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== Etimologia ==
Il termine italiano ''mistèro'', riconosciuto come voce dotta, deriva da due forme italiane più antiche coniate, infatti, intorno al [[XIV secolo]] ed
* ''mistèrio'', abbastanza usata in passato in ambito poetico<ref>cfr AA. VV., Dizionario Enciclopedico Italiano Treccani, Istituto Poligrafico dello Stato, [[Roma]] [[1970]], v.7.</ref> ma ancor'oggi fuori da tale ambito viene usata pur se raramente
* ''mistièro'', abbastanza usata in passato sia in ambito letterario<ref>cfr AA. VV., Grande Dizionario della Lingua Italiana, UTET [[Torino]] [[1978]], v. 10.</ref>
La parola italiana deriva, a sua volta, dal latino ''mistērĭum'', in quanto si verifica una variazione nella finale centro-meridionale non toscana di -eriu prima in -erio e poi in -ero<ref>cfr G. Devoto, Dizionario Etimologico, Le Monnier, [[Firenze]] [[1968]].</ref> limitatamente a ''mistèrio'', mentre la stessa variazione avviene da -eriu direttamente in -ero limitatamente a ''mistièro''.
Il termine latino deriva da una forma, probabilmente più antica ma sicuramente grecizzata, ossia ''mysterium'' che nell'alto medioevo per confusione con il termine latino ''ministerium'', ''ministero'' e ''mestiere'', viene utilizzato anche in tali sensi negli ambiti del servizio, dell'ufficio o della cerimonia: verosimilmente, secondo alcuni, ciò sarebbe la causa della doppia derivazione italiana, ossia ''mistèrio'' e ''mistièro'', con la conseguenza che in Italiano vengono ridistinte le due accezioni portanti che erano state confuse nel latino medioevale.<ref>L'attuale termine italiano ''mestiere'' non deriva comunque da ''mistièro'' ma dal francese ''mestier'' che deriva, a sua volta, dal latino ''ministerium''.</ref>
Il termine latino deriva dal greco ''μυστήριον, mystérion,'' che nella letteratura latina cristiana e profana viene certamente tradotto con la parola ''mysterium'' ma talora anche con la parola ''sacramentum'', ''sacramento''<ref>cfr AA. VV., Grande Dizionario Enciclopedico, UTET, [[Torino]] [[1970]], v. 12.</ref>: una certa distinzione d'uso, per la quale il primo termine sarebbe usato in ambito non liturgico
Il termine greco, a sua volta, deriverebbe o dal termine greco ''μυητής
Ciascuno dei precedenti due termini greci deriverebbe dal verbo greco ''μυεω, myeō'' ossia "sto chiuso" oppure "mi chiudo" in quanto "chiudo gli occhi" o chiudo la bocca": da tali significati deriverebbe il senso "inizio a culti segreti" o "sono iniziato a culti segreti". In ogni caso la radice del verbo sarebbe il sostantivo greco ''μυς
== Accezione figurativa ==
Nel linguaggio comune, la parola mistero è spesso utilizzata per indicare il fascino dell'incomprensibile o semplicemente ciò che è incomprensibile;<ref>Siccome il concetto di mistero, nelle sue accezioni figurative, può sfuggire sia
Gli usi figurativi della parola, in effetti, rendono ''mistero'' in alcuni casi sinonimo di [[segreto]] ma in molti casi sinonimo di ''problema''. Il concetto di [[segreto]] è trasversale sia al ''mistero'' che al ''problema'' e lo ''svelamento del [[segreto]]'' diviene ''rivelazione'' per il ''mistero'' e ''soluzione'' per il ''problema''. Invece, il concetto di ''problema'' esprime qualcosa che procede dall'uomo, sia in caso di solubilità che di insolubilità del problema stesso considerato che l'insolubilità dipende da errate impostazioni del ''problema'' o da deficienze cognitive per la soluzione dello stesso, mentre il concetto di ''mistero'', in tutte le sue accezioni non figurative, è qualcosa che riguarda l'uomo ma non procede da egli e la cui rivelazione dipende in genere dalla Divinità e comunque mai dal solo uomo.
In ogni caso, la presenza del ''problema'' non esclude la presenza del ''mistero'' e viceversa, anche in considerazione del dato generico che ogni realtà è piena di ''mistero'' in quanto qualcosa di essa resta preclusa all'investigazione umana: ciò in particolare riguarda il creato, la natura, la vita, la storia e le realtà del cosiddetto ''aldilà''. Ordinariamente l'uomo preferisce fidarsi di più della chiarezza della ragione e, quando tale chiarezza è solo presunta, giunge sempre a confondere il significato di ''mistero'' con quello di ''problema''
La cultura occidentale, sia pur nel proprio relativismo, ha preso coscienza del non riuscire a dare una soluzione a diversi enigmi, fra cui quello dell'esistenza della realtà, ed ha accettato la reintroduzione nei propri parametri della nozione di ''mistero'' anche se non sempre tale nozione viene intesa nell'insieme delle sue accezioni, specialmente di quelle religiose che sono le accezioni originanti della detta nozione, ma viene molto spesso limitata alla problematicità del non sapere.
In quest'ottica si tenta di far assumere alla nozione di ''mistero'' una dimensione più laica dove possano convivere la religione
* con la conseguenza epistemologica che si fa assumere al mistero una pari dignità con il credere e il non credere senza specificare lo statuto ontologico del mistero stesso che, in quest'ottica, ha da una parte pari grado con le due istanze citate e dall'altra parte nel frattempo le contiene, e
* con la conseguenza pratica che tale equiparazione, stando ai suoi sostenitori,<ref>Cfr fra tutti Antonio Saccà, Il padre di Dio, Bietti Media. È interessante anche Joshua Cooper Ramo, Il
== Accezione misteriosofica ==
* ontologico;
* cosmogonico, in quanto attengono alla creazione (cfr. {{Pb|Gb|28,23-28}}<ref>Il passo di Giobbe, indicato in voce, trova dei parallellismi in {{Pb|Bar|3,32-35}}; {{Pb|Pr|8,22-30}} e in {{Pb|Sap|6,22}}.</ref>);
* soteriologico, in quanto attengono in particolare all'elezione di Israele che risponde al piano divino che si realizza nella storia umana
* escatologico, in quanto attengono al destino finale dell'umanità e del creato.
=== I segreti ontologici ===
Tali segreti attengono sia all'esistenza di [[Dio]] che a quella delle creature
==== Dio è mistero solo per le creature ====
Innazitutto, [[Dio]] è ''mistero non a
Solo [[Dio]] conosce tutti i segreti in quanto Egli conosce la via per giungere sino al luogo dove si trova la sapienza come attesta {{Pb|Gb|28,23}}. [[Dio]] solo ha visto, misurato, compreso e scrutato la sapienza come attestato in {{Pb|Gb|28,27}} secondo la versione di cinque manoscritti fra i quali non si annovera il [[testo masoretico|testo ebraico]] che non utilizza la parola ''hebînah'' ma il termine ''hekînah'' e, quindi, non intende che [[Dio]] abbia compreso la sapienza ma che "l'abbia stabilita" o "l'abbia fondata", con la conseguenza che [[Dio]] abbia scrutato la sapienza nel senso che "l'abbia verificata", "ne abbia testato la validità" o "l'abbia provata": del resto tale intepretazione dello scrutare la sapienza da parte di [[Dio]] trova conferma sia in {{Pb|Bar|3,32a}} che in {{Pb|Sir|1,7b}} inteso, quest'ultimo, alla luce di {{Pb|Sir|1,7a}}.
Questa sapienza, come precedentemente descritta, sembra confondersi con il relativo attributo divino (che, invece, viene chiaramente presentato in {{Pb|Gb|32,8}}, {{Pb|Sap|9,10}} e {{Pb|Sir|1,1}}) potendone essere una sua rappresentazione personificata anche se tale processo di personificazione avviene, sotto il profilo letterale, in modo peculiare in quanto sembra attribuire alla sapienza un proprio statuto distinto da [[Dio]]: questa impressione letterale di {{Pb|Gb|28,23}} sembra essere l'eco di credenze arcaiche che, in qualche modo, vengono riprese da {{Pb|Sir|1,7a}} dove, però, si precisa che la sapienza è stata creata da [[Dio]].
In ogni caso, la sapienza esprime il mistero delle vie percorse da [[Dio]] e, di conseguenza, permette di intendere che queste vie non sono misteriose per [[Dio]] il quale, sapendo tutto come attesta l'''incipit'' di {{Pb|Bar|3,32a}} poiché vede tutto come attesta {{Pb|Gb|28,24}}, ''non è mistero a
Diversamente, [[Dio]] ''è mistero per le creature'' in quanto, come attesta {{Pb|Gb|36,26a}}, esse non lo comprendono poiché, come attesta {{Pb|Is|45,15}}, Egli è il ''Dio nascosto'' sia:
==== Il mistero della Natura divina ====
[[Dio]] ''rimane mistero per le creature'' in quanto la Sua natura trascende tutto il creato come attesta
* rimane presente allo stesso creato dato che esso è pieno della sua gloria come attestano {{Pb|Nm|14,21}}, {{Pb|Is|6,3}} e {{Pb|Ab|3,3}};
* conserva il creato come attesta {{Pb|Sap|11,24-26}}
* regge il creato come attesta {{Pb|Is|40,26-31}}.
Quanto è stato affermato in precedenza, circa il rapporto tra la natura divina
* in {{Pb|Gb|28,21a}} e in {{Pb|Gb|28,22}} come sfuggente ad alcune creature, tra cui l'uomo, le quali ne hanno comunque udito la fama perché le stesse si imbattono sempre nel mistero di questa sapienza che le supera, e
* in {{Pb|Gb|28,21b}} come inaccessibile per le altre creature perché ne ignorano l'esistenza.
[[Dio]] ''rimane mistero per le creature'' in quanto la Sua opera, compresa la Sua funzione di Salvatore di Israele, è compiuta da Lui:
* esplicitamente come attestano sia {{Pb|Dt|11,2-7}} che gli altri brani biblici richiamati espressamente da quest'ultimo ossia {{Pb|Es|7-15}} e {{Pb|Nm|16}} e, più precisamente, sia direttamente come attesta {{Pb|Is|45,18}} che indirettamente, ossia tramite degli strumenti immediatamente riconosciuti come agenti per conto di [[Dio]], come attesta {{Pb|Es|14,21a}}
* implicitamente, ossia tramite degli strumenti non immediatamente riconosciuti come agenti per conto di [[Dio]],
[[Dio]], anche nell'esercizio della funzione di Salvatore di Israele, non disdegna di servirsi di non israeliti come, a titolo esemplificativo, del re persiano "Ciro", di cui si fa menzione esplicita in {{Pb|Is|45,1}} che è l'inizio di un oracolo regale di intronizzazione (che per alcuni studiosi è contenuto in {{Pb|Is|45,1-7}} mentre per altri in {{Pb|Is|45,1-8}}: in ogni caso la sua stesura
* viene chiamato per nome<ref>Nell'espressione ''chiamato per nome'' e simili chi chiama per nome
** sul modello di {{Pb|Es|31,2}} e {{Pb|Nm|1,17}}, Ciro viene designato per una missione
** sul modello di {{Pb|Is|43,1}}, [[Dio]] manterrà con Ciro una relazione privilegiata, e
* riceve da [[Dio]] addiritura il titolo allora riservato al re d'Israele, ''l'unto di [[YHWH|Jahve]]'' in ebraico ''[[messia|משיח]]'', come attesta l'incipit di {{Pb|Is|45,4c}}.<ref>L'oracolo biblico menzionato in voce è stranamente parallelo al cosidetto ''Cilindro di Ciro'', un testo sacerdotale babilonese scritto nel periodo della marcia vittoriosa di Ciro su Babilonia, intorno al [[539]]-538 a.C., cui risale probabilmente anche l'oracolo del [[Libro di Isaia|Deutero-Isaia]]. Infatti, nel frammento ''A'' del Cilindro si legge, tra l'altro, che Marduch, divinità babilonese e non persiana, "nominò il nome di Ciro e lo chiamò al dominio su tutta la terra" o, secondo altre traduzioni, "chiamò Ciro per nome, proclamando ad alta voce la sua regalità su tutti e su tutto".</ref>
==== Il mistero che circonda [[Dio]] ====
=== Il mistero nella [[Rivelazione]] ===
[[Dio]] ''è mistero per le creature'' anche nelle rivelazioni dei segreti che riguardano
"[[Dio]] si è rivelato...progressivamente
==== El Shaddai ====
La forma nominativa ''El Shaddai'',
==== Jahve ====
{{vedi anche|[[YHWH#Etimologia e significato|Etimologia e significato di Jahve]]}}
La forma nominativa [[YHWH|Jahve]], rivelata in {{Pb|Gn|4,26b}} e {{Pb|Es|3,14;6,2-3}}, contiene invece il mistero del nome divino. [[Dio]] rivela il Suo nome usando delle modalità definitorie proprie della concezione semitica, ossia palesa non solo il modo con cui Egli designa
* il Nome divino ad "un tempo è un Nome rivelato e quasi il rifiuto di un nome"<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.206, dalla proposizione iniziale dell'ultimo periodo sintattico.</ref> come, a solo titolo esemplificativo, accade nell'ambito della concezione occidentale moderna del nome in base alle cui modalità definitorie
* il Nome divino "è ineffabile",<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.206, dalle proposizioni conclusive del periodo sintattico conclusivo.</ref> come attesta {{Pb|Gdc|13,18}} dove l'angelo si rifiuta di dire a Manoach il proprio nome comportandosi allo stesso modo dell'essere misterioso dello Yabbok di cui si attesta in {{Pb|Gn|32,30}}, e
* il "Nome divino è misterioso come Dio è Mistero"<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.206, dal periodo sintattico centrale.</ref> perché il nome di [[Dio]] è [[Dio]] stesso e, contestualmente, [[Dio]] è il Suo nome.
==== Conseguenze della rivelazione del Nome di [[Dio]] ====
"Rivelando il suo Nome, [[Dio]] rivela al tempo stesso la sua fedeltà che è da sempre e per sempre, valida per il passato (<<Io sono il [[Dio]] dei tuoi padri>>, {{Pb|Es|3,6}}), come per l'avvenire (<<Io sarò con te>>, {{Pb|Es|3,12a}}). [[Dio]] che rivela il suo Nome come <<Io sono>> si rivela come il [[Dio]] che è sempre là, presente accanto al suo popolo per salvarlo"<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, dal n.207.</ref> "malgrado l'infedeltà del peccato degli uomini
"Lungo i secoli, la [[fede]] d'Israele ha potuto sviluppare
{{vedi anche|[[Monoteismo#Ebraismo|Unicità di Dio nell'Ebraismo]]}}
=== Altre considerazioni sui segreti ===
La conoscenza di [[Dio]] è imparagonabile(cfr {{Pb|Is|40,18}}<ref>Il versetto 18, indicato in voce, manifesta l'inesistenza di un secondo termine di paragone da accostare a [[Dio]]: in tale ottica devono essere lette le lodi di cui in {{Pb|Is|25,1}}. Questa alterità di Dio costituisce il fondamento teologico della proibizione delle immagini già prevista nel decalogo. Le tematiche affrontate nel versetto 18 sono riprese in {{Pb|Is|44,7}} e in {{Pb|Is|46,5}}, nonché in {{Pb|At|17,29}}.</ref>) e si estende sia al passato che al futuro affermando in tal modo la signoria di [[Dio]] sul creato: ciò è attestato in {{Pb|Is|41,21-29}}. Questa conoscenza divina, per volontà di Dio, in un certo senso diviene ispiratrice dell'uomo (cfr. {{Pb|Pr|8,30-31}}<ref>Nei versetti del capitolo 8 di Proverbi, indicati in voce, la sapienza è descritta, al versetto 30, come ispiratrice di Dio nella creazione e, al versetto 31, la stessa sapienza diventa ispiratrice dell'uomo. Il versetto 30, che richiama i precedenti versetti (cfr. per completezza {{Pb|Pr|8,22-31}}), descrive la sapienza come l'architetto del Creatore facendo divenire la sapienza una persona e non più un bene desiderabile esterno a Dio
* nella legge a vantaggio di Israele (cfr. {{Pb|Bar|3,9-4,4}}<ref>Il brano di Baruc, indicato in voce, si può suddividere in tre partizioni: la prima (cfr. {{Pb|Bar|3,9-15}}) è un ammonimento finalizzato a conoscere la sapienza; la seconda (cfr. {{Pb|Bar|3,16-31}}) è una apologia della trascendenza della sapienza; la terza (cfr. {{Pb|Bar|3,32-4,4}}) è una apologia sulla rivelazione della sapienza nella legge di Israele.</ref>), e
* a chi si trova in intimità con Dio (cfr. {{Pb|Es|33,30}}; {{Pb|Gb|29,5}}; {{Pb|Sl|24,14;72,28}}; {{Pb|Pr|3,32}}; {{Pb|Ger|16,21;31,34}}
=== Terminologia fondamentale ===
* sembra rintracciabile in una interpretazione letterale di {{pb|Sap|2,22a}}, dove esplicitamente si citano i ''segreti di Dio'', anche se una interpretazione più contestualizzata del medesimo passo, quindi alla luce di {{pb|Sap|2-3}}, sembra conferire al detto passo biblico la qualità di una presentazione particolare di alcuni segreti divini, ossia in ordine alla ricompensa dei puri come si afferma esplicitamente in {{pb|Sap|2,22b}}.
Tra i segreti divini specificatamente presentati
* alla nascita della sapienza che avviene, come afferma {{pb|Sap|7,25-26}}, come emanazione della potenza ed effluvio genuino della gloria di Dio
* alla natura della sapienza che viene classificata, come afferma {{pb|Sap|7,24a}}, come ''moto'' e, nella fattispecie, come "il più agile fra tutti i moti" precisando che il termine ''moto'' va inteso in senso filosofico, in quanto l'autore biblico mutua tale termine della filosofia greca come, del resto, fa per altri termini nel contesto di {{pb|Sap|7,22-8,1}};
* alle caratteristiche della sapienza che vengono enumerate, come afferma {{pb|Sap|7,22-23}}, per un totale di 21 attributi, ossia un numero che indica la massima perfezione essendo il prodotto di 3 x 7;
* alla relazione tra la sapienza e Dio che viene presentata, come afferma {{pb|Sap|8,3}}, come "comunione di vita", ossia una peculiare espressione con la quale da una parte certamente si approfondiscono le concezioni degli altri libri sapienziali anche se non di molto, dall'altra parte si da inizio
* all'opera della sapienza nella creazione della quale, essendone l'intelligenza programmatrice (cfr. {{pb|Sap|8,4}}) e l'intelligenza fattrice (cfr. {{pb|Sap|8,6}}), ne risulta essere madre come affermano vari manoscritti greci e latini di {{pb|Sap|7,12}} eccezion fatta per il ''textus receptus'' che la qualifica espressamente come "origine"
* all'opera della sapienza nella storia, descritta ampiamente in {{pb|Sap|10-19}}, il cui scopo è, come afferma {{pb|Sap|7,27}}, quello di entrare durante le varie età nelle anime sante per formare amici di Dio<ref>La nozione di ''amici di Dio'', riferita all'uomo, è possibile in quanto esiste la nozione di ''amico dell'uomo'' riferita allo spirito presente nella sapienza. Quest'ultima espressione, che descrive una tra le 21 caratteristiche della sapienza, è poi passata nell'uso liturgico orientale, particolarmente bizantino, sia in ambito ortodosso che cattolico, per indicare il Cristo.</ref> e profeti i quali per la loro vita santa penetrano nella conoscenza delle esigenze e dei misteri divini diventandone interpreti e, quindi, guide per gli altri uomini.
=== Il libro di Daniele ===
Il libro di [[Daniele]] appartiene al genere apocalittico in quanto è una rivelazione dei segreti divini che riguardano esclusivamente ciò che si realizza nella storia essendo la stessa orientata verso un epilogo finale. In tale ottica i segreti divini si compiranno puntualmente (cfr. {{pb|Dn|9,24a}}; {{pb|Dn|9,25b-26a}}, {{pb|Dn|9,27a}} e {{pb|Dn|11,35}}) e, per tale ragione, [[Dio]] fa conoscere in anticipo ciò che riguarda il futuro (cfr. {{pb|Dn|2,29}}), specialmente ciò che avverrà al finire dei giorni (cfr. {{pb|Dn|2,28}}) e, in particolare, fa conoscere i giudizi divini prodromici alla ricompensa finale (cfr. {{pb|Dn|12,13}}), ma le sue rivelazioni rimangono incomprensibili (cfr. {{pb|Dn|4,15}}) eccezion fatta per i prediletti (cfr. {{pb|Dn|9,23}}) ai quali viene concesso sia di descrivere (cfr. {{pb|Dn|2,31-35}}) che di intendere (cfr. {{pb|Dn|10,1c}}) qualunque rivelazione in quanto, essendo gli stessi riconosciuti dai contemporanei come ispirati dalla Divinità (cfr. {{pb|Dn|4,5}})<ref>Il passo di {{pb|Dn|4,5}} per indicare l'ispirazione divina in realtà utilizza l'espressione "lo spirito degli dei santi" la quale, parimenti, è stesa anche in {{pb|Dn|5,11a.14}}. Solo il manoscritto di Teodozione, per lapalissiane ragioni teologiche, modifica il plurale aramaico in singolare: in realtà non vi è alcuna necessità di tale modifica perché l'espressione citata è il modo con cui dei pagani, Nabucodonosor, Baldassar e sua moglie, riconoscono in Daniele l'ispirazione divina. In un contesto monoteistico, anche se non sempre inteso strictu sensu, altro è il modo di esprimere la stessa nozione come attestato in {{pb|Dn|4,5}}, dove si fa espresso riferimento al Signore che "suscitò il santo spirito di un giovanetto", o in {{pb|Dn|4,34}} dove Nabucodonosor esprime comunque una contrizione
L'indicazione del periodo temporale in Daniele è quasi sempre ermetica e l'emblema di ciò è ritenuto il passo di {{pb|Dn|7,25b}} in cui è letteralmente contenuta l'espressione ''un tempo, più tempi e la metà di un tempo'' il cui significato evidentemente non è certo. Naturalmente, alcune interpretazioni sono state proposte e, fra di esse, allo stato ottiene maggiore consenso tra gli studiosi l'interpretazione per la quale il senso di {{pb|Dn|7,25b}} va rintracciato nell'ottica di {{pb|Dn|4,13b}} dove probabilmente la parola ''tempi'' deve essere intesa come sinonimo di anni: in tale ottica, l'espressione di {{pb|Dn|7,25b}} equivarrebbe a tre anni e mezzo corrispondendo all'incirca alla durata della persecuzione di Antioco Epifane cui fa riferimento {{pb|Dn|7,25a}}
I segreti sono conosciuti innanzitutto da Dio e, siccome Dio è nel cielo (cfr. {{pb|Dn|2,28}}), ne consegue che questi segreti sono parimenti scritti nel cielo. A motivo di tale conoscenza solo a [[Dio]] va propriamente attribuita la qualifica de ''il rivelatore dei misteri'':
* questa qualifica è espressamente menzionata in {{pb|Dn|2,47}} ed è facilmente deducibile da {{pb|Dn|2,22.28-29}} dove si descrive l'azione divina che determina la detta qualifica, ossia lo svelamento di cose profonde
* questa qualifica non è solo presente in Daniele in quanto l'azione divina di svelamento dei segreti è già descritta in {{Pb|Gb|12,22}} e continuerà
* questa qualifica è logicamente dipendente da altre due qualifiche, espressamente attribuite a Dio in {{pb|Dn|2,47}}, ossia ''il Dio degli dei'' e ''il Signore dei re''.
** come sogni o visioni notturne, come attestato in {{pb|Dn|2,1-3.19;4,1-15;7,1-27}}, e
** come visioni che, per quanto affermato nel contesto o per quanto si deduce dallo stesso, sembrano avvenire sia in uno stato non dormiente che in un periodo non notturno, come attestato in {{pb|Dn|8,1-14;10,1.4-8}};
* negli incontri reali<ref>Tra gli incontri reali di Daniele con altri esseri non sono stati inseriti in voce gli incontri di cui in {{pb|Dn|7,15-27}}, in quanto avviene nell'ambito di un sogno,
** con l'[[Arcangelo Gabriele]] che spiega a Daniele sia la profezia del montone e del capro, come attestato in {{pb|Dn|8,17-26}}, sia la profezia della settanta settimane, come attestato in {{pb|Dn|9,20-27}};
** con un angelo non meglio identificato poiché non sembrerebbe essere l'[[Arcangelo Michele]] ivi citato, come attestato in
** con altri esseri non meglio precisati di cui alcuni dall'aspetto umano, anche se sembra che si tratti sempre dello stesso essere in quanto citato in diverse circostanze, come attestato in {{pb|Dn|8,15-16;10,16-19;12,5-13}};
* facendo uso, molto spesso, di simboli enigmatici, come attestato in {{pb|Dn|2,31-35}}; {{pb|Dn|4,7-14}}; {{pb|Dn|7,2-14}}; {{pb|Dn|8,3-14}} e {{pb|Dn|10,2-5}}
* con le spiegazioni che Daniele offre a terzi, cioè il re e gli astanti come attestato in {{pb|Dn|2,36-55}}; {{pb|Dn|4,16-24}} e {{pb|Dn|5,17-28}}, gli anziani d'Israele come attestato in {{pb|Dn|13,50-59}},
== Accezione giudaica extra-biblica ==
L'attuazione del Mistero implica la manifestazione della Divinità che sarà intera solo dalla [[parusia]], prima della quale tale manifestazione, pur essendo piena nel Cristo totale, rimane nascosta sotto i veli del mistero che sono sia i segni dell'umanità della persona del Signore [[Gesù]] [[Cristo]] fino alla sua ascensione sia i segni rituali della cristianità dopo l'[[ascensione]] al cielo del Cristo.
Per tali ragioni, il Signore [[Gesù]] [[Cristo]], oltre
La [[Chiesa]] realizza la missione di salvezza che le è stata conferita mediante due aspetti correlati: l'annuncio del regno di [[Dio]] e l'attuazione di tale annuncio tramite segni, simboli e segni efficaci di salvezza che permettono al credente, mediante l'obbedienza della fede, la piena conformazione al Cristo sofferente e glorioso.
I segni efficaci di salvezza un tempo erano correttamente denominati ''mysteria''. Da diversi secoli è entrata nell'uso comune un'altra denominazione, teologicamente di origine agostiniana e anch'essa dottrinalmente corretta, ossia ''sacramenta'',
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[[Categoria:Mistero|
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