Fede (Bibbia)

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Filippo Lippi, Annunciazione (1435 - 1440 ca.), tavola; Washington (USA), National Gallery of Art: in Maria la Chiesa vede il modello principale dell'atteggiamento di fede che Dio chiede a tutti i discepoli di Gesù

Nella rivelazione biblica la fede è la sorgente e il centro del rapporto che una persona ha con Dio. Al disegno di Dio, che si realizza nel tempo, l'uomo deve rispondere mediante la fede. Sulle orme di Abramo, "padre di tutti i non circoncisi che credono" (Rm 4,11 ), i personaggi esemplari dell'Antico Testamento sono vissuti e sono morti in quell'atteggiamento di fede (Eb 11 ) che Gesù "porta a compimento" (Eb 12,2 ). I discepoli di Cristo sono coloro che hanno creduto (cfr. At 2,44 ) e che sono credenti (cfr. 1Ts 1,7 )[1].

Parole e significati

La varietà del vocabolario ebraico della fede riflette la complessità dell'atteggiamento spirituale del credente. Tuttavia due radici sono dominanti:

  • ʾaman[2]: indica "fermezza" e "certezza" derivanti dall'appoggiarsi a qualcuno;
  • baṭaḥ, "sicurezza", "fiducia": è il termine tipico delle preghiere e degli inni.

Il vocabolario greco è anch'esso vario. Dal momento che nella religione greca quasi non esiste la fede, i LXX, non disponendo di parole appropriate per rendere l'ebraico, sono andati a tastoni:

  • alla radice ebraica baṭaḥ corrispondono soprattutto le parole greche elpìs, elpìzo, pèpoitha, che nella Vulgata sono rese con i termini latini spes, sperare, confido;
  • alla radice ʾaman corrispondono pìstis, pistèuo, alètheia, e, nella Vulgata, fides, credere, veritas.

Nel Nuovo Testamento le parole greche pistèuo e alètheia, che appartengono al linguaggio della conoscenza, diventano nettamente predominanti.

Già questo breve studio del vocabolario rivela che la fede ha nella Bibbia, due accezioni fondamentali:

Nell'Antico Testamento

Abramo, "nostro padre nella fede"

All'interno dell'Antico Testamento la figura di Abramo è particolarmente significativa per la sua fede. YHWH chiama quest'uomo il cui padre "serviva altri dèi" in Caldea (Gs 24,2 ; cfr. Gdt 5,6-8 ), e gli promette una terra ed una numerosa discendenza (Gen 12,1-2 ). Contro ogni verosimiglianza (era vecchio, e sua moglie Sara era sterile, cfr. Rm 4,19 ), Abramo "crede in Dio" (Gen 15, 6 ) e nella sua parola, obbedisce a questa vocazione ed impegna la sua esistenza su questa promessa. Nel giorno della prova la sua fede sarà disposta a sacrificare il figlio Isacco, nel quale egli ha visto realizzarsi la promessa (Gen 22 ).

A partire da questi tratti Abramo è il tipo, il modello della persona credente (Sir 44,20 ); egli preannunzia coloro che scopriranno il vero Dio (Sal 47,10 ; cfr. Gal 3,8 ) od il Figlio suo (Gv 8,31-41.56 ), coloro che si rimetteranno, per la propria salvezza, a Dio solo ed alla sua parola (1Mac 2,52-64 ; Eb 11,8-19 ). La promessa fatta ad Abramo diverrà realtà nella risurrezione di Gesù, discendenza di Abramo (Gal 3,16 ; Rm 4,18-25 ). Abramo sarà allora il "padre di una moltitudine di popoli" (Rm 4,17-18 ; Gen 17,5 ): di tutti coloro che la fede unirà a Gesù.

Esigenza dell'alleanza

Il Dio di Abramo visita in Egitto il suo popolo (Es 3,16 ). Chiama Mosè, gli si rivela e gli promette di essere con lui per condurre Israele nella sua terra. (Es 3,1-12 ). "Come se vedesse l'invisibile", Mosè risponde a questa iniziativa divina con una fede che "rimarrà salda" (Eb 11,23-29 ) nonostante eventuali debolezze (Nm 20,1-12 ; Sal 106,32-33 ). Mediatore, Mosè comunica al popolo il disegno di Dio, mentre i suoi miracoli indicano l'origine divina della sua missione. Israele è così chiamato a "credere in Dio e in Mosè, suo servo" (Es 14,31 ; Eb 11,29 ) con un'assoluta fiducia (Nm 14,11 ; Es 19,9 ).

L'alleanza consacra questo impegno di Dio nella storia di Israele. In cambio, YHWH esige che Israele obbedisca alla parola di Dio (Es 19,3-9 ). Concretamente, "ascoltare YHWH" significa anzitutto "credere in lui" (Dt 9,23 ; Sal 106,24-25 ); l'alleanza esige quindi la fede (cfr. Sal 78,37 ). La vita e la morte di Israele dipenderanno ormai dalla sua libera fedeltà (Dt 30,15-20; 28 ; Eb 11,33 ) all'amen di quella fede (cfr. Dt 27,9-26 ) che ha fatto di lui il popolo di Dio. Nonostante le innumerevoli infedeltà che si manifestano nel tempo del deserto, durante la conquista della terra promessa e nel tempo dello stanziamento nella terra di Canaan, l'autore sacro così riassume: "Per fede, caddero le mura di Gerico [..]. Mi mancherebbe il tempo se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide" (Eb 11,30.32 ).

Secondo le promesse dell'alleanza (Dt 7,17-24; 31,3-8 ), l'onnipotente fedeltà di YHWH si era sempre manifestata al servizio di Israele, quando Israele aveva avuto fede in essa. Quindi, proclamare queste meraviglie del passato e in particolare dell'esodo come le gesta del Dio invisibile significava per Israele confessare la propria fede (Dt 26,5-9 ; cfr. Sal 78; 105 ) che si trasmetteva di generazione in generazione, in particolare in occasione delle grandi feste annuali (Es 12,26; 13,8 ; Dt 6,20 ). Il popolo conservava così la memoria dell'amore di YHWH suo Dio (Sal 136 ).

Nel ministero dei profeti

I profeti, sull'esempio di Abramo e di Mosè, collocavano dal canto loro alla base della propria vita la fede in YHWH, nella propria vocazione e nella propria missione (cfr. Eb 11,33-40 ). Questa fede era spesso incrollabile (Is 6; 7,17; 12,2; 30,18 ); talvolta essa esitava a consolidarsi di fronte alla prova di una chiamata troppo esigente (Ger 1 ; cfr. Es 3,10-12; 4,1-17 ) o di un'apparente assenza di Dio (1Re 19 ; Ger 15,10-21; 20,7-18 ), ma perveniva comunque a una fermezza definitiva (Ger 26,37-38 ). Questa fede dei profeti irraggiava in un gruppo più o meno nutrito di discepoli (cfr. Is 8,16 ; Ger 45 ) e di ascoltatori. Appariva così sempre di più come un impegno e un atteggiamento personale che riunivano già il resto annunciato dai profeti.

Isaia fu, tra i profeti, colui che più di tutti chiese al popolo di Dio una fede pura (Is 30,15 ):

Nella fede Isaia scopre la sapienza paradossale di Dio (Is 19,11-15; 29,13-30,6 ; cfr. 1Cor 1,19-20 ).

Israele nel suo complesso non ascolta l'appello che Dio gli rivolge attraverso i profeti (Ger 29,19 ). Per udirlo, avrebbe dovuto innanzitutto credere ai profeti (Tb 14,4 ) come un tempo a Mosè (Es 14,31 ), ma non era facile, anche a motivo della presenza dei falsi profeti (Ger 28,15; 29,31 ): come distinguerli dai profeti autentici (Ger 23,9-32 ; Dt 13,2-6; 18,9-22 )?

La lotta contro l'idolatria

I profeti dovettero sistematicamente richiamare Israele alla fede autentica, poiché le difficoltà che esso incontrava furono una dura prova per la sua fede. La prova si concretizzava continuamente nella tentazione dell'idolatria, che i profeti denunciarono in maniera continua (Os 2, 7-15 ; Ger 2, 5-13 ): il ricorso agli idoli contraddiceva la fede in YHWH (cfr. Es 20,2-3 ) e rendeva il culto un formalismo che Dio respinge (Am 5,21 ; Ger 7,22-23 ); alla fede in Dio si sostituiva la ricerca della salvezza nella forza delle armi (Os 1,7 ; Is 31,1-3 ).

La fede di Israele fu minacciata specialmente in occasione della capitolazione di Gerusalemme e dell'esilio babilonese. Lontano dalla sua terra, miserabile e povero, Israele correva rischio di attribuire la sua sorte all'impotenza di YHWH e di rivolgersi quindi agli dèi di Babilonia vittoriosa. I profeti proclamano allora l'onnipotenza del Dio di Israele (Ger 32,27 ; Ez 37,14 ), creatore del mondo (Is 40,28-29 ; cfr. Gen 1 ), Signore della storia (Is 41,1-7; 44,24-25 ), roccia del suo popolo (Is 44,8; 50,10 ). Gli idoli non sono nulla (Is 44, 9-20 ). "Fuori di YHWH non c'è altro dio" (Is 44,6-8; 43,8-12 ; cfr. Sal 115,7-11 ); contro ogni apparenza egli merita sempre una fiducia totale (Is 40,31; 49,23 ).

La fede dell'Israele futuro

Il Dio fedele non poteva mancare di realizzare le sue promesse. Ma, nella dinamica dell'alleanza, tale realizzazione richiedeva la fede da Israele; e questa fede all'Israele storico mancava. Nella predicazione dei profeti la fede divenne perciò una realtà futura, che sarebbe stata concessa da Dio all'Israele della nuova alleanza: Dio avrebbe rinnovato i cuori (Ger 32,39-40 ; Ez 36,26 ) per farli passare dall'indurimento (Is 6,9-10 ) alla fede (Rm 10,9-10 ; cfr. Gv 12,37-43 ), e vi avrebbe infuso la conoscenza di Lui (Ger 31,33-34 ) e l'obbedienza (Ez 36,27 ), la cui fonte è la fede.

I profeti vedono l'Israele futuro ad immagine delle piccole comunità dei loro discepoli. Riunito nella fede nella misteriosa pietra di Sion (Is 28,16 ; cfr. 1Pt 2,6-7 ), sarà un popolo di poveri che la fede in Dio avvicina (Mi 5,6-7 ; Sof 3,12-18 ). Solo "il giusto vivrà, grazie alla sua fedeltà" (LXX: "alla sua fede") (Ab 2,4 ). I profeti intravvedono quindi non più una nazione salvata come tale, ma la prefigurazione di una chiesa, una comunità di poveri il cui legame è la fede personale. Per questo popolo della fede, il servo di YHWH sarà una figura esemplare. Alle prese con una prova che giunge all'estremo della morte (Is 50,6; 53 ) rende la sua faccia "dura come pietra" in una fede assoluta in Dio (Is 50,7-9 ; cfr. Lc 9,51 ) che solo nel futuro avrà la sua risposta da Dio (Is 53,10-12 ; cfr. Sal 22 ).

Se l'Israele futuro sarà riunito determinato anzitutto dalla fede, potrà aprire le proprie file alle nazioni; ad esse è rivolta la missione del Servo del Signore (Is 42,4; 49,6 ). Esse, così, scopriranno nella fede il Dio unico (Is 43,10 ), lo confesseranno come tale (Is 45,14; 52,15 ; cfr. Rm 10,16; 56,1-8 ) e attenderanno la salvezza solo da lui (Is 51, 5-6 ).

Nella comunità post-esilica

Nei secoli seguenti l'esilio babilonese, l'Israele storico tende a configurarsi all'Israele futuro intravisto dai profeti, senza tuttavia cessare di essere una nazione per diventare una vera comunità di credenti.

I sapienti di Israele sapevano di non dover contare che su YHWH per essere salvati: quando spariscono i segni visibili di salvezza, la sapienza esige una fiducia totale in Dio (Gb 19,25-26 ), con una fede che "sa" che Dio rimane onnipotente (Gb 42,2 ).

Nei Salmi

Tutto il salterio proclama la fede di Israele in YHWH, Dio unico (Sal 18,32; 115 ), creatore (Sal 8; 104 ) onnipotente (Sal 29 ), Signore fedele (Sal 89 ) e misericordioso (Sal 136 ) verso il suo popolo (Sal 105 ), re universale del futuro (Sal 47; 96-99 ).

Molti salmi esprimono la fiducia di Israele in YHWH (Sal 44; 74; 125 ). Ma le più alte testimonianze di fede sono preghiere in cui la fede di Israele si manifesta in una forte fiducia individuale:

Nella prova della persecuzione

Nel II secolo a.C., per la prima volta nella sua storia (cfr. Dn 3 ), Israele è esposto ad una sanguinosa persecuzione religiosa (1Mac 1,62-64; 2,29-38 ; cfr. Eb 11,37-38 ). I martiri muoiono a motivo della propria fede, affrontando la suprema "assenza" di Dio, che permette che il suo popolo subisca violenza e ingiustizia.

Tuttavia la fede dei martiri non vien meno (1Mac 1,62 ); anzi, si approfondisce, fino a sperare, dalla fedeltà di Dio, la risurrezione (2Mac 7 ; Dn 12,2-3 ) e l'immortalità (Sap 2,19-20; 3,1-9 ). Così, affermandosi sempre più, la fede personale raduna a poco a poco il resto che rimarrà beneficiario delle promesse (Rm 11, 5 ).

Nei pagani convertiti

Sempre verso la fine dell'epoca veterotestamentaria una corrente missionaria percorre Israele. Come già Naaman (2Re 5 ), numerosi pagani credono nel Dio di Abramo (cfr. Sal 47,10 ). L'Antico Testamento riporta varie testimonianze in questo senso:

Dio lascia alle nazioni il tempo di "credere in lui" (Sap 12,2 ; cfr. Sir 36, 4 ).

Imperfezioni

La fede di Israele manifesta in questo periodo palesi imperfezioni:

Secondo l'insegnamento di San Paolo sussisteva ancora un velo tra la fede di Israele ed il disegno di Dio annunciato dalla Scrittura (2Cor 3,14 ). D'altronde la vera fede non era stata promessa che all'Israele futuro.

I pagani, dal canto loro, difficilmente potevano condividere una fede che implicava il nazionalismo e pesantissime esigenze rituali. Israele e le nazioni non potevano quindi che attendere colui che avrebbe portato la fede a perfezione (Eb 12,2 ; cfr. Eb 11,39-40 ).

Nel Nuovo Testamento

La fede dei poveri (cfr. Lc 1,46-55 ) accoglie il primo annunzio della salvezza, imperfetta in Zaccaria (Lc 1,18-20 ; cfr. Gen 15,8 ), esemplare in Maria (Lc 1,35-37.45 ; cfr. Gen 18,14 ), condivisa a poco a poco da altri (Lc 1-2 ).

Non credono in Giovanni Battista i farisei orgogliosi (Mt 21,23-32 ), ma gli credono i poveri che sono coscienti del loro peccato. Questa fede li raduna (a volte a loro insaputa) attorno a Gesù, venuto tra essi (Mt 3,11-17 ), e li orienta verso la fede in lui (At 19,4 ; cfr. Gv 1,7 ).

La fede che ha per oggetto Gesù

Tutti potevano "sentire e vedere" (Mt 13,13 ) la parola ed i miracoli di Gesù che proclamavano la venuta del regno di Dio (Mt 11,3-6 ; Mt 13,16-17 ). Ma "ascoltare la parola" (Mt 13,19-23 ; Mt 11,15 ) e "metterla in pratica" (Mt 7,24-27 ; cfr. Dt 5,27 ), vedere veramente, in una parola: "credere" (Mc 1,15 ; Lc 8,12 ; cfr. Dt 9,23 ), non fu di tutti; essa fu la caratteristica dei discepoli (Lc 8,20 ).

Parole e miracoli suscitavano nella gente la domanda: "Chi è costui?" (Mc 4,41; 6,1-6.14-16 ). Questa questione fu una prova anche per Giovanni Battista (Mt 11,2-3 ) ed uno scandalo per i farisei (Mt 12,22-28 ; Mt 21,23 ). A tale domanda la fede richiesta per i miracoli (Lc 7,50; 8,48 ) rispondeva solo parzialmente, riconoscendo l'onnipotenza di Gesù (Mt 8,2 ; Mc 9,22-23 ). Pietro diede la vera risposta: "Tu sei il Cristo" (Mt 16,13-16 ). Questa fede in Gesù Figlio di Dio unisce ormai i discepoli con lui e tra di loro, facendoli partecipi del segreto della sua persona (Mt 16,18-20 ).

Attorno a Gesù si è così costituita una comunità di "piccoli" (Mt 10,42 ), il cui legame, più prezioso di ogni cosa, è la fede in lui e nella sua parola (Mt 18,6-10 ). Questa fede viene da Dio (Mt 11,25 ; Mt 16,17 ), e sarà condivisa un giorno dalle nazioni (Mt 8,5-13 ; Mt 12,38-42 ), secondo quanto annunciato dai profeti.

Malgrado la loro conoscenza dei misteri del regno (Mt 13,11 ), i discepoli ebbero difficoltà a mettersi sulla via in cui, nella fede, dovevano seguire il figlio dell'uomo (Mt 16,21-23 ). La fiducia che esclude ogni preoccupazione ed ogni timore (Lc 12,22-32 ) non era loro abituale (Mc 4,35-41 ; Mt 16,5-12 ). La prova della passione (Mt 26,41 ) fu per essi uno scandalo (Mt 26,33 ); ciò che essi vedono richiede molta fede (cfr. Mc 15,31-32 ). La fede dello stesso Pietro, pur non venendo meno totalmente - Gesù aveva pregato per essa (Lc 22,32 ) - non ebbe il coraggio di manifestarsi (Lc 22,54-62 ). La fede dei discepoli doveva ancora fare un passo decisivo per diventare la fede della Chiesa.

La fede portata a compimento da Gesù

La perfezione della fede è visibile quando Gesù, il servo, prende la via di Gerusalemme per obbedire fino alla morte (Fil 2,7-8 ): "prese la ferma decisione"[3] di recarsi là (Lc 9,51 ).

In presenza della morte egli "porta a compimento" la fede (Eb 12,2 ) dei poveri (Lc 23,46 , che cita Sal 31,6 ; Mt 27,46 , che cita il Sal 22 ), mostrando una fiducia assoluta in colui "che poteva", con la risurrezione, "salvarlo da morte" (Eb 5,7 ).

La fede della Chiesa, frutto della Pasqua

La fede dei discepoli divenne piena, ecclesiale, dopo la Pasqua. Le apparizioni di Gesù (Mt 28,17 ; Mc 16,11-14 ; Lc 24,11 ) li portarono, non senza esitazioni, a credere alla sua risurrezione.

Ricevuto lo Spirito Santo nella Pentecoste, essi divengono i testimoni di tutto ciò che Gesù ha detto e fatto (At 10,39 ); lo proclamano "Signore e Cristo", e annunciano che in lui si sono compiute le promesse di Dio (At 2,33-36 ). Ora la loro fede è capace di giungere "fino al sangue" (cfr. Eb 12,4 ). Essi chiamano i loro uditori ad accoglierla per beneficiare della promessa ottenendo la remissione dei loro peccati (At 2,38-39; 10,43 ). La fede della Chiesa è divenuta realtà.

La fede nella parola

Credere significa innanzitutto accogliere la predicazione dei testimoni inviati da Cristo, cioè ascoltare "la parola del Vangelo" (At 15,7 ; 1Cor 15,2 ; cfr. At 2,41 ; Rm 10,17 ; 1Pt 2,8 ), confessando Gesù come Signore (1Cor 12,3 ; Rm 10,9 ; cfr. 1Gv 2,22 ).

Questo messaggio iniziale (kerigma), trasmesso dagli apostoli ("tradizione"; cfr. 1Cor 15,1-3 ), si arricchì e precisò nei primi decenni di vita della Chiesa in un insegnamento (1Tim 4,6 ; 2Tim 4,1-5 ): questa parola umana sarà sempre, per la fede, la parola stessa di Dio (1Ts 2,13 ). Riceverla vuol dire:

Questa fede, come constaterà Paolo, apre all'intelligenza "tutti i tesori della sapienza e della conoscenza" che sono in Cristo (Col 2,3 ); chi vive la fede riceve la sapienza stessa di Dio, rivelata dallo Spirito (1Cor 2 ) e così diversa dalla sapienza umana (1Cor 1,17-31 ; cfr. Gc 2,1-5; 3,13-18 ; cfr. Is 29,14 ), e attinge la conoscenza di Cristo e del suo amore (Fil 3,8 ; Ef 3,19 ; cfr. 1Gv 3,16 ).

La vita di fede del battezzato

Condotti dalla fede al Battesimo e all'imposizione delle mani che li fanno entrare pienamente nella Chiesa ({{pb|At|8},14-17}), coloro che hanno creduto nella parola sono "perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere" (At 2,41-46 ). In tale ricchezza di vita ecclesiale Dio realizza il suo disegno operando la salvezza di coloro che credono (At 2,47 ; 1Cor 1,18 ). La fede si manifesta nell'obbedienza a questo disegno (2Ts 1,8 ); si dispiega nell'operosità (1Ts 1,3 ; Gc 1,21-22 ) di una vita morale fedele alla legge di Cristo (Gal 6,2 ; Rm 8,2 ; Gc 1,25; 2,12 ); agisce per mezzo dell'amore fraterno (Gal 5,6 ; Gc 2,14-26 ).

La fede si conserva in una fedeltà a Dio che giunge ad affrontare la morte sull'esempio di Gesù (Eb 12 ; At 7,55-60 ), in una fiducia assoluta in colui nel quale ha "posto la sua fede" (2Tim 1,12; 4,17-18 ). Fede nella parola, obbedienza nella fiducia: questa è la fede della Chiesa, che separa coloro i quali si perdono - chi è fazioso, per esempio (Tt 3,10 ) - da coloro che sono salvati (2Ts 1,3-10 ; 1Pt 2,7-8 ; Mc 16,16 ).

San Paolo e la salvezza mediante la fede

Come Gesù, anche la Chiesa nascente annuncia che la fede è un dono di Dio (At 16,14 ; cfr. 1Cor 12,3 ). Quando perciò si convertono dei pagani, l'iniziativa è di Dio stesso, che ha agito "purificando i loro cuori con la fede" (At 11,18; 14,27; 15,7-9 ). È "per aver creduto nel Signore Gesù Cristo" che essi ricevono lo stesso Spirito ricevuto dai Giudei credenti (At 11,17 ); sono quindi accolti nella Chiesa.

Ma presto sorge un problema: bisogna circoncidere e sottomettere alla legge di Mosè i pagani che credono (At 15,5 ; Gal 2,4 )? Paolo sostiene che non va fatto: "Se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla" (Gal 5,2 ); la questione viene affrontata nel Concilio di Gerusalemme, che nella sostanza dà ragione all'Apostolo delle genti (At 15 ; Gal 2,3-6 ). D'altronde, gli stessi Giudei sono salvati dalla fede in Cristo (Gal 2,15-16 ). Nel momento in cui vi è chi vuole imporre la circoncisione ai suoi cristiani della Galazia (Gal 5,2; 6,12 ) Paolo avverte facilmente che ciò equivaleva ad annunziare un altro Vangelo (Gal 1,6-9 ).

La crisi suscitata dalla controversia sulla circoncisione è per Paolo l'occasione per riflettere in profondità sul compito della legge e della fede nella storia della salvezza:

Quindi "l'uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge" (Rm 3,28 ; Gal 2,16 ). Questa affermazione di Paolo proclama che sotto il regime della fede le pratiche della legge sono inutili ai fini della salvezza; ma, ancor più profondamente, significa che la salvezza non è mai un diritto dell'uomo, bensì una grazia, un dono di Dio, che viene accolto mediante la fede (Rm 4,4-8 ).

Certamente Paolo non ignora che la fede deve diventare "operosa nella carità" (Gal 5,6 ; cfr. Gc 2,14-26 ), nella docilità allo Spirito ricevuto nel Battesimo (Gal 5,13-26 ; Rm 6; 8,1-13 ). Ma sottolinea con forza che il credente non può né "gloriarsi" della "sua propria giustizia", né appoggiarsi alle sue opere, come faceva il fariseo Saulo (Fil 3,4.9 ; 2Cor 11,16-12,4 ). Anche se non è "consapevole di alcuna colpa" (1Cor 4,4 ), egli fa affidamento su Dio solo, che suscita in lui "il volere e l'operare secondo il suo disegno d'amore" (Fil 2,13 ). Egli lavora quindi alla sua salvezza "con rispetto e timore" (Fil 2, 12 ), ma anche con una gioiosa speranza (Rm 5,1-11; 8,14-39 ): la sua fede lo rende certo dall'"amore di Dio, che è in Cristo Gesù" (Rm 8,38-39 ; Ef 3,19 ).

Grazie a Paolo la fede pasquale, vissuta dalla comunità primitiva, ha preso una chiara coscienza di se stessa. Si è liberata dalle impurità e dai limiti insiti nella fede di Israele. È in pieno la fede della Chiesa.

La fede nel Verbo fatto carne

Al termine del Nuovo Testamento la fede della Chiesa, con San Giovanni, medita sulle sue origini, ritorna a colui che le ha dato il suo compimento.

La fede di cui parla Giovanni non è diversa da quella di cui parlano i sinottici:

Ma il quarto vangelo è, molto più dei sinottici, il Vangelo della fede. Molte sono le affermazioni significative:

Giovanni insiste poi sulla condizione attuale di chi accede alla fede in lui:

La fede riveste così la grandezza tragica di una opzione urgente tra la morte e la vita, la luce e le tenebre; di una opzione tanto più difficile quanto più sono basse le qualità morali di colui al quale è proposta (Gv 3,19-21 ).

L'insistenza del Vangelo secondo Giovanni sulla fede, sul suo oggetto proprio, sulla sua importanza, si spiega con lo scopo stesso del suo vangelo: portare i lettori a condividere la sua fede, credendo "che Gesù è íl Cristo, il Figlio di Dio" (Gv 20,31 ), a diventare figli di Dio mediante la fede nel Verbo fatto carne (Gv 1,9-14 ). Questa fede è la fede trasmessa della Chiesa; essa confessa Gesù come Figlio nella fedeltà all'insegnamento ricevuto (1Gv 2,23-27; 5,1 ), e deve manifestarsi in una vita senza peccato (1Gv 3,9-10 ), animata dall'amore fraterno (1Gv 4,10-12; 5,1-5 ). Al pari di Paolo (Rm 8,31-39 ; Ef 3,19 ), anche Giovanni ritiene che essa porti a riconoscere l'amore di Dio per gli uomini (1Gv 4,16 ).

Dinanzi alle lotte future l'Apocalisse esorta i credenti a vivere "la perseveranza e la fede dei santi" (Ap 13,10 ) fino alla morte. All'origine di questa fedeltà c'è sempre la fede pasquale in colui che può dire: "Ero morto, ma ora vivo per sempre" (Ap 1,18 ), il Verbo di Dio che stabilisce irresistibilmente il suo regno (Ap 19,11-16 ; cfr. At 4,24-30 ).

Il giorno in cui, davanti a Dio, "lo vedremo così come egli è" (1Gv 3,2 ), sarà ancora proclamata la fede di Pasqua:

« Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. » (1Gv 5, 4 )
Note
  1. La trattazione che segue è debitrice principalmente al lavoro di Jean Duplacy indicato nella bibliografia.
  2. Da tale radice deriva anche la parola amen.
  3. Letteralmente: "fece il viso duro"; cfr. Is 50,7 .
Bibliografia
Voci correlate