santa Infanzia, fondata nel 1843 da Janson de Forbin, vescovo di Nancy e della Pontificia Opera di San Pietro Apostolo, fondata nel 1889 dalle Signore Bigard a Caen.

Numerose furono poi le Congregazione nate missionarie o che si sarebbero poi dedicate alla missione ad gentes: i Maristi e gli Oblati di Maria Immacolata (1816), i Marianisti (1817), i Pallottini (1835), gli Assunzionisti (1845), i Clarettiani (1849), i Missionari della Salette (1852), la Società delle missioni africane (1856), le Missioni Estere di Milano e i Salesiani (1859), i Missionari di Scheut (1862), i Missionari di Mill Hill (1866), i Comboniani (1867), i Padri Bianchi (1868), la Società del Verbo Divino (1875), i Saveriani (1895).

Gli sforzi missionari si diressero soprattutto in Africa[61] e nell'Estremo Oriente, in particolare in Cina, Giappone, Indocina e Oceania.

L'entusiasmo per le missioni che veniva "dal basso" fu anche provvidenzialmente sostenuto dal personale convincimento dei pontefici che si avvicendarono da Pio VII in poi[62].

Nell'Ottocento la strategia missionaria ricorse praticamente ovunque agli stessi metodi: si cominciava con un insediamento materiale che garantisse la visibilità della missione e dimostrasse il potenziale civilizzatore del cattolicesimo attraverso una serie di servizi; si concentravano in uno spazio, inizialmente modesto, cappelle, scuole maschili e femminili, dispensari, laboratori, officine e fattorie. Con questa strategia progressivamente la missione si legò indissolubilmente a tutte le opere sociali che preparavano e prolungavano l'azione propriamente religiosa.

Le missioni nel XX secolo

Prima ancora che, tra le due guerre mondiali, il modello missionario ottocentesco andasse in crisi, furono tentati stili missionari diversi ad esempio da parte di Francis Aupiais, della Società delle Missioni Africane di Lione, partito nel 1903 per il Dahomey o da Charles de Foucauld assassinato a Tamanrasset nel 1916.

La fondazione della Missione di Francia nel 1941 e della Missione di Parigi nel 1943, la pubblicazione del libro La France, pays de mission?[63], l'enciclica di Pio XII fidei donum del 1957[64] furono solo alcuni degli avvenimenti ecclesiali che fecero emergere la coscienza della dimensione intrinsecamente missionaria della Chiesa che trovò poi la sua autorevole e matura espressione magisteriale nel decreto Ad gentes del Concilio Vaticano II («La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria», Ad gentes, 2)[65].

Nonostante questa rinnovata coscienza missionaria che il Concilio contribuì a risvegliare nella Chiesa, negli anni Settanta si manifestò una profonda crisi nelle missioni estere dovuta sostenzialmente alla polemica culturale sulla positività della missione civilizzatrice dell'Occidente e alle vicende storiche legate alle decolonizzazioni.

« Tutti questi fenomeni rappresentano la fine di una certa idea della missione perché il modello si è esaurito. Nei decenni 1960-1970 ha inizio uno spettacolare trasferimento di generosità e di obiettivi militanti. Il Terzo Mondo dà il cambio alla missione estera tradizionale. (...) La riconversione del militante portatore di una buona novella religiosa in militante deciso a cambiare il mondo segna la fine di un'epoca in cui l'impegno cristiano aveva lo scopo di prolungare l'influenza della Chiesa grazie ai laici. Il militante cristiano inizia a dubitare della sua identità e si domanda se in realtà possiede qualcosa più degli altri. (...) La crisi è dunque una crisi d'identità che si basa sulla finalità della missione. Traduce l'esaurimento dell'antica teologia fondata su una concezione della salvezza che conduceva a relativizzare la trasformazione della città. La principale risposta nasce allora da una teologia della liberazione, multiforme, ma decisa a considerare la salvezza in una prospettiva globale che associa trasformazione delle strutture e conversione dei cuori, impegno nel sociale e scelta di fede. Fra salvezza e liberazione, negli anni Settanta gli articoli e le opere di teologia sembrano ancora esitare prima di propendere dalla parte della liberazione.

Malgrado questo sforzi, la critica si trasforma nel 1973-74 in contestazione radicale dell'idea missionaria tout court»

L'appello del gesuita camerunense Fabien Eboussi Boulaga pubblicato su Spiritus nel 1974 divenne il simbolo della contestazione dell'idea di missione tradizionale:

« Che cosa si deve fare? La risposta sarà breve: l'Europa e l'America in primo luogo devono evangelizzare ss stesse. E poi si pianifichi in buon ordine la partenza dall'Africa dei missionari. »
(Fabien Eboussi Boulaga, La démission, in Spiritus 56 (1974) 287.)

Se risentì di questo clima anche l'enciclica di Paolo VI Evangelii nuntiandi, all'indomani del sinodo del 1974, nella quale non viene utilizzato il termine "missione".

L'enciclica Redemptoris missio di Giovanni Paolo II mise a tema e interpretò la crisi che la missione ad gentes aveva vissuto, ribadendone i fondamenti e rilanciandola con nuove prospettive:

« Molti sono già stati i frutti missionari del concilio: si sono moltiplicate le chiese locali fornite di propri vescovi, clero e personale apostolico; si verifica un più profondo inserimento delle comunità cristiane nella vita dei popoli; la comunione fra le chiese porta a un vivace scambio di beni spirituali e di doni; l'impegno evangelizzatore dei laici sta cambiando la vita ecclesiale; le chiese particolari si aprono all'incontro, al dialogo e alla collaborazione con i membri di altre chiese cristiane e religioni. Soprattutto si sta affermando una coscienza nuova: cioè che la missione riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e parrocchie, le istituzioni e associazioni ecclesiali. Tuttavia, in questa "nuova primavera" del cristianesimo non si può nascondere una tendenza negativa, che questo documento vuol contribuire a superare: la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento, non certo in linea con le indicazioni del concilio e del magistero successivo. Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di fede. (...) Ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità nel mondo odierno, il quale conosce stupende conquiste, ma sembra avere smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza. »
(Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 2)

Le missioni cattoliche oggi

Giovanni Paolo II ha vissuto il carisma missionario ad gentes attraverso i suoi molteplici viaggio apostolici: "Già dall'inizio del mio pontificato ho scelto di viaggiare fino agli estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine missionaria e proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancor più convinto dell'urgenza di tale attività" (Redemptoris missio 1)

Le chiese che fanno riferimento alla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli vivono negli ultimi decenni di una singolare vivacità[66].

Attualmente alla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli sono affidate complessivamente 1.069 Circoscrizioni ecclesiastiche[67]. Di esse 180 Arcidiocesi Metropolitane, 750 Diocesi, 1 Abbazia Territoriale, 72 Vicariati Apostolici, 45 Prefetture Apostoliche, 4 Amministrazioni Apostoliche, 11 Missioni "sui iuris" e 6 Ordinariati Militari.

Su 2.850 milioni di persone che gravitano nei territori di riferimento della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli i cattolici battezzati sono 200 milioni[68].

A servizio della "missio ad gentes" lavorano all'incirca 85.000 sacerdoti tra appartenenti al clero diocesano o a Istituti e ordini religiosi[69], 28.000 Religiosi non sacerdoti; da 45.000 Suore e da 1.650.000 Catechisti. La Congregazione accompagna, poi, nei vari territori, la formazione spirituale e accademica di 280 Seminari Maggiori interdiocesani e di 110 Seminari minori, assicurando loro anche un sussidio economico.

A ciò, vanno aggiunte attività educative (circa 42.000 scuole); attività sanitarie (1.600 ospedali, oltre 6.000 dispensari, 780 lebbrosari); attività creative e sociali (12.000 iniziative).

Note
  1. Cfr. David Bosch, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia, Brescia 2000, 24.
  2. online
  3. Cfr. Henri Holstein, Quel est le sens du mot mission?, in Spiritus 25 (1965) 371-380.
  4. Seumois recensisce queste espressioni: "diffusione della fede", "predicazione del Vangelo", "annuncio apostolico", "promulgazione del Vangelo", "accrescimento della fede", "espansione della chiesa", "fondazione della chiesa", "propagazione del regno di Cristo", "illuminazione delle nazioni" (André Seumois, Théologie missionnaire, Roma 1973, 18).
  5. Cfr. Antonin-Marcel Henry, Mission d'hier, Mission de demain, in L'activité missionnaire de l'Eglise. Décret "Ad gentes", Paris 1967, 412.
  6. Cfr. Walter Insero, La chiesa è "missionaria per sua natura" (AG 2): origine e contenuto dell'affermazione conciliare e la sua recezione nel dopo Concilio, Roma 2007, 34-35.
  7. Nel 1571 così scriveva José de Acosta (1539-1600):
    « Cos'è proprio delle missioni? (...) Forse fare in modo di stabilire una sede presso gli indiani, che viene popolarmente detto mantenere salde le dottrine, o piuttosto disseminare la parola di salvezza viaggiando in mezzo a loro. »
    (José de Acosta, De promulgando evangelio apud barbaros sive de procuranda Indorum salute, 1. V, c.21; 1. I, c. 10)

    Il brano è riportato in Walter Insero, La chiesa è "missionaria per sua natura" (AG 2): origine e contenuto dell'affermazione conciliare e la sua recezione nel dopo Concilio, Roma 2007, 35.

  8. I tre libri sono: Tractatus quo asseruntur missiones et rationes adversae refelluntur; Votum seu consilium pro missionibus quo ad nova obiecta respondentur; Instructio missionum.
  9. Cfr. Silvano Giordano, I Carmelitani Scalzi e le missioni, online.
  10. Questa Commissione prenderà il nome di "Congregatio de Fide Propaganda" la quale, una volta sciolta, sarà sostituita dal "Segretariato generale delle Missioni" che avrà il compito di preparare la creazione della "Congregatio De Propaganda Fide", fondata nel 1622.
  11. Cfr. Antonin-Marcel Henry, Mission d'hier, Mission de demain, in L'activité missionnaire de l'Eglise. Décret "Ad gentes", Paris 1967. Soltanto nel codice di diritto canonico promulgato nel 1917 l'espressione "terrae missionum" sarà riservata per indicare esclusivamente quei territori che il codice stesso farà dipendere dalla Congregazione di Propaganda Fide.
  12. Cfr. Giacomo Martina, Ugo Dovere (a cura di), Il cammino dell'evangelizzazione. Problemi storiografici, Bologna 2001.
  13. Cfr., ad esempio, il classico Patrizio Wittmann, La gloria della Chiesa nelle sue Missioni dall'epoca dello scisma nella fede, ossia una storia universale delle cattoliche missioni negli ultimi tre secoli, 2 voll., Milano 1842-1843 (orig. tedesco 1841).
  14. Joseph Shmidlin, Manuale di Storia delle Missioni Cattoliche, 3 voll., Milano 1927-1929 (orig. tedesco 1924).
  15. Cfr. Alphons Mulders, Missionsgeschichte. Die Ausbreitung des katholischen Glaubens, Bussum 1957; Garcia Ricardo Villoslada, Los historiadores de las misiones.Origen y desarrollo de la bibliografia misional, Bilbao 1956; B. Deschamps, Histoire generale des missions, Louvain 1932; F. J. Moltmann, Manual de Historia de las Misiones, Bilbao 1952; Simon Delacroix (a cura di), Histoire universelle des Missions Catholiques, 4 voll., Monaco-Paris 1956-1959
  16. Ad esempio, Severino Dianich, Chiesa in missione. Per una ecclesiologia dinamica, Cinisello Balsamo 1985 e il classico David Bosch, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia, Brescia 2000.
  17. L'immagine è stata concessa da "Laboratorio di Spiritualità e tecnica dell'Icona La Glikophilousa" [1]
  18. L'anatema è presente nella dodicesima benedizione della Amidah, la Birkat Ha Minim.
  19. Severino Dianich, Chiesa in missione. Per una ecclesiologia dinamica, Cinisello Balsamo 1985, 84.
  20. Cfr. Vittorio Peri, L'adesione al cristianesimo dei popoli germanici e slavi, in {{autore|Giacomo Martina, Ugo Dovere (a cura di), Il cammino dell'evangelizzazione. Problemi storiografici, Bologna 2001.
  21. Cfr. Richard H. Niebuhr, The Kingdom of God, New York 1959, 74.
  22. Cfr. David Bosch, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia, Brescia 2000, 330-331.
  23. Cfr. David Bosch, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia, Brescia 2000, 313-318.
  24. Cfr., anche se non tratta esplicitamente di questo brano, Ilaria Morali, Senso e ruolo di un corretto rapporto tra Bibbia e missione. Brevi spunti di riflessione, in Ad Gentes 1 (2006) 82-94.
  25. Mario Menin, Modelli di presenza missionaria nella storia della Chiesa, in Ad gentes 12 (2008) 209-232.
  26. Cfr. Benjamin Z. Kedar, Crusade and Mission. European Approaches Toward the Muslims, Princeton 1984. Menin afferma che lo spirito di Crociata fu un tratto costitutivo della civiltà cristiana dell'epoca, tanto da oltrepassare i limiti convenzionali del Medioevo e da influenzare fortemente sia la conquista spagnola delle Americhe, sia il conflitto secolare con l'Impero ottomano: cfr. Mario Menin, Modelli di presenza missionaria nella storia della Chiesa, in Ad gentes 12 (2008) 209-232
  27. Alcuino di York, Lettera LXXI (Ad Arnonem), in Waltenbuch-Duemmler, Monumenta Alcuiniana, Weidmannos 1873, 327.
  28. Cfr. David Bosch, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia, Brescia 2000, 331.
  29. Cfr. Carlo Delcorno, "Quasi quidam cantus". Studi sulla predicazione medievale, Firenze 2009.
  30. Cfr. Mario Menin, Modelli di presenza missionaria nella storia della Chiesa, in Ad gentes 12 (2008) 209-232.
  31. Esemplare di questo stile di affrontare l'Islam fu l'incontro di Francesco d'Assisi con il sultano ayyubide al-Malik-al-Kami, nel contesto della Quinta Crociata (1219); cfr. John Tolan, Le saint chez le sultan. La rencontre de François d'Assisi et de l'Islam, huit siècles d'interprétation, Paris 2007.
  32. Questi documenti pontifici sono raccolti in Josef Metzler (a cura di), America Pontificia. Primi speculi evangelizationis. 1493-1592, 2 tomi, Città del Vaticano, 1991.
  33. Cfr. Henkel Willi, L'idolatria come frontiera dalla missione nell'America latina XVI secolo, in Mélanges de l'Ecole française de Rome. Italie et Méditerranée 2 (1997) 747-755.
  34. Lewis Hanke, Colonialisme et conscience chrétienne au XVIe siècle, Paris 1957; Lyle N. Mc Alister, Dalla scoperta alla conquista. Spagna e Portogallo nel Nuovo mondo. 1492-1700, Bologna 1986.
  35. Cfr. John Baur, Storia del Cristianesimo in Africa, Bologna 1988, 37-50.
  36. Cfr. John Baur, Storia del Cristianesimo in Africa, Bologna 1988, 53-128.
  37. Cfr. John Baur, Storia del Cristianesimo in Africa, Bologna 1988, 128-135.
  38. I Mongoli (o Tartari) dopo aver conquistato dal XII secolo tutta l'Asia centrale raggiunsero Vienna nel 1241. Il Concilio di Lione del 1245 decise come "remedium contra Tartaros" l'invio di missionari nel tentativo di convertire al cristianesimo i loro capi e alla chiesa cattolica quelli di loro che avevano abbracciato la chiesa nestoriana. Innocenzo IV inviò a questo scopo il francescano Giovanni da Pian del Carpine e il domenicano Ascelino Lombardo da Cremona (1245). A questi inviati si aggiunsero le ambascerie del domenicano André de Longjumeau (1249) e più tardi di Guillaume de Rubrouck (1253).
  39. Cfr. l'esortazione apostolica post-sinodale di Giovanni Paolo II, Ecclesia in Asia, 1999, n.9.
  40. Cfr. Giacomo di Fiore, Strategie di evangelizzazione nell'Oriente asiatico tra Cinquecento e Settecento, in Giacomo Martina, Umberto Dovere, Il cammino dell'evangelizzazione. Problemi storiografici, Bologna 2001, pp. 97-162.
  41. Il Valignano teorizzò un approccio missionario basato sull'adattamento (oggi si direbbe inculturazione) e che inculcò a Matteo Ricci e ai missionari che sarebbero andati in Cina. Una sua opera, Il cerimoniale per i missionari del Giappone, ne descrive lo stile (cfr. Josef Franz Shutte, ed., Il cerimoniale per i missionari del Giappone. Advertimentos e avisos acerca dos costumes e catangues de Jappão, Roma 1946: vi è edito il testo portoghese del manoscritto originale e la versione letterale italiana di Alessandro Valignano). A questo indirizzo una lettera del Generale dei gesuiti, Claudio Acquaviva, del 24 dicembre 1585, nella quale esprime le sue opinioni, apprezzamenti e riserve, sul metodo missionario di Valignano. Cfr. Luca Augusto, Alessando Valignano. La missione come dialogo con i popoli e le culture, Bologna 2005; e anche A. Tamburello - A. Üçerler - M. Di Russo (edd.), Alessandro Valignano S.I.. Uomo del Rinascimento: ponte tra Oriente e Occidente, Roma 2008.
  42. Francesco Antonio Gisondi, Michele Ruggeri. Missionario in Cina e primo sinologo europeo, Milano 1999.
  43. Cfr. Étienne Ducornet, La Chiesa e la Cina, Milano 2008.
  44. Michela Fontana, Matteo Ricci: un gesuita alla corte dei Ming, Milano 2005.
  45. Tra questi ci fu il lazzarista Teodoro Pedrini.
  46. Matteo Ricci accettò che i convertiti continuassero ad assolvere ad alcuni aspetti della loro tradizione tributando onori a Confucio e praticando riti resi a familiari defunti.
  47. Il metodo di inculturazione di Ricci fu riabilitato solo nel 1935 con l'Istruzione di Propaganda Fide, Plane Compertum; per una valutazione cfr. Étienne Ducornet, La Chiesa e la Cina, Milano 2008, dove si afferma che «oggi si considera la condanna dei riti cinesi come un errore grave» (p.80)
  48. Cfr. Enrico Fasana, Giuseppe Sorge (a cura di), Civiltà indiana e impatto europeo nei secoli XVI-XVIII, Milano 1988, 122-124.
  49. Cfr. Enrico Fasana, Giuseppe Sorge (a cura di), Civiltà indiana e impatto europeo nei secoli XVI-XVIII, Milano 1988.
  50. Cfr. I francescani e la Cina: 800 anni di storia, Porziuncola 2001; anche Salvatore Zavarella, Missione e martirio: missionari francescani martiri in Cina, Roma 2000.
  51. Cfr. Agostino da Osimo, Storia dei ventitré martiri giapponesi dell'Ordine dei Minori Osservanti detti Scalzi di S. Francesco, Roma 1862.
  52. Hubert Jedin, Storia della Chiesa. VI. Riforma, Controriforma, crisi, consolidamento, diffusione missionaria, Milano 1975, 713-715.
  53. Nel contesto dei tentativi fatti dal papato di accentrare, gestire e promuovere le missioni anche verso gli "eretici" vanno inserite pure le fondazioni di commissioni car­dinalizie quali la "Congregazione germanica" e la "Congregazione per gli Italo-Greci", rispettivamente rivolte ai territori dell'Impero e alle comu­nità dell'Italia meridionale, della Grecia e dell'Illiria. Esse si preoccupa­rono particolarmente della preparazione del clero, dando vita a numero­si collegi nazionali, sia a Roma sia in altri territori europei soggetti a so­vrani cattolici.
  54. Cfr. Francesco Ingoli, Relazione delle quattro parti del mondo, Città del Vaticano 1999, a cura di Fabio Tosi con un saggio di Josef Metzler.
  55. Per aggirare le pretese del patronato regio portoghese "Propaganda" ricorse al sistema dei Vicariati apostolici, già costituiti nell'Olanda calvinista.
  56. Cfr. l'affermazione sulla pagina della Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli sul sito del Vaticano online.
  57. Il testo in Sacrae Congregationis de Propaganda Fide memoria rerum, vol. III/2, Rom-Freiburg-Wien, Herder 1976, 696-704. Cfr. anche Jean Guennou, L'Instruction de 1659 aux vicaires apostoliques français, in Les missions catholiques, nuova serie, IX (1959) 78-79. In rete il testo si trova a questo indirizzo: [2].
  58. Cfr. Gianni Colzani, Teologia della missione. Vivere la fede donandola, Padova 1996, 36-37.
  59. In particolare la Congregazione della missione, fondata nel 1625, che gestiva contemporaneamente missioni interne ed estere, il Seminario delle missioni estere di Parigi, nato nel 1658, che era una associazione di sacerdoti secolari e che era divenuta la principale società missionaria in Asia dopo la soppressione della Compagnia di Gesù e infine i Padri dello Spirito Santo, nati nel 1703, che si erano specializzati nella formazione del clero coloniale francese.
  60. Cfr. Stefania Nanni, L'idea di missione nella crisi della Chiesa di antico regime, in Mélanges de l'Ecole française de Rome. Italie et Méditerranée 2 (1997) 555-580.
  61. L'attività missionaria della Chiesa cattolica in Africa nel XIX secolo può essere suddivisa in due fasi: una prima fase fino al 1885 (l'anno della Conferenza di Berlino durante la quale le potenze europee si "spartirono" le influenze sui territori africani) dedicata alle esplorazioni e ai tentativi di penetrare all'interno del continente e una seconda fase dal 1885 (e che durerà fino agli anni '60 del XX secolo) che vide la fondazione e la crescita di comunità cattoliche in tutto il continente: cfr. John Baur, Storia del Cristianesimo in Africa, Bologna 1988, 141-144.
  62. Pio VII ricostituì gli archivi della Congregazione per la Propaganda della fede riportandoli da Parigi dopo che Napoleone se ne era impossessati. Gregorio XVI che fece di Propaganda Fide l'opera prediletta del suo pontificato. Egli si adoperò anche per svincolare le attività missionarie dalle implicazioni nazionali liquidando il patronato spagnolo in America Latina e scontrandosi duramente con il Portogallo in India. Condannò nel 1839 la tratta dei negri e l'ineguaglianza delle razze che ne era il presupposto. Con la Neminem profecto favorì la costituzione di chiese locali e del clero indigeno mediante la creazione di numerosi vescovadi.
  63. Henri Godin, Yvan Daniel, La France, pays de mission?, Paris 1943.
  64. Tra il XIX e il XX secolo numerosi furono i pronunciamenti magisteriali riguardo alle missioni. Solo per esempio: Sancta Dei civitas, Christi nomen, Lacrimabili statu, Maximum illud, Rerum ecclesiae, Satis cognitum, Divinum illud, Evangelii praecones, Princeps pastorum.
  65. Per comprendere il percorso che ha portato all'affermazione conciliare fondamentale è il lavoro di Walter Insero, La chiesa è "missionaria per sua natura" (AG 2): origine e contenuto dell'affermazione conciliare e la sua recezione nel dopo Concilio, Roma 2007. L'espressione "la Chiesa è per natura sua missionaria" usata dal documento conciliare non era del tutto nuova. Monsignor Danilo Catarzi nei suoi Lineamenti di dommatica missionaria (Parma 1958) scriveva che la Chiesa "è missionaria per la sua stessa natura" (p. 113). Prima ancora Henry de Lubac affermava che la Chiesa è essenzialmente missionaria in tutti i suoi membri (Le fondement théologique des missions, Paris 1946, 17). Cfr. pure Adam Wolanin, Il concetto di missione nei decreti "Ad gentes" e "Apostolicam Actuositatem" e nella "Evangelii Nuntiandi", in Mariasusay Dhavamony, Prospettive di missiologia oggi, Roma 1982, 89-105.
  66. I dati seguenti sono desunti da Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, Guida delle missioni cattoliche, Roma 2005.
  67. Il numero maggiore delle Circoscrizioni ecclesiastiche si trova in Africa, dove sono 477; segue l'Asia, con 453; l'America, con 80; l'Oceania, con 45 e l'Europa, con 14. Dal 1989 al 2004 sono state erette 134 nuove Circoscrizioni ecclesiastiche e circa 150 hanno subito modifiche. Le complessive 1.069 Circoscrizioni ecclesiastiche corrispondono a quasi il 30% di tutte le Circoscrizioni ecclesiastiche della Chiesa universale nel mondo.
  68. Questo numero, pari al 7,02% è così distribuito per continente: 20,23 in Africa, 56,88 in America, 1,8 in Asia, 10,8 in Europa e 25,9 in Oceania
  69. Questa la distribuzione territoriale: 27.000 operano in Africa; 44.000 in Asia; 6.000 in America; 5.000 in Oceania; 3.000 in Europa.
Fonti
Bibliografia
  • Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, Guida delle missioni cattoliche, Roma 2005
  • André Seumois, Théologie missionnaire, Roma 1973
  • David Bosch, La trasformazione della missione. Mutamenti di paradigma in missiologia, Brescia 2000
  • Walter Insero, La chiesa è "missionaria per sua natura" (AG 2): origine e contenuto dell'affermazione conciliare e la sua recezione nel dopo Concilio, Roma 2007
  • Giacomo Martina, Ugo Dovere (a cura di), Il cammino dell'evangelizzazione. Problemi storiografici, Bologna 2001
  • John Baur, Storia del Cristianesimo in Africa, Bologna 1988
  • Battista Mondin, Dizionario storico e teologico delle Missioni, Roma 2002
  • Stephen Bevans, Roger Schroeder, Teologia per la missione oggi. Costanti nel contesto, Brescia 2010
  • Mario Menin, Modelli di presenza missionaria nella storia della Chiesa, in Ad gentes 12 (2008) 209-232, online
Voci correlate
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Il contenuto di questa voce è stato firmato il giorno 4 gennaio 2014 da Padre Mimmo Spatuzzi, licenziato in Teologia Fondamentale.

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