Kerygma: differenze tra le versioni

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{{quote biblico2biblico con libro|Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra [[predicazione]] (''kérigma'') ed è vana anche la vostra fede.|1Cor|15,14}}
 
[[File:Paolo_areopago.jpg|350px|right|thumb|T. Shilippoteaux ([[XIX secolo]]), [[San Paolo Apostolo|San Paolo]] [[predicazione|predica]] all'[[areopago]] di [[Atene]], {{pb|At|17,22-34}}, incisione]]
==== In Matteo ====
 
La prima occorrenza di κήρυγμα, è in {{Pb|Mt|12,41}}, dove è ancora ricordato {{Pb|[[Giona}}]] ({{Pb|Mt|12,39-41}}). Nelle parole stesse di Gesù, che l'[[evangelista]] riporta, c'è polemica con un uditorio religioso ma scettico: nel giorno del giudizio, gli abitanti laici di [[Ninive]] si ergeranno a giudici di coloro che, nonostante l'autorevolezza di "uno più grande di Giona", e che è Gesù stesso, non credono nel [[vangelo]] del regno di Dio. Invece molti non giudei si convertirono alla semplice "[[predicazione]]" di un profeta riottoso. In questo κήρυγμα [[Matteo]] sintetizza la predicazione del [[vangelo]] del [[regno di Dio]], il compimento delle opere messianiche da parte di Gesù assieme alla sua morte, innocente, ma seguita dopo tre giorni dalla risurrezione.
 
==== In Marco ====
=== Nel corpus paulinum ===
 
Il superamento del primato delle [[Scritture]], o della lettera che può uccidere (cfr. {{Pb|Rm|2,29;7,6;}}; {{Pb|2Cor|3,6}}), è attraverso il κήρυγμα, documentato in almeno sei di tredici lettere tra loro canonicamente unite sotto il nome di [[Paolo]] come mittente.
 
==== In Romani ====
 
{{Pb|Romani|16,25}} fa parte di una [[lettere di Paolo|lettera]], pensata da [[Paolo]] ma scritta da Terzo ({{Pb|Romani|16,22}}). In {{Pb|Romani|16,25}} Paolo pronuncia una solenne dossologia a conclusione di un documento il cui argomento è Dio in una teologia nuova e completa rispetto all'[[Antico Testamento]]. In realtà, non solo qui in [[Romani]] ma in tutte le [[lettere di Paolo|13 lettere]], si scrive di Dio come Padre di Gesù, a sua volta professato [[Cristo]], [[Signore]] perché vero [[Figlio]]. Paolo introduce, primo [[agiografo]] a farlo, lo [[Spirito Santo]], come distinto ma in comunione con Padre e Figlio e con tutti i figli e le figlie di Dio, quali sono da considerare coloro che credono nel vangelo. Nel [[corpus paulinum]] la teologia è matura. Anche qui, in {{Pb|Romani|16,25}}, costituisce direttamente e indirettamente, il contenuto del kerigma cristiano.
*Gli antichi [[manoscritti]] differiscono tra loro nel collocare la dossologia, normalmente compresa tra il versetto 25 e il 27 del capitolo 16<ref>In altri codici è invece collocata:
* dopo 16,23 (in P61 א B C D 81 365 630 1739 2464 ''al co'');
* dopo 14,23 e dopo 16,23 (A P 33 104 2805 ''pc'');
* dopo 14,23 e dopo 15,33 (solo in 1506)</ref>. Questa incertezza sulla posizione fa pensare non tanto che la dossologia sia una aggiunta, quanto che la sua collocazione sia opera di amanuensi. Infatti, i testimoni che la omettono del tutto, qualche volta lasciando lo spazio bianco di alcune righe <ref>Come fa G</ref>, sono pochi<ref>F G 629 Hier''mss''</ref>.
*Il κήρυγμα è qui presente come parola chiave di questa dossologia mobile e la motiva. [[Paolo]] si rivolge ai romani affidandoli, a conclusione della lettura pubblica della lettera, a [[Dio Creatore]] e Signore, pur senza nominarlo se non indirettamente come "colui che può" stabilirli, secondo il "[[vangelo]] e il κήρυγμα di Gesù Cristo", e secondo l'[[apocalisse]] o manifestazione "del [[mistero]] rimasto silente" per secoli. Il termine è contestualmente determinato dall'antitesi ''parlare-far silenzio'' ed è descritto da parole dello stesso campo semantico, come "[[vangelo]]" e "apocalisse" che chiaramente implicano, come contenuto del κήρυγμα, il genitivo esplicativo "di Gesù Cristo". Kerigma è la proclamazione pubblica, "la parola della [[fede]] che proclamiamo" <ref>Cfr. {{Pb|Romani|10,8}}: τὸ ῥῆμα τῆς πίστεως ὃ κηρύσσομεν</ref> affidata all'apostolo<ref>Cfr. ancora κηρύσσω in {{Pb|Romani|10,14s14-15}}.</ref> per professare, in contesti prevalentemente giudaici, che Gesù è "il Cristo"<ref>Cfr. {{Pb|Atti|9,22;18,5.28}}.</ref> e in generale, che Gesù è "il Signore"<ref>Cfr. {{Pb|Atti|11,20}}; {{Pb|1Cor|4,4;12,3.5;14,37;15,58}}.</ref> di tutti, senza distinzione tra giudei e greci.
 
==== In 1Corinzi ====
 
In {{Pb|1Corinzi|1,21}}, altro testo polemico indirizzato a destinatari diversi dai romani, il κήρυγμα è la proclamazione, con parole orali e scritte, della messianicità di [[Crocifissione di Gesù|Gesù crocifisso]], direttamente e indirettamente evocato più volte<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|1,13.17s17-18.23;2,2.8;}} {{Pb|2Corinzi|13,4}}</ref> anche in prossimità di κηρύσσω, come in {{Pb|1Corinzi|1,23}}: "noi invece proclamiamo Cristo [il] crocifisso", uno scandalo per i [[giudei]] e vera follia per gli etnici greci. In {{Pb|1Corinzi|1,21}}, [[Paolo]] riflette come il [[mondo ellenistico]], con la sua tradizione letteraria e filosofica, non abbia riconosciuto Dio che, nella sua sapienza, si è compiaciuto di "salvare" i credenti "per mezzo della follia del κήρυγμα". Parlando di follia, la propria<ref>Cfr. {{Pb|2Corinzi|11,16.12,11}}.</ref> e quella di [[Dio]], [[Paolo]] pensa alle difficoltà nel convincere [[greci]] e [[giudei]], che [[Gesù]], crocifisso, è [[Messia]] o [[Cristo]], completo e definitivo.
*Nel contesto,<ref>In {{Pb|1Corinzi|2,2s2-3}}</ref> [[Paolo]] ricorda il suo arrivo "in [[debolezza]] e timore" a [[Corinto]], proveniente da [[Atene]] dopo aver subito una canzonatoria contraddizione da parte di [[filosofi stoici]] ed [[epicurei]]<ref>Cfr. {{Pb|Atti|17,18}}.</ref> a conclusione di un nobile discorso su Dio, costruito a tavolino, secondo i canoni del ragionamento greco, quando aveva accennato a un uomo [[Risurrezione|risuscitato dai morti]] e costituito da quello stesso Dio di tutti, giudice degli uomini. A [[Corinto]], nella sua prima venuta, aveva rinunciato a questo modo di [[inculturazione|inculturare]] il [[vangelo]] e ora commemora quella scelta radicale: fin nel primo incontro "ritenni infatti tra di voi di non sapere altro se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso". Per conoscere il [[Dio ignoto]], invisibile [[Creatore]] del cielo e della terra, è ora importante spostare l'attenzione sull'uomo [[Crocifissione di Gesù|crocifisso]].
*In {{Pb|1Corinzi|2,4}}, [[Paolo]] continua a precisare con polemica l'opzione antiretorica: "la mia parola e il mio κήρυγμα" non consistettero in persuasive parole di sapienza, ma "in manifestazione di spirito e di potenza." La distinzione tra λόγος – parola – e κήρυγμα è qui la stessa che esiste normalmente tra predicazione e il suo contenuto. All'[[apostolo]] preme affermare che, in ogni caso, materia prima e "[[vangelo]]" non è la sapienza greca (né la legge mosaica) ma il "λόγος, quello della croce", che se è pazzia per alcuni, è salvezza per chi l'accoglie (cfr. {{Pb|1Corinzi|1,18}}) credendo a [[Paolo]] quando proclama che il [[Crocifissione di Gesù|crocifisso]] è Cristo, rivelazione autentica della "potenza di Dio" per i [[giudei]], e della "sapienza di Dio" per i [[greci]].<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|1,24}}.</ref> Contenuto del kerigma ai [[corinzi]] è stata fin dagli inizi ed è ora per scritto, un'antitesi, ma che è una sintesi per [[Paolo]], un ritornello in {{Pb|1Corinzi|1-4}}<ref>Cfr. {{Pb|2Corinzi|10-13}}.</ref> e che è ricapitolata in due frasi parallele di {{Pb|1Corinzi|1,25}}, dove sono presenti oltre al [[Crocifissione di Gesù|Cristo crocifisso]], le reazioni di greci e giudei: "la cosa pazza di Dio è più sapiente degli uomini e la cosa debole di Dio è più forte degli uomini". È questa la inculturazione della [[professione di fede]] insieme conflittiva e agonistica<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|9,27}}.</ref> ma anche [[apostolica]]<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|15,11}}.</ref> nel [[vangelo]] della morte e risurrezione di Gesù, salvatore di ogni uomo. L'universalità è qui percepibile nella menzione di "uomini": utilizzino essi categorie ebraiche o greche nel loro rapporto con Dio. Tutti sono invitati, per mezzo della predicazione stolta di [[Paolo]], a misurarsi con il Creatore passando per la [[fede]] in un uomo che è il [[Cristo]], [[Crocifissione di Gesù|crocifisso]] e [[risurezzione|risorto]].<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|15,12}}.</ref>
*Nella terza ed ultima occorrenza di κήρυγμα, in {{Pb|1Corinzi|15,14}}, ragionando con alcuni forse di origine greca che dubitano della necessità di una risurrezione fisica, [[Paolo]] ricorda che la [[fede]] nella risurrezione e nella vita attuale dell'ultimo [[Adamo]]<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|15,22.45}}.</ref> è l'unica che dia senso al predicare e alla [[chiesa]] di Dio<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|12,28;15,9}}.</ref>: se [[Gesù Cristo|Cristo]] non è risorto (qui [[Paolo]] usa l'indicativo), "vuoto è il nostro κήρυγμα", e "vuota anche la vostra fede". La fede è priva di contenuto; è vinta e sterilizzata dall'attesa della morte. La stessa [[predicazione]] che per Paolo non è solo "parola" ma condivisione esistenziale della croce di Cristo, portandone nel proprio corpo la morte<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|4,9-13}}; {{Pb|2Corinzi|4,1-15;12,7-12}}.</ref> o le stigmate,<ref>Cfr. {{Pb|Galati|6,17}}.</ref> diverrebbe insignificante, e tale sarebbe anche la relazione tra lui, l'apostolo delle genti, e loro, i destinatari prima della proclazione orale o ora di questa lettera. Senza fede pasquale, inerti e senza vita resterebbero le relazioni parentali e le interrelazioni ecclesiali a [[Corinto]] e con le altre chiese locali.<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|7,17;11,16;16,19}}</ref>. [[Paolo]] identifica la sua, o "nostra" predicazione, orale o scritta che sia del [[vangelo]], come il contenuto essenziale e la struttura portante della [[fede]] in Dio, sapiente e potente, che salva gli uomini e le donne dalla morte con l'[[apostolato]] di Paolo, con la [[vocazione]] ed elezione di chiunque accoglie il kerigma<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|1,1.2.9.24-28;7,18-24;15,9}}.</ref> per formare un unico nuovo "corpo di Cristo", secondo una ecclesiologia<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|6,15;10,16;12,27}}</ref> che deriva interamente dalla [[fede]] nella morte e risurrezione di Gesù.
==== In 2Timoteo ====
 
In {{Pb|2Timoteo|4,17s17-18}}, in un testo autobiografico del mittente, che secondo {{Pb|2Timoteo|1,1}} (e {{Pb|1Timoteo|1,1}}) è lo stesso [[Paolo]], l'apostolo di {{Pb|Romani|1,1}} e di {{Pb|1Corinzi|1,1}} (e di {{Pb|2Corinzi|1,1}}).
*A [[Timoteo]] egli ora ricorda il voltafaccia di un collaboratore di entrambi, di Alessandro il fabbro, che gli ha procurato danni. Timoteo deve restarne in guardia perché Alessandro "si è opposto alle nostre parole" ({{Pb|2Timoteo|4,15}}), cioè alla "nostra" predicazione del "vangelo" di Gesù Cristo, salvatore pari a Dio, che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e la incorruttibilità dell'uomo. Per proclamare tale "[[vangelo]]", in {{Pb|1Timoteo|1,10s10-11}}, "io sono stato costituito κῆρυξ (kêryx) e [[apostolo]] e [[maestro]]". A Timoteo Paolo scrive anche di come, finito in tribunale, egli abbia dovuto difendersi da solo, essendo stato abbandonato da tutti; non però dal Signore che l'ha assistito e incoraggiato "perché, per mio tramite, il κήρυγμα fosse completato" e "tutte le nazioni lo ascoltassero". Solo per questo motivo, per completare la [[missione]] affidatagli, Paolo non è stato dato in pasto al leone e resta fiducioso che il Signore continuerà a liberarlo fino a missione compiuta, quando lo porterà, salvo, nel suo regno. Ora Timoteo deve assumersi le stesse responsabilità. Paolo lo scongiura davanti a Dio e a Gesù Cristo, il giudice dei vivi e dei morti, dandogli una serie coordinata di ordini: "proclama la parola"<ref>κήρυξον τὸν λόγον ({{Pb|2Timoteo|4,2}})</ref> è il primo; quindi seguono gli altri: "insisti" al momento opportuno e non opportuno, "ammonisci", "rimprovera", "esorta" con sana "dottrina" e sempre con grandezza d'animo.
*In questa progressione delle fondamentali attività pastorali a vantaggio di una [[chiesa]] (forse quella di [[Efeso]]), la proclamazione della parola, come testimonianza personalmente coinvolgente nella morte e risurrezione di Gesù, è quella motivante. Tutto deve avvenire dopo, e niente senza il κήρυγμα.
 
==== In Tito ====
 
Anche in {{Pb|Tito|1,3}}, nel saluto iniziale della lettera a questo distinto pastore ellenista<ref>Cfr. {{Pb|2Corinzi|2,13;7,6.13f13;8,6.16.23;12,18}}; {{Pb|Galati|2,1.3}}; {{Pb|2Timoteo|4,10}}; {{Pb|Tito|1,4}}</ref>, [[Paolo]] che si è appena introdotto come lo "schiavo" di Dio e "[[apostolo]]" di Gesù Cristo "per la fede degli eletti e per la conoscenza approfondita della verità" (cfr. {{Pb|Tito|1,1}}), esorta alla speranza nella vita senza fine. Dio, che non mente, l'ha promessa fin da prima del tempo. Recentemente, al momento giusto, ha manifestato τὸν λόγον αὐτοῦ ἐν κηρύγματι – "la sua parola nella predicazione", affidata in modo speciale a Paolo, in base ad un diretto "ordine del salvatore nostro Dio".
 
== Termini correlati ==
 
Nella [[Bibbia greca]] sono documentati almeno altri sei lemmi con la stessa radice:
* il verbo κηρύσσω (''kērýssō'') è utilizzato 93 volte, concentrandosi statisticamente nel libro di due [[profeta|profeti]], di {{Pb|[[Giona}}]] (5 volte)<ref> In {{passo biblico|Gion|1,2;3,2.4-5.7}}.</ref> e di [[Gioele]] (4 volte)<ref>In {{passo biblico|Gl|1,14;2,1.15;4,9}}.</ref> più che altrove; nel [[Nuovo Testamento]] è nel [[vangelo di Marco]] dove si concentra (14 volte);<ref>In {{passo biblico|Mc|1,4.7.14.38-39.45;3,14;5,20;6,12;7,36;13,10;14,9;16,15.20}}.</ref> la prima occorrenza della [[Bibbia]] è in {{pb|Gen|41,43}} dove κηρύσσω traduce, quasi onomatopeicamente קָרָא (''qara'''), mentre l'ultima è in {{pb|Ap|5,2}} dove si dice che un angelo forte "proclamava" a gran voce una domanda [[Messia|messianica]]: "Chi è degno di aprire il librino e scioglierne i sigilli?".
* Il nome maschile κῆρυξ (''kêryx''), che indica colui che predica o proclama, quindi il "banditore" o "araldo" o anche il "predicatore" o "messaggero"; è presente solo 8 volte in altrettanti versetti, ma non tutti canonici.<ref>In {{pb|Gen|41,43}}; nell'[[apocrifo]] [[4Mac]] 6,4; in {{pb|Sir|20,15}}; in {{pb|Dn|3,4}} dei [[Septuaginta|Settanta]] e in {{pb|Dn|3,4}} di [[Teodozione]]; in {{pb|1Tm|2,7}}, {{pb|2Tm|1,11}} e in {{pb|2Pt|2,5}}} dove è Noè l'"araldo di giustizia".</ref>
* Un verbo composto, ἀνακηρύσσω (''anakērýssō'') ricorre solo in 4Mac 17,23, dove l'autore descrive i [[sette fratelli maccabei|sette fratelli]] [[ebrei]] martiri: il tiranno [[Antioco IV Epifane|Antioco]], [[ellenismo|ellenista]], testimone oculare dell'evento, con stupore "li proclamò" o additò ai suoi soldati come un esempio da seguire nel sopportare anche i più crudi tormenti fisici.

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