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In questo brano il linguaggio veterotestamentario attribuisce a JHWH l'insensibilità del [[cuore]] dei suoi uditori<ref>L'[[esegesi]] interpreta tali versetti nel senso che
 
{{quote100|il comando viene usato per esprimere l'insuccesso della [[predicazione]] [[profeta|profetica]], che opera l'[[indurimento]] del [[cuore]], cioè dell'[[intelligenza]] del [[popolo di Dio|popolo]]. [[Dio]] permette questa ostinazione, di cui solamente il popolo è [[responsabilità|responsabile]]. La conseguenza dell'indurimento è il [[castigo]] divino. Quando questi versetti furono messi per iscritto, cioè dopo l'esperienza della [[visione]] divina, è probabile che la predicazione di [[Isaia]] avesse già incontrato opposizione in larghi strati della [[società]] [[giudaismo|giudaica]], e il singolare comando messo in bocca a Dio volesse insinuare che l'insuccesso della [[missione]] di Isaia era stato previsto e perciò il profeta non doveva scoraggiarsi.|[[Stefano Virgulin]], commento a {{pb|Is|6,9-10}}, in ''La [[Bibbia]]. Nuovissima versione dai testi originali'', II: [[Antico Testamento]], [[Edizioni Paoline]], Cinisello Balsamo, 1991, p. 1055.}}
 
Tale brano profetico ha avuto una risonanza notevole nella predicazione di Gesù, che lo cita quando spiega perché parla in [[parabole di Gesù|parabole]]: {{pb|Mt|13,10-14}}; {{pb|Mc|4,12}}; viene inoltre usata come criterio interpretativo dell'[[incredulità]] dei suoi uditori: {{pb|Gv|12,37-40}}; anche [[San Paolo Apostolo|San Paolo]] la cita: {{pb|At|28,24-27}}.</ref>.

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