Walahfrid Strabo

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Valafrido Strabone, O.S.B.
Religioso
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Titolo
Incarichi attuali
Abate
Età alla morte circa 40 anni
Nascita Svevia
808 o 809
Morte Reichenau
849
Sepoltura
Conversione
Appartenenza
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Professione religiosa 824
Ordinato diacono
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Valafrido Strabone, in tedesco Walahfrid Strabo (Svevia, 808 o 809; † Reichenau, 849), è stato un abate, teologo e poeta tedesco.

Biografia

Valafrido (Walahfrid) Strabone (vale a dire lo Strabico) nacque da famiglia alemanna di modesta posizione sociale tra l'808 e l'809. Durante la sua giovinezza, studiò nell'importante abbazia di Reichenau. Il suo primo insegnante di grammatica latina fu Vetti, morto nel 824, protagonista del poema giovanile di Valafrido intitolato Visio Wettini, a cui seguirà Tatto.

Nell'827, Valafrido si reca a perfezionare la sua formazione, specialmente quella teologica, nella grande Abbazia di Fulda ove ebbe come maestro il celebre Rabano Mauro, allievo di quell'Alcuino di York che fu il più grande sistematizzatore della cultura d'età carolingia. A Fulda conobbe Gotescalco, dalla cui amicizia scaturiranno quelle che, secondo F. Stella sono "alcune delle poesie più belle del medioevo". Sempre a Fulda, ricordata da Valefrido per il freddo e la povertà, compose una nostalgica poesia in versi saffici a Reichenau.

Nell'829 divenne precettore del giovane figlio di Ludovico il Pio, che divenne famoso con il nome di Carlo il Calvo. Di questo periodo il poeta non parla, ma sembra alludervi con la sibillina frase nebbie palatini contenuta in una delle liriche a Gotescalco: sembrerebbe che Valafrido fosse rimasto coinvolto in conflitti dinastici e politici, tanto da esser stato costretto nel 833 all'allontanamento o peggio all'esilio da Lotario. Alcuni studiosi ritengono, sulla base di manoscritti dell'autore rinvenuti, che il luogo deputato al suo esilio sia stato Weissenburg. II ritorno al potere di Carlo il Calvo nell'834 coincise col ritorno di Valafrido.

Nell'838, al termine del suo impegno di istruttore, fu nominato abate di Reichenau. A causa delle guerre tra i figli successori di Ludovico (Lotario I, Pipino di Aquitania, Ludovico II il Germanico e Carlo il Calvo) dovette lasciare l'abbazia dove fu reintegrato solo nell'842. Entrò quindi al servizio di Ludovico fino alla propria morte.

Opere

Scrisse opere di argomento teologico e agiografico. Tra le sue opere in prosa ricordare: testi esegetici delle Sacre Scritture e il Libellus de exordiis et incrementis quarundam in observationibus ecclesisticis rerum, che si occupa di edifici e altari, della posizione delle chiese, dell'uso delle campane, degli equivalenti germanici di termini ecclesiastici, dell'uso delle immagini, dell'evoluzione della messa, dei riti battesimali[1].

Tra le opere in versi invece ricordiamo: la Visio Wettini (Visione di Vetti), prima opera occidentale in versi - in prosa vi erano già stati dei precedenti - in cui si descrive l'Aldilà; l'A.,appena diciottenne, inaugura una tradizione tipica del medievo: un viaggio fra Inferno e Paradiso che apre squarci sulle figure principali del periodo, sulla vita di corti e abbazie, sui movimenti di riforma che agitavano il IX sec. I sogni di un monaco dell'isola di Reichenau (lago di Costanza) diventano strumento di satira di costume e critica politica in versi di fattura epica.

La versificazione Vita et finis Mammae monachi, in cui si descrive la vita di san Mamma di Cappadocia, patrono di Langres, accusato di magia; i Versus de beati Blaithmaic vita et finis, storia di un martire irlandese morto nell'825 a causa di un'incursione di vichinghi; la versificazione della Vita di San Gallo, che fu ultimata da un monaco anonimo (836-7), a partire da materiali di Vetti e Gozberto, e alla Vita Othmari; il De imagine Tetrici (829), un dialogo tra il poeta e la sua ispirazione(Scintilla), dal carattere allegorico ed ermetico su una statua fatta portare da Ravenna ad Aquisgrana raffigurante Teodorico.

Il suo capolavoro è certamente il De cultura hortorum o Hortulus, in cui descrive le piante del suo orticello monastico (oggi ricostruito a Reichenau) ricordando gli addentellati mitologici e le qualità terapeutiche di ogni pianta. Si tratta di un'opera che trae le proprie mosse da testi come il Capitulare de Villis di Carlo Magno, il Medicina Plinii di Sereno Sammonico e il Dynamidia dello pseudo-Apuleio, ma in cui il poeta rivela un'incredibile indipendenza dai modelli: forte è la sua partecipazione personale e vivace la capacità di interpretare allegoricamente i significati attribuiti alle piante.

Fu anche poeta lirico, votato all'espressione dei sentimenti più intimi e nostalgici. E proprio in questa sua produzione minore mette in luce il suo genio più originale e personale, a cui va aggiunta una varietà metrica non più raggiunta dopo Boezio.

In ambito didascalico produsse un poemetto (Liber de cultura hortorum) in esametri, dedicato alla coltivazione delle piante da giardino, ornamentali, officinali e alimentari.

Note
  1. Stella, op.cit., p. 12
Bibliografia
  • Valafrido Strabone (a cura di F. Stella ), Visione di Vetti. La più antica visione poetica dell'Aldilà, Pacini, Pisa 2010.
Collegamenti esterni