Utente:Mauro Baglieri/Predestinazione

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La predestinazione (dal latino prae + destinare, "destinare prima") indica in genere ogni atto per il quale Dio, grazie alla Sua infallibile prescienza del futuro, preordina e stabilisce per l'eternità tutti gli eventi della storia umana, in particolare quelli che scaturiscono, o sono almeno condizionati, dal libero arbitro umano.

La predestinazione comprende tutti i fatti storici, quali la comparsa di Napoleone o la fondazione degli Stati Uniti, ma soprattutto le svolte storiche della salvezza soprannaturale, quale la missione di Mosè e dei Profeti, o la scelta di Maria come Madre di Gesù. In questo senso generale, la predestinazione coincide senz'altro con la Divina Provvidenza e col governo del mondo anche se non rientrano nel merito dell'articolo.

L'apice storico della predestinazione avviene con Gesù Cristo:

  • Discende dalla stirpe di Re David
  • Nasce a Betlemme
  • Durante la passione non gli viene rotto alcun osso (come si faceva per l'Agnello pasquale, come predetto da Isaia. Segno anche di rispetto verso le mitzvot ebraiche (un comandamento per ogni giorno dell'anno e un comandamento per ogni osso del corpo).


Il concetto di predestinazione

In teologia il termine è considerato limitatamente a quei decreti divini che si applicano al fine soprannaturale degli esseri razionali, in particolare a quello dell'uomo. Considerando che non tutti gli esseri umani raggiungono il loro fine soprannaturale in Paradiso, ma che molti si perdono per sempre per loro colpa, ci deve essere una predestinazione duplice:

Tuttavia si indica normalmente la seconda volontà con il termine "reprobazione", e il termine "predestinazione" viene riservato per riferirsi alla Divina volontà di destinare gli eletti alla grazia.

La nozione di predestinazione comprende due elementi essenziali:

Il teologo che, sulla scia del Pelagianismo, limitasse l'attività divina alla prescienza eterna, escludendo la Divina Volontà, cadrebbe immediatamente nel Deismo, che asserisce che Dio, avendo creato tutte le cose, abbandona l'uomo e l'universo al proprio destino, evitando in tutti i modi di interferirvi direttamente.

I doni puramente naturali di Dio, quali l'essere figli di genitori pii, l'avere ricevuto un'ottima educazione, il dono dell'aiuto provvidenziale per il compimento dell'azione umana, ecc., potrebbero anch'essi essere considerati effetti della predestinazione. In realtà, in senso stretto, il termine si applica solo alle grazie che riguardano la sfera soprannaturale, quali la Grazia santificante e tutte le grazie attuali; tra queste ultime, in particolare, la perseveranza finale e la grazia di una buona morte.


Chi è predestinato

Coloro che muoiono nello stato di giustificati o in grazia santificante: essi raggiungono il Paradiso, e quindi possono essere considerati tra i predestinati in senso stretto. Tra i predestinati vanno poi considerati i bambini che muoiono nella grazia del battesimo, e anche quegli adulti che, dopo una vita nel peccato, si convertono sul letto di morte, così come i catecumeni.

Sono da annoverare tra i predestinati anche quanti in buona fede seguono un'altra religione: protestanti, scismatici, ebrei, musulmani, pagani, ecc. I cattolici che alla fine della vita non hanno perso la grazia battesimale, o che dopo essere caduti nel peccato mortale perseverano in rettitudine fino alla fine, non sono in realtà predestinati in maniera più sicura, ma sono certamente più favoriti delle ultime categorie di persone citate.

Ma anche tenendo in conto soltanto il fine soprannaturale dell'uomo, il termine predestinazione non sempre è utilizzato allo stesso modo.

Considerata come "predestinazione adeguata" (praedestinatio adaequata o completa), "predestinazione" si riferisce, in effetti, alla grazia e alla gloria come a un tutt'uno, includendo non solo l'elezione alla gloria finale, ma anche l'elezione alla grazia come mezzo, la vocazione alla fede, la giustificazione e la perseveranza finale, che è connessa in modo inseparabile con una buona morte. Questo è il significato delle parole di Sant'Agostino:

(LA) (IT)
« Praedestinatio nihil est aliud quam praescientia et praeparatio beneficiorum, quibus certissime liberantur [i.e. salvantur], quicunque liberantur. » « La predestinazione non è niente altro che la prescienza e preparazione di quei benefici, grazie ai quali vengono liberazione [cioè salvati] in maniera certissima quanti sono liberati. »
(De dono perseverantiae, XXXV )

Ma i due concetti di grazia e di gloria possono essere considerati separatamente, e ciascuno di essi essere oggetto di una speciale predestinazione. Il risultato è la cosiddetta "predestinazione inadeguata" (praedestinatio inadaequata o incompleta), alla sola grazia o alla sola gloria. Come già San Paolo, anche Agostino parla di una elezione alla grazia separata dalla gloria celeste:

(LA) (IT)
« Praedestinatio est gratiae praeparatio, gratia vero jam ipsa donatio. » « La predestinazione è la preparazione della grazia, la grazia è invece il dono stesso. »
(loc. cit., XIX )

È comunque evidente che questa (inadeguata) predestinazione non esclude la possibilità che una persona destinata alla grazia, alla fede, alla giustificazione, finisca all'inferno. Quindi si può evitare di considerarla, perché essa è solo un sinonimo dell'universale volontà salvifica di Dio e della distribuzione della grazia a tutti gli uomini.

Allo stesso modo l'elezione eterna alla sola gloria senza tenere conto dei meriti ottenuti per grazia, deve essere considerata predestinazione inadeguata. Sebbene sia teologicamente possibile, il fatto che si dia è tuttavia fortemente contestato dalla maggioranza dei teologi.

Il vero dogma dell'elezione eterna si riferisce quindi solo alla predestinazione adeguata, che comprende sia la grazia che la gloria. San Tommaso la definisce come

(LA) (IT)
« Praeparatio gratiae in praesenti et gloriae in futuro. » « Preordinazione alla grazia nel presente e alla gloria nel futuro. »
(Summa Theologiae, I, q. XXIII, a. 2 )


Per sottolineare quanto il favore divino sia misterioso e irraggiungibile, Il Concilio di Trento definisce la predestinazione "segreto mistero". Che la predestinazione sia davvero mistero sublime appare non soltanto dal fatto che sia impossibile misurare la profondità delle eterne risoluzioni divine, ma anche nella apparente disuguaglianza delle scelte divine. Il metro apparentemente ineguale col quale la grazia battesimale è somministrata ai neonati e con cui le grazie efficaci discendono sugli adulti resta una realtà celata alla nostra vista da un velo impenetrabile.


Se potessimo dare solo una fugace occhiata alle ragioni di questa apparente disuguaglianza, avremmo la chiave per risolverne il mistero. Perché un bambino è stato battezzato ma non quello del vicino? Perchè l'apostolo san Pietro si è redento dopo la caduta nel peccato perseverando nel bene fino alla fine mentre Giuda Iscariota, suo compagno, si è impiccato cancallando ogni possibilità di salvezza? Per quanto corretta, la risposta che Giuda andò alla perdizione per propria, libera volontà mentre Pietro restò coerente alla grazia della conversione a lui offerta non risolve l'enigma.

Poiché ritorna sempre la domanda: perché Dio non diede a Giuda la stessa sicura e infallibile grazia della conversione ricevuta da san Pietro, il cui blasfemo rinnegare Dio fu un peccato non meno terribile di quello del traditore Giuda? A tutte queste domande l'unica risposta ragionevole sta nella parola di sant'Agostino (loc. cit., 21): "Inscrutabilia sunt judicia Dei" (i giudizi di Dio sono imperscrutabili).


La controparte della predestinazione dei pii è la reprobazione degli empi, o l'eterna risoluzione di Dio di gettare nell'inferno tutti gli uomini di cui aveva previsto la fine nel peccato mortale e nell'ira divina. Questo piano di divina reprobazione può essere interpretato come assoluto e incondizionale oppure come ipotetico e condizio nale, a seconda di farlo dipendere o meno dall'infallibile prescienza del peccato, vera ragione della reprobazione.

Se riteniamo che il castigo eterno dipenda da una decisione incondizionale di Dio, la sua possibilità teologica è affermata o negata a seconda del fatto di credere che essa abbia valenza positiva o negativa, che la reprobazione sia punita positivamente o negativamente. La differenza concettuale tra i due generi di reprobazione sta nel fatto che la reprobazione negativa implica solo la volontà assoluta di non concedere la beatitudine del paradiso mentre la reprobazione positiva indica la volontà assoluta di condanna all'inferno. In altre parole, coloro che ricevono solo una reprobazione negativa sono nella categoria dei non predestinati all'eternità; coloro che ricevono la reprobazione positiva sono direttamente predestinati all'inferno e sono stati creati a questo scopo.

E' stato Calvino ad elaborare la dottrina della repulsione secondo la quale un decreto divino prestabilito dall'eternità predestinava una parte del genere umano all'inferno e, per raggiungere la certezza che fine fosse effettivamente raggiunto, anche al peccato. I difensori cattolici della reprobazione sfuggono all'accusa di eresia solo a costo di imporre una doppia restrizione alla loro ipotesi secondo la quale:

  • la punizione dell'inferno può col tempo essere inflitta solo a causa del peccato commesso e la predestinazione dall'eternità può essere solo il risultato della facoltà di prevedere la malvagità fin dall'inizio, mentre il peccato in sé non deve essere considerato come semplice conseguenza dell'assoluta volontà divina, ma solo del permesso a compierlo concesso da Dio.
  • il disegno eterno di Dio non può mai comportare una reprobazione positiva di condanna all'inferno, ma solo una reprobazione negativa, cioè l'esclusione dal paradiso.

Queste restrizioni sono insite nella formulazione stessa dell'idea, dato che gli attributi della santità e giustizia divina debbono restare inviolati (vedi: Dio). Di conseguenza, se riteniamo che la santità divina non permetterà mai al Creatore di volere positivamente il peccato, e che il suo senso di giustizia possa prevedere e al momento debito infliggere le pene dell'inferno solo in virtù della prescienza del peccato, risulterà chiara la definizione di eterna reprobazione data da Peter Lombard (I. Sent., dist. 40): "Est praescientia iniquitatis quorundam et praeparatio damnationis eorundem" (è la prescienza della malvagità di certi uomini e la decisione anticipata della loro dannazione). Cfr. Scheeben, Mysterien des Christentums (2nd ed., Freiburg, 1898), 98—103.


Il dogma cattolico

Lasciando le controversie teologiche alla sezione seguente, ci occuperemo per ora solo di quegli articoli di fede che concernono la predestinazione e la reprobazione, il cui diniego comporterebbe l'eresia.

La predestinazione degli eletti

Attribuire soltanto all'uomo o a Dio la ragione della predestinazione porterebbe inevitabilmente a conclusioni eretiche sul modo in cui Dio presceglie gli uomini. In un caso l'errore riguarda l'esito finale del corso degli eventi, nell'altro i mezzi che determinano quell'esito. Facciamo notare che non parliamo di una "causa" di predestinazione, consistente o nella causa efficiente (Dio) o in quella strumentale (la Grazia), o ancora in quella finale (l'onore di Dio) o, ancora, nella causa prima del merito, ma nella ragione o del motivo che ha indotto Dio a scegliere per l'eternità di destinare determinate persone alla grazia e alla gloria.

La questione principale allora è la seguente: il merito naturale umano esercita forse una qualche influenza sulla divina elezione alla grazia e alla gloria? Tenendo presente il dogma della gratuità assoluta della grazia cristiana, la nostra risposta sarà assolutamente negativa (vedi: Grazia). Alla domanda ulteriore, se la predestinazione divina non tenga in conto almeno delle buone opere soprannaturali, la Chiesa risponde con la dottrina secondo cui il paradiso non è dato agli eletti per un semplice atto arbitrario di Dio, ma è anche ricompensa dei meriti personali dei giustificati (vedi: merito).

Coloro che, come i seguaci di Pelagio cerchino la ragione della predestinazione solo nelle buone opere naturali dell'uomo, mal giudicano la natura del paradiso cristiano, esito ultimo di un destino assolutamente soprannaturale. Come il pelagianesimo pone tutta l'economia della salvezza su una base puramente naturale, allo stesso modo considera la predestinazione in particolare non come una grazia speciale, men che meno grazia suprema, ma solo come premio del merito naturale.


I semipelagici, inoltre, sminuirono la gratuità e il carattere soprannaturale della felicità eterna ascrivendo almeno l'inizio della fede (initium fidei) e la perseveranza finale (donum perserverantiœ) all'esercizio dei poteri naturali dell'uomo e non all'iniziativa della grazia preventiva. Questa è una classe di eresie che, sminuendo Dio e la Sua grazia, fanno dipendere ogni salvezza soltanto dall'uomo. Ma non meno gravi sono gli errori in cui ricade un secondo gruppo che dà a Dio la responsabilità di tutto, escludendo la libera partecipazione della volontà in quanto utile a conseguire la felicità eterna.

Chi sostiene questa tesi difende l'eresia del Predestinazionismo, incarnato nella sua forma più pura dal Calvinismo e dal Giansenismo. Coloro che cercano la ragione della predestinazione unicamente nella Volontà assoluta di Dio sono costretti per forza di cose ad ammettere che vi sia una grazia irresistibilmente efficace (gratia irresistibilis), a negare il libero arbitrio se condizionato dalla grazia, respingendo interamente i meriti soprannaturali (quale ragione secondaria della felicità eterna).

E poiché in questo sistema anche la dannazione eterna trova l'unica sua spiegazione nella volontà divina, ne consegue che la concupiscenza agisce sulla volontà peccaminosa con forza irresistibile, che in quel caso la volontà non è davvero libera di peccare e che le mancanze umane non possono essere causa di dannazione eterna.


Tra questi due estremi il dogma cattolico della predestinazione si mantiene nel giusto mezzo poiché considera la felicità eterna in primo luogo quale opera di Dio e della Sua Grazia, in secondo luogo come frutto e ricompensa delle azioni meritevoli del predestinato. Il processo di predestinazione consiste nelle seguenti cinque fasi:

  • La prima grazia della vocazione, in particolare la fede quale inizio, fondamento e radice della giustificazione.
  • Una serie di vere, ulteriori grazie utili al felice conseguimento della giustificazione.
  • La giustificazione stessa quale inizio dello stato di grazia e dell'amore.
  • La perseveranza finale o almeno la grazia di una morte beata.
  • Infine, l'ammissione alla beatitudine eterna. Se è vero quanto affermato nell'Apocalisse, cioé che molti, incamminandosi su questa strada raggiungono la salvezza eterna con infallibile certezza, risulta dunque provata l'esistenza della predestinazione divina (cfr. Matteo 25:34; Apocalisse 20:15).

San Paolo si esprime molto esplicitamente (Romani 8:28 sq.): "Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati." (Cfr. Efesini 1:4-11).

Oltre all'eterna "prescienza" e "predestinazione", qui l'Apostolo fa cenno alle diverse fasi del processo di predestinazione:la "vocazione", la "giustificazione" e la "glorificazione". Questo articolo di fede è stato conservato scrupolosamente dalla Tradizione nel corso dei secoli, specialmente dall'epoca di sant'Agostino.


Ci sono altre tre qualità della predestinazione da tenere a mente per la loro importanza e interesse dal punto di vista teologico: la sua immutabilità, la definitività del numero dei predestinati e l'incertezza soggettiva. La prima qualità, l'immutabilità delle decisioni divine, si basa sia sulla prescienza infallibile di Dio secondo la quale alcune precise persone lasceranno la vita in stato di grazia, sia sulla immutabile volontà divina di dare proprio a queste e non ad altre persone la beatitudine eterna quale ricompensa dei loro meriti soprannaturali.

Ne consegue che la destinazione di quelle persone al paradiso è stata predefinita irrevocabilmente fino ai minimi dettagli dall'eternità, con tutte le più diverse misure di grazia e i diversi gradi di beatitudine. Né potrebbe essere diverso. Poiché posto che fosse possibile che una persona predestinata dovesse nonostante tutto finire all'inferno o che una non predestinata dovesse andare in paradiso, allora Dio avrebbe errato nella prescienza degli eventi futuri; Egli non sarebbe più onnisciente.

Da qui il Buon Pastore dice del suo gregge (Giovanni 10,28 Giovanni 10:28): "Io dò loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano." Ma dobbiamo essere cauti prima di concepire l'immutabilità della predestinazione come fatalistica, nel senso del Kismet maomettano o come facile pretesto per rassegnarci passivamente all'inesorabilità del fato.

L'infallibile prescienza di Dio non può vincolare in tutto il destino dell'uomo per la semplice ragione che in fondo essa è soltanto la visione eterna della futura realtà storica. Dio vede da principio il libero agire umano precisamente come l'uomo vuole che sia. Qualsiasi cosa possa promuovere l'opera della nostra salvezza, sia nella preghiera che nelle opere di misericordia, o nelle preghiere del prossimo per noi, essa è eo ipso inclusa nella prescienza infallibile di Dio e quindi nel fine della predestinazione (cfr. san Tommaso, I, Q. xxiii, a. 8).

Da tali considerazioni di natura pratica nasce la massima ascetica (falsamente ascritta a sant'Agostino) per la quale "Si non es praedestinatus, fac ut praeestineris" (se non sei tu il predestinato, agisci però come se possa essere tale). La teologia ufficiale non può effettivamente approvare questa sentenza dall'aspetto così pretenzioso se non nella misura in cui per volontà originale di predestinazione di intenda in primo luogo la decisione ipotetica, trasformata quindi in assoluta e irrevocabile dalle preghiere, dalle opere di misericordia e dalla perseveranza del predestinato, secondo quanto afferma l'Apostolo (2 Pietro 1:10): "Quindi, fratelli, cercate di render sempre più sicura la vostra vocazione e la vostra elezione."

L'infallibilità della prescienza della predestinazione divina è rappresentata nella Bibbia dalla bella descrizione del "Libro della vita" (liber vitae, to biblion tes zoes). Il "Libro della vita" è una lista contenente i nomi di tutti gli eletti senza concessione di aggiunte o cancellazioni.

Dal Vecchio Testamento (cfr. Esodo 32:32; Salmi 68:29) il simbolo del libro è stato ripreso nel Nuovo da Cristo e dal Suo Apostolo Paolo (cfr. Luca 10:20; Ebrei 12:23) e approfondito dall'evangelista Giovanni nella sua Apocalisse (cfr. Apolcalisse 21:27: "Non entrerà in essa nulla d'impuro...ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello." Cfr. Apocalisse 13:8; 20:15).

La spiegazione corretta di questo libro simbolico è data da sant'Agostino (Città di Dio XX.13): "Praescientia Dei quae non potest falli, liber vitae est" (la prescienza di Dio, che non può errare, sta nel libro della vita). Tuttavia, come informa la Bibbia, esiste un secondo libro, più grande, nel quale compaiono non solo i nomi degli eletti, ma anche quelli di tutti i fedeli della terra. In questo libro dallo stile metaforico si presume ovunque si accenni a tale possibilità che una persona, anche inclusa nella lista, possa sempre esserne depennata (crf. Apocalisse 3:5: "non cancellerò il suo nome dal libro della vita" (crf. Esodo 32:33).

Il nome sarà cancellato senza pietà se il cristiano cadrà nell'incredulità o nella miscredenza morendo nel peccato. Infine vi è una terza classe di libri, nei quali sono scritti i crimini di determinati peccatori, dai quali nell'ultimo giorno saranno individuati i reprobi da gettare nell'inferno (cfr. Apocalisse 20:12): "Furono aperti dei libri...i morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere."

Fu questo grandioso simbolismo dell'onniscienza e della giustizia divina a ispirare il libro terribile del Dies irae secondo il quale saremo tutti giudicati da un libro: "Liber scriptus proferetur: in quo totum continetur". Per quanto concerne il libro della vita, cfr. San Tommaso, I, Q, xxiv, a. 1-3 e Heirich-Gutberlet, Dogmat. Theologie, VIII (Mains, 1897), sezione 453.

La seconda qualità della predestinazione e la definitività del numero degli eletti sono una conseguenza naturale della prima. Perché se la decisione sulla scelta dei predestinati presa da Dio fin dall'eternità è immutabile, il numero dei predestinati deve essere ugualmente definito e immutevole, non soggetto né ad aggiunte né a cancellazioni. Qualsiasi cosa indefinita nel numero implicherebbe eo ipso l'incertezza della sapienza divina e distruggerebbe il dogma della Sua onniscienza.

Inoltre, la vera e propria natura dell'onniscienza implica che non solo il numero astratto ma anche l'identità esplicita degli eletti con il nome di ognuno e tutto il suo trascorso terreno dovrebbe essere presente alla mente di Dio fin dal principio dei tempi. Naturalmente la curiosità umana ci spinge a cercare informazioni precise sia sul numero assoluto che relativo degli eletti. Quanto in alto andrebbe il numero assoluto? Sarebbe solo tanto futile quanto inutile cercare di ottenere identità e numero di tutti questi milioni e miliardi di predestinati. San Tommaso (I, Q. xxiii, a. 7) cita le opinioni di alcuni teologi secondo i quali saranno salvati tanti uomini quanti sono gli angeli caduti; altri invece sostennero che il numero dei predestinati sarà pari al numero degli angeli fedeli a Dio.


Infine ci sono stati alcuni ottimisti che, fondendo queste due tesi in una terza, hanno calcolato che il totale dei salvati fosse uguale alle innumerevoli miriadi di spiriti reprobi. Ma anche ammettendo la correttezza del principio su cui si basa il calcolo, nessun matematico potrebbe scoprire il numero assoluto su base così vaga, dato che il numero degli angeli e quello dei demoni sono quantità a noi ignote.

Perciò, "la risposta migliore", come dice giustamente San Tommaso "è nel dire: solo Dio conosce il numero degli eletti." Per numero relativo si intende la relazione numerica tra predestinati e reprobi. La maggioranza del genere umano sarà salvata o dannata? Sarà dannata una metà e salvata l'altra? A questo riguardo l'opinione dei rigoristi si schiera contro quella più moderata degli ottimisti.

Adducendo a prova diversi testi biblici (Matteo 7:14; 22:14) e i giudizi dei grandi teologi, i rigoristi difendono come probabile la tesi secondo la quale non solo la maggior parte dei cristiani ma anche dei cattolici sia destinata alla dannazione eterna. Quasi sgradevole il tono del sermone di Massillon che parla di numero ridotto di eletti. E tuttavia anche san Tommaso (loc. cit., a. 7) ha affermato: "Pauciores sunt qui salvantur" (dell'umanità si salverà solo la parte minore).

E alcuni anni fa, quando il gesuita Padre Castelein (Le rigorisme, le nombre des élus et la doctrine du salut, 2nd ed., Brussels, 1899) impugnò questa teoria adducendo ipotesi di un certo peso, scontrandosi però con le obiezioni del redentorista Padre Godts (De paucitate salvandorum quid docuerunt sancti, 3rd ed., Brussels, 1899).

Che il numero degli eletti non possa essere così esiguo risulta dall' Apocalisse (vii,9). Quando si sentono i rigoristi, si è tentati di rispondere con l'osservazione amara di Xaver: "la Chiesa esiste davvero allo scopo di popolare l'inferno?" La verità è che né una tesi né l'altra possono essere provate solo con Scritture o con la Tradizione (cfr. Heinrich-Gutberlet, Dogmat. Theologie, Mainz, 1897, VIII, 363 sq.).

Ma se a queste fonti aggiungiamo le tesi tratte dal pensiero razionale, possiamo affermare con un ottima probabilità l'opinione secondo la quale la maggioranza dei cristiani, e specialmente dei cattolici, avrà la salvezza. Se a questo numero relativo aggiungiamo la vastissima maggioranza dei non cristiani (ebrei, maomettani, pagani), allora Gener (Theol. dogmat. scholast., Rome, 1767, II, 242 sq.) è probabilmente nel giusto quando sostiene la salvezza di metà dell'umanità, "perché mai si rischi di affermare, svergognando e offendendo la divina maestà e clemenza del Signore, che il futuro regno di Satana sia più vasto del Regno di Dio" (cfr. W. Schneider, das andere Leben, 9th ed., Perderborn, 1908, 476 sq.).


La terza qualità della predestinazione, ovvero la sua incertezza soggettiva, è intimamente connessa alla sua immutabilità oggettiva. Non sappiamo se rientriamo tra i predestinati o no. Possiamo solo dire: lo sa Dio solo. Quando i Riformatori, confondendo la predestinazione con la certezza assoluta della salvezza richiesero al cristiano una fede incrollabile nella propria predestinazione quale condizione per essere salvato, il Concilio di Trento oppose alla presunzione di questo credo il canone (Sess. VI, can. xv): "S. q. d., hominem renatum et justificatum teneri ex fide ad credendum, se certo esse in numero prædestinatorum, anathema sit" (se chiunque dirà che l'uomo rigenerato e giustificato è tenuto per fede a credere di fare parte senza dubbi nel gruppo dei predestinati, lasciamo che su di lui ricada la scomunica).

A dire il vero, una simile presunzione non solo è irrazionale, ma contraddice anche le Scritture (cfr. 1 Corinzi 4:4; 9:27; 10:12; Filippesi 2:12). Solo la rivelazione individuale, quale quella data al ladro penitente sulla croce, potrebbe darci una certezza di fede: il Concilio di Trento insiste quindi nel dire (loc. cit., cap. xii): "Nam nisi ex speciali revelatione sciri non potest, quos Deus sibi elegerit" (poiché ad eccezione di rivelazioni particolari, non si può conoscere chi è il prescelto del Signore).

Tuttavia, la Chiesa condanna solo quella presunzione blasfema che vanta certezza fideistica in materia di predestinazione. Dire che esistono probabili segni di predestinazione che escludano ogni ansia eccessiva non va contro il suo insegnamento. Elenchiamo di seguito alcuni dei criteri stabiliti dai teologi: purezza di cuore, piacere della preghiera, pazienza nella sofferenza, frequenza nel ricevere i sacramenti, amore di Cristo e della Sua Chiesa, devozione alla Madonna, ecc.


La reprobazione dei dannati

La predestinazione positiva dei reprobi non solo all'inferno ma anche al peccato come noncondizionale rientra in particolare tra gli insegnamenti di Calvino (Instit., III, c. xxi, xxiii, xxiv). I suoi seguaci olandesi si divisero in due fazioni, quella dei supralapsariani e quella degli infralapsariani: la seconda considerava il peccato originale come motivo di condanna positiva, mentre il primo (insieme a Calvino) trascurava questo fattore facendo derivare il decreto divino di reprobazione solo dalla inscrutabile volontà divina.

L'infralapsarianismo fu anche sostenuto da Giansenio (De Gratia Christi, l. X, c. ii, xi sq.), il quale insegnava che Dio dalla massa damnata degli uomini aveva prestabilito che una fosse destinata alla beatitudine eterna, l'altra all'eterna sofferenza, stabilendo al tempo stesso che a quelli sicuramente dannati fossero negate le grazie necessarie con le quali potersi convertire ritornando nel rispetto dei comandamenti; per tale ragione, egli sostenne, Cristo morì solo per i predestinati (cfr. Denzinger, Enchiridion, n. 1092-6).

Contro tali insegnamenti blasfemi il Secondo Sinodo di Orange nel 529 e sucessivamente il Concilio di Trento avevano pronunciato la scomunica ecclesiastica (cfr. Denzinger, nn. 200, 827). Tale condanna fu senza dubbio giustificata poiché l'eresia del predestinatismo, che si opponeva apertamente ai testi più espliciti delle Scritture, negava sia l'universalità della volontà salvifica di Dio sia quella della redenzione attraverso Cristo (cfr. Libro della Sapienza 11:24 sq.; 1 Timoteo 2:1 sq.), vanificava la misericordia divina nei confronti del peccatore incallito (Ezechiele 33:11; Lettera ai Romani 2:4; 2 Pietro 3:9), eliminava il libero arbitrio nel commettere il bene o il male, e quindi il merito che viene dalle buone azioni e la colpa di quelle cattive, distruggendo infine i divini attributi della saggezza, della giustizia, della veracità, della bontà e della santità.

Restare fedele al vero e proprio spirito della Bibbia avrebbe dissuaso Calvino dal dare una falsa spiegazione di Rom., ix, e scoraggiato il suo successore Beza dal maltrattamento esegetico di Pietro 2:7-8. Dopo avere ponderato tutti i testi biblici che trattano della reprobazione eterna, i protestanti esegeti moderni arrivano a questa conclusione: "Non vi è una predestinazione all'inferno parallela a quella alla grazia: al contrario, il giudizio pronunciato in merito all'impenitente presuppone una colpa umana... Solo dopo che la salvezza di Cristo è stata rifiutata segue la reprobazione" (Realencyk. für prot. Theol., XV, 586, Leipzig, 1904). Per quanto concerne i Padri della Chiesa, le conferme nella tradizione potrebbero trovare qualche punto debole in sant'Agostino. Infatti Calvino e Giansenio hanno affermato di trovare in lui le prove delle loro teorie.

Non è questo il luogo di esaminare nei dettagli la sua dottrina della reprobazione, ma è difficile dubitare del fatto che le sue opere contengano espressioni che, a dir poco, potrebbero essere interpretate nel senso di una reprobazione negativa. Probabilmente per smorzare i toni più severi del maestro, il suo "migliore discepolo", san Prospero, nella sua apologia contro Vincenzo di Lérin (Resp. ad 12 obj. Vincent.) spiegava così lo spirito di Agostino: "Voluntate exierunt, voluntate ceciderunt, et quia præsciti sunt casuri, non sunt prædestinati; essent autem prædestinati, si essent reversuri et in sanctitate remansuri, ac per hoc prædestinatio Dei multis est causa standi, nemini est causa labendi" ("si sono allontanati per scelta loro: per loro scelta sono caduti, e anche se la loro dannazione era risaputa, non furono per questo predestinati; lo sarebbero stati però se avessero avuto in animo di ritornare sui loro passi per perseguire la santità; quindi, la predestinazione di Dio per molti è causa di perseveranza nel bene, per nessuno di caduta). Per quando riguarda la Tradizione cfr. Petavius, "De Deo", X, 7 sq.; Jacquin in "Revue de l'histoire ecclésiastique", 1904, 266 sq.; 1906, 269 sq.; 725 sq.

Ora possiamo riassumere in breve tutta la dottrina cattolica, in armonia con la ragione e i sentimenti umani. Secondo le decisioni dottrinali dei sinodi generali e di quelli su materia specifica, Dio prevede e decide infallibilmente, senza tornare sulle proprie decisioni tutti gli eventi futuri fin dal principio (cfr. Dezinger, n. 1784), senza però ammettere necessità fatalistiche per lasciare intatto il libero arbitrio umano. Ne consegue che l'uomo è libero sia che accetti la grazia e agisca rettamente sia che la respinga agendo malvagiamente.

Dio desidera tanto che gli tutti gli uomini, conseguano la beatitudine eterna quanto è vero che Cristo è morto per tutti (Denz, 794), e non solo per i predestinati (Denz., n. 1096) o per i credenti (Denz., 1294), nonostante che in realtà non tutti si avvalgono dei benefici della redenzione (Denz., n. 795). Sebbene Dio abbia prestabilito sia la felicità eterna che il retto agire degli eletti (Denz, n. 322), tuttavia è anche vero che Egli non ha predestinato all'inferno nessuno in senso assoluto, tanto meno al peccato (Denz., nn. 200, 816).

Di conseguenza, così come nessuno è salvato contro la propria volontà (Denz, 1363), anche i reprobi periscono solamente a causa della loro personale malvagità (Denz, nn. 318, 321). Dio ha previsto le pene eterne degli empi fin dal principio, prestabilendo questa punizione per i loro peccati (Denz., n.322), ma non manca per questo di porgere la grazia della conversione ai peccatori (Denz, n. 807) o di ignorare i non predestinati (Denz., 827). Finché i reprobi vivranno in questo mondo, potranno contarsi tra i veri cristiani e i membri della Chiesa, proprio come, d'altra parte, i predestinati potranno trovarsi al di fuori del mondo cristiano e della Chiesa (Denz., nn. 628, 631). In mancanza di particolari rivelazioni nessuno può sapere con certezza di fare parte del gruppo degli eletti (Denz., nn. 805 sq., 825 sq.)


Controversie teologiche

Grazie alle infallibilità delle decisioni emanate dalla Chiesa, ogni teoria ortodossa sulla predestinazione e sulla reprobazione deve mantenersi entro i limiti delineati dalle tesi seguenti: (a) Almeno nell'ordine cronologico del loro compimento (in ordine executionis) le opere meritorie dei predestinati sono causa parziale della loro felicità eterna; (b) l'inferno non può essere stato prestabilito nell'ordine delle intenzioni (in ordine intentionis) come causa positiva di dannazione, anche se è inflitto col tempo ai dannati quale giusta punizione per i loro misfatti; (c) non c'è alcuna predestinazione al peccato che sia strumentale alla dannazione eterna. Guidati da questi principi, passiamo a esporre ed esaminare in breve tre teorie illustrate dai teologi cattolici.

La teoria della predestinazione ante prævisa merita

Questa teoria, difesa da tutti i tomisti e da alcuni molinisti (per es. Bellarmino, Francisco Suárez, Francisco de Lugo), afferma che Dio, per decisione irrevocabile e indipendente da eventuali futuri meriti soprannaturali, ha predestinato dall'eternità alcune persone alla gloria del paradiso, e quindi, in base a tale decisione, ha deciso di concedere a tutti loro le grazie necessarie a conseguire questo fine.

Rispetto al senso cronologico, però, la decisione divina è presa in direzione inversa, perché i predestinati riceveranno per prima le grazie per loro prestabilite, e dopo la gloria del paradiso quale ricompensa delle loro retto agire.

Due qualità, quindi, caratterizzano questa teoria: la prima, l'assolutezza di quanto prestabilito dall'eternità, e la seconda, il capovolgimento della relazione tra grazia e gloria nei due diversi ordini dell'intenzione divina (ordo intentionis) e nello svolgimento temporale (ordo executionis). Poiché mentre la grazia (e il merito), nell'ordine delle intenzioni divine non è altro che il risultato o l'effetto del senso assoluto della predestinazione alla gloria, tuttavia, in ordine di svolgimento, essa diventa ragione e causa parziale della felicità eterna, come prescrive il dogma del merito per retto agire (vedi: merito).

Inoltre, la gloria celeste risulta prima nell'ordine delle decisioni prestabilite dall'eternità, e diventa ragione o origine per la concessione delle grazie, mentre nell'ordine temporale essa deve essere concepita come risultato o effetto di meriti soprannaturali. Questa concessione è importante, poiché senza di essa la teoria sarebbe intrinsecamente impossibile e teologicamente implausibile.

Ma in cosa consistono le prove positive? La teoria può trovare evidenze decisive nelle Scritture solo nella supposizione che la predestinazione alla gloria del paradiso è citata senza ombra di dubbio nella Bibbia come ragione divina per le grazie speciali concesse agli eletti. Ora, sebbene esistano numerosi testi (per es. Matteo 24:22 sq.; Atti 13:48, e altri) che potrebbero essere interpretati in questo senso senza la necessità di troppi sofismi, questi brani perdono tuttavia la forza che gli si attribuisce alla luce del fatto che altre, numerose spiegazioni, restano sia possibili se non addirittura più probabili.

I difensori della predestinazione assoluta affermano in particolare che il nono capitolo dell' Epistola ai Romani sia il "classico" brano in cui san Paolo sembra rappresentare la felicità eterna degli eletti non solo come opera della più pura misericordia, ma anche come azione della volontà più arbitraria, in modo che la grazia, la fede, la giustificazione figurino come effetti scontati di una prestabilita volontà divina (cfr. Romani, 9:18: "Dio quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole"). Ora, è piuttosto ardito citare uno dei passaggi più difficili e oscuri della Bibbia come "testo classico" per poi basare su di esso una tesi che vi accomodi speculazioni così ardite.

Nello specifico, è impossibile approfittare di quanto descritto nella scena in cui l'Apostolo paragona Dio al vasaio che "è padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare" (Romani, 9:21) senza cadere nella blasfemia calvinista che afferma che Dio, così come ha predestinato positivamente un gruppo di persone all'inferno e al peccato ne ha predestinato altrettanto positivamente un altro alla vita eterna.

Non è neppure ammissibile interpretare il pensiero dell'Apostolo come reprobazione negativa contro alcune persone in particolare. Perché l'intenzione fondamentale dell' Epistola ai Romani consiste nell'insistere sulla gratuità della vocazione alla cristianità respingendo la presunzione ebraica per la quale il possesso della Legge Mosaica e la discendenza carnale da Abramo fece degli ebrei dei prescelti rispetto ai pagani. Ma l'Epistola non ha nulla a che vedere con la domanda speculativa se si debba considerare o meno la libera vocazione alla grazia un esito necessario della predestinazione eterna alla gloria dei cieli (cfr. Franzelin, De Deo uno, thes. lxv (Roma, 1883).

E' altrettanto difficile trovare nelle scritture dei Padri solide ragioni in sostegno della predestinazione assoluta. L'unico che possa essere citato con qualche buona ragione a sostegno di tale tesi è sant'Agostino, la cui posizione, però, lo isola quasi completamente rispetto a quelle dei suoi predecessori e dei suoi successori. Neanche i suoi più fedeli discepoli, Prospero e Fulgenzio, seguirono il maestro in tutte le sue posizioni più estreme. Ma un problema così profondo e misterioso, che non appartiene alla sostanza della Fede e che, per usare l'espressione di Papa Celestino I (d. 432), concerne "profundiores difficilioresque partes incurrentium quæstionum (cfr. Denz., n.142), non può essere risolto con la sola autorità di Agostino.

Inoltre, la vera opinione del dottore africano è disputata anche tra le migliori autorità sull'argomento, tanto che ogni parte difende le propria opinione, in contrasto con le altre, ma appoggiandosi sempre alla sua autorità (cfr. O. Rottmanner, "Der Augustinismus" (Munich, 1892); Pfülf, "Zur Prädestinationslehre des hl. Augustinus" in Innsbrucker Zeitschrift für kath. Theologie, 1893, 483 sq.). Per quanto concerne il tentativo fallito di Gonet e Billuart di provare la predestinazione assoluta ante prævisa merita, "con argomentazioni logiche", vedi Pohle, Dogmatik, II, 4a ed., Paderborn, 10909 445 sq.

La teoria della reprobazione negativa dei dannati

La necessità logica alla quale essa ci lega, quella di associare la predestinazione assoluta alla gloria a una reprobazione altrettanto assoluta, per quanto solo negativa, e non tanto il fatto che essa non sia dimostrabile a partire dalle Scritture o dalla Tradizione, ci dissuade nettamente dall'imbracciare la teoria appena discussa. Gli sforzi, pur in buona fede di alcuni teologi (es.: Billot) di fare una distinzione tra i due concetti sottraendosi alle conseguenze nefaste della reprobazione negativa non possono nascondere, se esaminati più da vicino, l'inutilità di questi artifici logici.

Da qui, i primi difensori della predestinazione assoluta si astennero sempre dal negare che la loro teoria li costringesse a teorizzare una ipotesi parallela, negativa, per gli empi - sostenendo cioé che, per quanto non positivamente predestinati all'inferno, ad essi era tuttavia precluso l'accesso al paradiso senza ombra di dubbio (cfr. supra, I, B). Mentre è stato facile per i tomisti conciliare questa opinione con la loro praemotio physica, i pochi molinisti si trovarono alle corde quando dovettero conciliare la reprobazione negativa con la loro scientia media. Per dissimulare l'asprezza e la crudeltà di tanta risoluzione divina, i teologi hanno creato espressioni più o meno palliative, affermando che la rebrobazione negativa è l'assoluta volontà di Dio di "tralasciare" a priori coloro che non sono predestinati, cioé di "non soffermare la sua attenzione", "non sceglierli", o "non farli entrare per nulla" in paradiso.

Solo Gonet ha avuto il coraggio di usare il termine giusto: "esclusione dal paradiso" (exclusio a gloria). Per un altro aspetto, inoltre, i sostenitori della reprobazione negativa si trovano in disaccordo tra loro stessi, vale a dire sulla causa della reprobazione divina. I rigoristi (come Alvarez, Estius, Sylvius) ritengono che tale causa consista nella volontà sovrana di Dio il quale, senza tenere in conto i loro possibili peccati e difetti, avrebbe deciso a priori di tenere i non predestinati fuori dal paradiso, pur non avendoli creati apposta per l'inferno.

Una seconda opinione più moderata (es.: de Lemos, Gotti, Gonet), che si ispira alla dottrina agostiniana della massa damnata, trova la sua ragione ultima per l'esclusione dal paradiso nel peccato originale, in cui Dio potrebbe, senza essere ingiusto, lasciare quanti ritenga opportuno. La terza e più moderata opinione (vedi: Goudin, Graveson, Billuart) fa derivare la reprobazione non da una esclusione diretta dal paradiso, ma dall'omissione di una "effettiva predestinazione al paradiso") rappresentando Dio come se avesse stabilito ante praevisa merita di lasciare i non predestinati nella loro debolezza peccaminosa, senza negare loro le grazie necessarie e sufficienti; in questo modo essi risolverebbero il problema dell'infallibilità. (cfr. "Innsbrucker Zeitschrift für kath. Theologie", 1879, 203 sq.).

Qualunque opinione ci si faccia sulle probabilità interne della reprobazione negativa, essa non potrà conciliarsi con le certezze dogmatiche della universalità e della sincerità della volontà salvifica di Dio. Perché la predestinazione assoluta dei beati è allo stesso tempo volontà assoluta di Dio di "non scegliere" a priori il resto dell'umanità (Suarez), o, e qui si ritorna sullo stesso problema, "di escluderla dal Paradiso" (Gonet), in altre parole, di non salvarla. Mentre alcuni tomisti (come Bañez, Alvarez, Gonet) accettano questa conclusione fino al punto di sfumare la "voluntas salvifica" in una "velleitas" inefficiente in contrasto con rilevanti dottrine della rivelazione, Francisco Suárez fatica non poco a difendere la sincerità della volontà salvifica di Dio, anche verso coloro che sono reprobati negativamente.

Ma invano. Come può meritare di essere chiamata seria e sincera quella volontà salvifica che abbia prestabilito da sempre l'impossibilità metafisica della salvezza? Colui che è stato reprobato negativamente può esaurire tutti i suoi sforzi volti a conseguire la salvezza: non gli serviranno a nulla. Inoltre, per portare infallibilmente a compimento quanto da Lui prestabilito, Dio è costretto a sacrificare il bene eterno di tutti gli esclusi a priori dal paradiso, facendo sì che muoiano nel peccato.

E' questo il linguaggio in cui le Sacre Scritture ci parlano? No, in esse incontriamo un padre affettuoso e preoccupato per il nostro bene, che non vuole "che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi" (2 Pietro 3:9) Lessius afferma giustamente di sentirsi indifferente al fatto di rientrare tra i reprobati positivi o tra i negativi, perché, in tutti e due i casi la sua dannazione sarebbe certa. La ragione di ciò è che nell'economia presente l'esclusione dal paradiso significa per gli adulti praticamente lo stesso della dannazione. Uno stato intermedio, di sola beatitudine naturale, non esiste.


La teoria della predestinazione post post prævisa merita

Questa teoria, difesa da scolastici più antichi (Alessandro di Hales, Sant'Alberto Magno) e dalla maggior parte dei molinisti, caldeggiata da san Francesco di Sales come "opinione più sincera e interessante", ha come tratto distintivo il fatto di essere libera dalla necessità logica di sostenere la reprobazione negativa. Essa differisce della predestinazione ante praevisa merita in due punti: primo, respinge la predestinazione assoluta e presume una ipotetica predestinazione alla gloria; secondo, non inverte l'ordine di successione di grazia e gloria in quelli di intenzione eterna e svolgimento cronologico, facendo invece dipendere la gloria dal merito sia nell'eternità che nello sviluppo temporale degli eventi.

Questa ipotetica predestinazione vuol dire: "come nel corso degli eventi la felicità eterna dipende dal merito come condizione prima, così ho inteso che il paradiso fosse dal principio dei tempi un premio predestinato". - E' solo per l'infallibile prescienza di tali meriti che la predestinazione ipotetica si muta in un assoluto, per il quale solo alcuni e non altri saranno salvati.Questa posizione non solo salvaguarda l'universalità e la sincerità della volontà salvifica di Dio, ma coincide perfettamente con gli insegnamenti di san Paolo (cfr. 2 Timoteo, 4:8), che sa che "resta" ("reposita est, apokeitai") in paradiso "una corona di giustizia", che "il giusto giudice, mi consegnerà" (reddet, apodosei) nel giorno del giudizio.

Ancora più chiara è l'inferenza tratta dalla frase del Giudice Universale (Mt 25,34 ): "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare" ecc. Come le opere di misericordia sono nell'ordine di tempo la condizione prima per ricevere l' "eredità" del Regno dei Cieli, così la "preparazione" del Regno nell'ordine eterno, o predestinazione alla gloria, è concepito come dipendente dalla prescienza del compimento delle opere pie.

Da una simile frase di condanna (Mt 25,41 ) si trae la stessa conclusione: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare" ecc. Perché è evidente che il riferimento al "fuoco eterno dell'inferno" può soltanto essere per tutta l'eternità, come punizione del peccato e delle debolezze, cioé, per avere trascurato i precetti della carità cristiana, allo stesso modo in cui esso è inflitto nel tempo. Concludendo 'a pari', dobbiamo affermare lo stesso della felicità eterna.


Questa spiegazione trova una splendida conferma nei Padri Greci. In genere, i greci sono le autorità più importanti in materia di predestinazione condizionale dipendente da meriti previsti dal disegno divino. Anche i latini sono talmente unanimi sul problema che sant'Agostino resta praticamente il solo contendente di queste teorie nel pensiero occidentale. Sant'Ilario (in Salmi lxiv, n.5) afferma espressamente che la predestinazione eterna procede dalla "scelta del merito" (ex meriti delectu), e sant'Ambrogio insegna nella sua parafrasi a Rom., VIII, 29 (De fide, V, VI, 83):"Non enim ante praedestinavit quam praescivit, sed quorum merita praescivit, eorum praemia praedestinavit" (Egli non ha predestinato fin dal principio prima di conoscere, ma per quei meriti che egli aveva previsto, ha predestinato la ricompensa). Per concludere, nessuno può tacciarci di spavalderia se affermiamo che la teoria qui esposta trova più fermo fondamento nelle Scritture e nella Tradizione di quella ad essa contraria.

Bibliografia e fonti

Il presente articolo e la sua bibliografia sono una traduzione integrale da New Advent (The Catholic Encyclopaedia, New York, 1913

Fonti bibliografiche originali

  • Baltzer, Des hl. Augustinus Lehre über Prädestination und Reprobation (Vienna, 1871);
  • Franzelin, De Deo uno (Rome, 1883);
  • Hosse, De notionibus providentiæ prædestinationisque in ipsa Sacra Scriptura exhibitis (Bonn, 1868);
  • Lessius, De perfectionibus moribusque divinis, XIV, 2;
  • Idem, De præd. et reprob., Opusc. II (Paris, 1878);
  • Lombard, Peter, Sent., I, dist. 40-41:
  • Mannens, De voluntate Dei salvifica et prædestinatione (Louvain, 1883);
  • Oswald, Die Lehre von der Gnade, d. i. Gnade, Rechtfertigung, Gnadenwahl (Paderborn, 1885);
  • Pesch, Præl. Dogmat., II (Freiburg, 1906);
  • Petavius, De Deo, IX—X
  • Idem, De incarnatione, XXIII;
  • Pohle, Dogmatik, II (Paderborn, 1909).
  • Ramirez, De præd. et reprob. (2 vols., Alcalá, 1702)
  • Ruiz, De prædest. et reprobatione (Lyons, 1828);
  • San Tommaso, I, Q. xxiii;
  • Scheeben-Atzberger, Dogmatik, IV (Freiburg, 1903);
  • Schrader, Commentarii de prædestinatione (Vienna, 1865);
  • Simar, Dogmatik, II, section 126 (Freiburg, 1899);
  • Tepe, Institut. theol., III (Paris, 1896);
  • Tournely, De Deo, qq. 22-23;
  • Van Noort, De gratia Christi (Amsterdam, 1908);
  • Weber, Kritische Gesch. der Exegese des 9 Kap. des Römerbriefes (Würzburg, 1889)

Voci correlate