Utente:Don Paolo Benvenuto/Reliquia

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Scala Santa, Roma. Sul 2°, 11° e 28° gradino vi sono le reliquie del sangue di Gesù
Da terminare di integrare da Enciclopedia Cattolica!!!



Il termine reliquia[1] indica i resti corporali di persone canonizzate dalla Chiesa. In senso più lato si chiamano tali anche gli oggetti che ne furono a contatto, poiché ne hanno quasi assorbito le virtù[2].

Alle reliquie viene tributato il culto di venerazione dovuto ai santi.

Storia

Fin dalle origini la Chiesa accettò e permise di venerare le reliquie dei martiri come segno di pietà dei cristiani verso i fratelli che avevano versato il sangue per Cristo. La dizione antica è corpus ("corpo") se la reliquia comprende l'intero cadavere, ex ossibus ("dalle ossa") se è parte di esso. Le reliquie ottenute per contatto venivano dette brandea, memoria, nomina, pignora, sanctuaria.

La Chiesa di Smirne considerò le ossa del suo Vescovo martire Policarpo più preziose dell'oro e si propose di celebrarne l'anniversario sul suo sepolcro[3].

Nella seconda metà del II secolo il presbitero Caio, confutando i montanisti, indicava i "trofei" del Vaticano e della Via Ostiense, cioè i sepolcri di Pietro e di Paolo[4], segno che essi erano frequentati, cioè venerati.

Fin dall'antichità la Chiesa dispose l'altare per la celebrazione eucaristica sopra i sepolcri dei martiri[5]. Al proposito afferma San Girolamo:

(LA) (IT)
« Male facit ergo Romanus episcopus, qui super mortuorum hominum Petri et Pauli, secundum nos ossa veneranda, secundum te vile pulvisculum, offert Domino sacrifica et tumulus eorum Christi arbitratur altaria? » « Fa male quindi il Vescovo di Roma, che offre al Signore sacrifici su quelle che per noi sono le ossa venerabili, per te un vile pulviscolo, dei defunti Pietro e Paolo, e la loro tomba è considerato altare di Cristo»

Prudenzio, poi, descrive la mensa adposita ("mensa giustapposta") al sepolcro di Sant'Ippolito, indicando però che essa è dicata Deo ("dedicata a Dio")[7].

Chi però sviluppa meglio il pensiero al riguardo è Agostino, il quale, riferendosi al Vescovo Teogene, che resse la Chiesa di Ippona nel 255-256, esclama:

« Ma quando noi offriamo il Sacrificio presso i sepolcri dei martiri, non è forse a Dio che l'offriamo? Senza dubbio i santi martiri hanno un posto d'onore. Notatelo: nelle letture fatte davanti all'altare di Cristo, di essi vien fatta una menzione onorevole. Tuttavia essi non sono adorati al posto di Cristo. Avete mai inteso dire presso la memoria di San Teogene da me o da uno dei miei fratelli e colleghi, o da un prete qualunque: io ti offro il sacrificio, o San Teogene? ovvero: io ti offro il Sacrificio, o Pietro; ovvero: io ti offro il Sacrificio, o Paolo? Voi non avete mai inteso espressioni simili, perché ciò non si fa e non è permesso. »
(Sermo, 273[8])

Lo stesso Agostino, nel Trattato contro Fausto, ripete lo stesso concetto:

« Non ai martiri ma a Dio noi innalziamo gli altari. Qual è quel vescovo che in presenza di corpi santi abbia osato dire: noi offriamo a voi, Pietro o Paolo o Cipriano? Quello che noi offriamo è offerto a Dio, che corona i martiri. »

Bibliografia

Note

  1. In greco sono dette λείψανα, leípsana, "ciò che resta".
  2. Nicola Turchi (1953) c. 749.
  3. Martyrium Policarpi 18, 1, 2.
  4. Eusebio, Historia Ecclesiastica, II, 25.
  5. Cfr. Ap 6,9 : "Vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso", cioè i martiri.
  6. Patrologia Latina 23,361-362.
  7. Peristephanon XI, vv. 169-174.
  8. Citato in Nicola Turchi (1953) c. 750
  9. PL 42, 384.

Voci correlate