Mistero: differenze tra le versioni

Vai alla navigazione Vai alla ricerca
m
+formattazione
m (Correzioni ortografiche.)
m (+formattazione)
== Etimologia ==
 
Il termine italiano ''mistèro'', riconosciuto come voce dotta, deriva da due forme italiane più antiche coniate, infatti, intorno al [[XIV secolo]] ed aventi sensi non identici, ossia:
* ''mistèrio'', abbastanza usata in passato in ambito poetico<ref>cfr AA. VV., Dizionario Enciclopedico Italiano Treccani, Istituto Poligrafico dello Stato, [[Roma]] [[1970]], v.7.</ref> ma ancor'oggi fuori da tale ambito viene usata pur se raramente, e comunque sempre nel senso di ''mistèro'', e
* ''mistièro'', abbastanza usata in passato sia in ambito letterario<ref>cfr AA. VV., Grande Dizionario della Lingua Italiana, UTET [[Torino]] [[1978]], v. 10.</ref> che comune ma nel senso di ''mestiere''.
 
La parola italiana deriva, a sua volta, dal latino ''mistērĭum'', in quanto si verifica una variazione nella finale centro-meridionale non toscana di -eriu prima in -erio e poi in -ero<ref>cfr G. Devoto, Dizionario Etimologico, Le Monnier, [[Firenze]] [[1968]].</ref> limitatamente a ''mistèrio'', mentre la stessa variazione avviene da -eriu direttamente in -ero limitatamente a ''mistièro''.
Il termine latino deriva da una forma, probabilmente più antica ma sicuramente grecizzata, ossia ''mysterium'' che nell'alto medioevo per confusione con il termine latino ''ministerium'', ''ministero'' e ''mestiere'', viene utilizzato anche in tali sensi negli ambiti del servizio, dell'ufficio o della cerimonia: verosimilmente, secondo alcuni, ciò sarebbe la causa della doppia derivazione italiana, ossia ''mistèrio'' e ''mistièro'', con la conseguenza che in Italiano vengono ridistinte le due accezioni portanti che erano state confuse nel latino medioevale.<ref>L'attuale termine italiano ''mestiere'' non deriva comunque da ''mistièro'' ma dal francese ''mestier'' che deriva, a sua volta, dal latino ''ministerium''.</ref>
 
Il termine latino deriva dal greco ''μυστήριον, mystérion,'' che nella letteratura latina cristiana e profana viene certamente tradotto con la parola ''mysterium'' ma talora anche con la parola ''sacramentum'', ''sacramento''<ref>cfr AA. VV., Grande Dizionario Enciclopedico, UTET, [[Torino]] [[1970]], v. 12.</ref>: una certa distinzione d'uso, per la quale il primo termine sarebbe usato in ambito non liturgico ede il secondo in ambito liturgico, è assolutamente priva di riscontri esaustivi considerato che i due termini sono utilizzati indifferentemente nei due ambiti.
 
Il termine greco, a sua volta, deriverebbe o dal termine greco ''μυητής , mýetēs'' ossia ''iniziatore'', o da altro termine greco ''μυστής , mýstēs'' ossia ''iniziato'': da quest'ultimo termine derivano anche i due termini latini ''mystes'' e ''mysta'' dai quali rispettivamente derivano i due termini italiani ''miste'' e ''mista''.<ref>cfr AA. VV., Dizionario Enciclopedico Italiano Treccani, Istituto Poligrafico dello Stato, [[Roma]] [[1970]], v. 7</ref>
 
Ciascuno dei precedenti due termini greci deriverebbe dal verbo greco ''μυεω, myeō'' ossia "sto chiuso" oppure "mi chiudo" in quanto "chiudo gli occhi" o chiudo la bocca": da tali significati deriverebbe il senso "inizio a culti segreti" o "sono iniziato a culti segreti". In ogni caso la radice del verbo sarebbe il sostantivo greco ''μυς , mýs'' ossia ''topo''.<ref>cfr F. Schenkl e F. Brunetti, Dizionario Greco Italiano Greco, Polaris, [[Genova]] [[1992]]; F. Montanari, GI Vocabolario della Lingua Greca, Loescher, [[Milano]] [[2006]]; e G. Gemoll, Vocabolario greco-italiano, Remo Sandron, [[Palermo]]-[[Milano]] [[1936]].</ref>
 
== Accezione figurativa ==
 
Nel linguaggio comune, la parola mistero è spesso utilizzata per indicare il fascino dell'incomprensibile o semplicemente ciò che è incomprensibile;<ref>Siccome il concetto di mistero, nelle sue accezioni figurative, può sfuggire sia ada un aspetto della comprensione che a tutta la sfera della comprensibilità, nella voce è stata opportunamente indicata la comprensibilità e l'incomprensibilità ma non la razionalità e l'irrazionalità, poiché il criterio raziocinante indica una dimensione importantissima ma non esaustiva della comprensione. Tra l'altro, i criteri raziocinanti in alcune culture non sono sempre riconducibili alla logica aristotelica: a titolo esemplificativo si citano i valori di verità aristotelici che sono due ''poiché tertium non datur'' mentre in altre culture, comunque molto circoscritte, sono tre o addirittura di più.</ref> una cosa arcana di cui sovente si preferisce parlare per allegoria o per simbologia; un dato oscuro potenzialmente accessibile solo a chi ne conosca gli elementi in ordine all'origine, alla natura ede all'effetto, e quindi non accessibile agli altri per i quali può essere non chiaro o può apparire non chiaro, o addirittura può venire presentato agli altri in modo non chiaro; l'abitudine a definire mistero tutto ciò dalla cui responsabilità investigativa si fugge per motivi vari; un atteggiamento volutamente occulto; una situazione segreta come le pratiche alchemiche o magiche, un fare nascosto particolarmente se in ordine ada un secondo fine non palesato.<ref>cfr AA. VV., Dizionario fondamentale della Lingua Italiana, De Agostini, [[Novara]] [[1982]]; e Wendelin Rauch - Jakob Hommes, Lexicon des Katholischen lebens, Herder & Co. Gmbt, [[Friburgo]] [[1952]].</ref> L'uso della parola mistero in questi ambiti certamente costituisce una ricchezza per la lingua italiana ma nello stesso tempo determina la difficoltà nel comprendere altre sottili distinzioni di significato in ambiti diversi.
 
Gli usi figurativi della parola, in effetti, rendono ''mistero'' in alcuni casi sinonimo di [[segreto]] ma in molti casi sinonimo di ''problema''. Il concetto di [[segreto]] è trasversale sia al ''mistero'' che al ''problema'' e lo ''svelamento del [[segreto]]'' diviene ''rivelazione'' per il ''mistero'' e ''soluzione'' per il ''problema''. Invece, il concetto di ''problema'' esprime qualcosa che procede dall'uomo, sia in caso di solubilità che di insolubilità del problema stesso considerato che l'insolubilità dipende da errate impostazioni del ''problema'' o da deficienze cognitive per la soluzione dello stesso, mentre il concetto di ''mistero'', in tutte le sue accezioni non figurative, è qualcosa che riguarda l'uomo ma non procede da egli e la cui rivelazione dipende in genere dalla Divinità e comunque mai dal solo uomo.
 
In ogni caso, la presenza del ''problema'' non esclude la presenza del ''mistero'' e viceversa, anche in considerazione del dato generico che ogni realtà è piena di ''mistero'' in quanto qualcosa di essa resta preclusa all'investigazione umana: ciò in particolare riguarda il creato, la natura, la vita, la storia e le realtà del cosiddetto ''aldilà''. Ordinariamente l'uomo preferisce fidarsi di più della chiarezza della ragione e, quando tale chiarezza è solo presunta, giunge sempre a confondere il significato di ''mistero'' con quello di ''problema'' ede alla conseguenziale perdita della riverenza nei riguardi del ''mistero'': così è stato per il razionalismo dell'Illuminismo francese, così è per l'attuale materialismo pratico-scientifico. Va però anche constatato che un sistema di vita basato sul razionalismo e sul materialismo alla fine non può escludere il ''mistero'' del tutto: basta leggere sia le pagine di storiografia per riscontrare come diversi razionalisti si diedero paradossalmente all'occultismo ede alla superstizione, sia le pagine di cronaca per riscontrare come diversi materialisti si danno curiosamente anche all'esoterismo.
 
La cultura occidentale, sia pur nel proprio relativismo, ha preso coscienza del non riuscire a dare una soluzione a diversi enigmi, fra cui quello dell'esistenza della realtà, ed ha accettato la reintroduzione nei propri parametri della nozione di ''mistero'' anche se non sempre tale nozione viene intesa nell'insieme delle sue accezioni, specialmente di quelle religiose che sono le accezioni originanti della detta nozione, ma viene molto spesso limitata alla problematicità del non sapere.
In quest'ottica si tenta di far assumere alla nozione di ''mistero'' una dimensione più laica dove possano convivere la religione ede il materialismo, e dove la ''quaestio'' del recidere la religione viene sostituita dalla ''quaestio'' del valutare la religione senza giungere ad alcuna soluzione<ref>Cfr articoli di Carlo Jovine su Il Conciliatore, Massimo Nardi su L'Attualità, e Lidia Lombardi su Il Tempo.</ref> e, in tal modo, la nozione di mistero viene risolta nel credere o nel non credere o nel perdurare del mistero:
* con la conseguenza epistemologica che si fa assumere al mistero una pari dignità con il credere e il non credere senza specificare lo statuto ontologico del mistero stesso che, in quest'ottica, ha da una parte pari grado con le due istanze citate e dall'altra parte nel frattempo le contiene, e
* con la conseguenza pratica che tale equiparazione, stando ai suoi sostenitori,<ref>Cfr fra tutti Antonio Saccà, Il padre di Dio, Bietti Media. È interessante anche Joshua Cooper Ramo, Il Secolo[[I Imprevedibilesecolo]]mprevedibile, dove per risolvere la problematicità del non sapere si fa ricorso al concetto dell'imprevedibilità degli eventi (che per certi versi sembra riprendere la nozione di mistero) cui bisogna prepararsi aspettando ogni evento possibile.</ref> dovrebbe contribuire ada una convivenza più tollerante tra i credenti ede i non credenti.
 
== Accezione misteriosofica ==
* ontologico;
* cosmogonico, in quanto attengono alla creazione (cfr. {{Pb|Gb|28,23-28}}<ref>Il passo di Giobbe, indicato in voce, trova dei parallellismi in {{Pb|Bar|3,32-35}}; {{Pb|Pr|8,22-30}} e in {{Pb|Sap|6,22}}.</ref>);
* soteriologico, in quanto attengono in particolare all'elezione di Israele che risponde al piano divino che si realizza nella storia umana, e viene anticipato dall'oggetto dalla rivelazione profetica (cfr. {{Pb|Am|3,7}}<ref>Il versetto di Amos, indicato in voce, sembra aver la natura di una glossa inserita nel testo e il concetto, ivi espresso, ha un suo illustre antecedente in {{Pb|Gn|18,17-19}}.</ref> e {{Pb|Nm|24,4.16}}<ref>L'espressione "e cade ed è tolto il velo dai suoi occhi", finale di ciascuno dei due versetti del libro dei Numeri indicati in voce, in alcune traduzioni è sostituita dalla seguente espressione: "egli ottiene la risposta divina e i suoi occhi si aprono".</ref> ) che, a sua volta, è garanzia della salvezza dell'umanità alla fine dei tempi (cfr. {{Pb|Is|41,25.27}}<ref>Nella conclusione del sottoversetto A del versetto 25 del passo di Isaia, indicato in voce, si legge l'espressione "l'ho chiamato per nome": tale espressione, che riprende l'inizio di {{Pb|Es|31,2}} e la conclusione di {{Pb|Nm|1,17}} e che viene ripresa nella conclusione di {{Pb|Is|43,1}} e di {{Pb|Is|45,3}} e nel contesto di {{Pb|Is|45,4}}, interpretata alla luce della conclusione di {{Pb|Is|45,4}} sembra una formula di designazione per una qualche missione ed, in ogni caso, esprime una relazione privilegiata tra [[Dio]] ede il suo inviato. Il testo masoretico sostituisce la precedente espressione con "proclama il mio nome".</ref><ref>La Bible de Jérusalem traduce il versetto 27 del passo di Isaia, indicato in voce, nel seguente modo: "Primizie di Sion, ecco, eccole, a Gerusalemme invio un messaggero."</ref><ref>Storicamente i due versetti del passo di Isaia, indicato in voce, sono stati interpretati come un'unica allusione alla conquista di Ciro, considerato il sottoversetto B del versetto 25, il cui incipit "egli calpesterà i potenti come creta" il testo ebraico sostituisce con "egli cammina sui potenti come sulla creta": del resto, in questo contesto, il riferimento esplicito a Ciro si rintraccia solo in {{Pb|Is|44,28}}.</ref>), e
* escatologico, in quanto attengono al destino finale dell'umanità e del creato.
 
=== I segreti ontologici ===
 
Tali segreti attengono sia all'esistenza di [[Dio]] che a quella delle creature, e possono essere analizzati intorno a diversi profili. I segreti, in ordine all'esistenza divina, possono essere meglio definiti come segreti di ordine teologico intesi ''strictu sensu''.
 
==== Dio è mistero solo per le creature ====
 
Innazitutto, [[Dio]] è ''mistero non a se stesso'' perché tutti i segreti, pur se celati nelle tenebre come attesta {{pb|Dn|2,22b}}, sono conosciuti da Lui in quanto le tenebre non sono oscure per [[Dio]] come attesta {{Pb|Sal|138,12ab}} anzi, per Lui le tenebre sono come luce stando alla glossa aramaica costituente {{Pb|Sal|138,12c}} secondo la versione del [[testo masoretico|testo masoretico]] e della [[Bibbia CEI|Bibbia della C.E.I.]] ma non di [[Bibbia di Gerusalemme|Bible de Jérusalem]] che non contiene tale glossa.
 
Solo [[Dio]] conosce tutti i segreti in quanto Egli conosce la via per giungere sino al luogo dove si trova la sapienza come attesta {{Pb|Gb|28,23}}. [[Dio]] solo ha visto, misurato, compreso e scrutato la sapienza come attestato in {{Pb|Gb|28,27}} secondo la versione di cinque manoscritti fra i quali non si annovera il [[testo masoretico|testo ebraico]] che non utilizza la parola ''hebînah'' ma il termine ''hekînah'' e, quindi, non intende che [[Dio]] abbia compreso la sapienza ma che "l'abbia stabilita" o "l'abbia fondata", con la conseguenza che [[Dio]] abbia scrutato la sapienza nel senso che "l'abbia verificata", "ne abbia testato la validità" o "l'abbia provata": del resto tale intepretazione dello scrutare la sapienza da parte di [[Dio]] trova conferma sia in {{Pb|Bar|3,32a}} che in {{Pb|Sir|1,7b}} inteso, quest'ultimo, alla luce di {{Pb|Sir|1,7a}}.
Questa sapienza, come precedentemente descritta, sembra confondersi con il relativo attributo divino (che, invece, viene chiaramente presentato in {{Pb|Gb|32,8}}, {{Pb|Sap|9,10}} e {{Pb|Sir|1,1}}) potendone essere una sua rappresentazione personificata anche se tale processo di personificazione avviene, sotto il profilo letterale, in modo peculiare in quanto sembra attribuire alla sapienza un proprio statuto distinto da [[Dio]]: questa impressione letterale di {{Pb|Gb|28,23}} sembra essere l'eco di credenze arcaiche che, in qualche modo, vengono riprese da {{Pb|Sir|1,7a}} dove, però, si precisa che la sapienza è stata creata da [[Dio]].
 
In ogni caso, la sapienza esprime il mistero delle vie percorse da [[Dio]] e, di conseguenza, permette di intendere che queste vie non sono misteriose per [[Dio]] il quale, sapendo tutto come attesta l'''incipit'' di {{Pb|Bar|3,32a}} poiché vede tutto come attesta {{Pb|Gb|28,24}}, ''non è mistero a se stesso''.
 
Diversamente, [[Dio]] ''è mistero per le creature'' in quanto, come attesta {{Pb|Gb|36,26a}}, esse non lo comprendono poiché, come attesta {{Pb|Is|45,15}}, Egli è il ''Dio nascosto'' sia:
==== Il mistero della Natura divina ====
 
[[Dio]] ''rimane mistero per le creature'' in quanto la Sua natura trascende tutto il creato come attesta {{Pb|Is|40,25}}, poiché si innalza sopra i cieli come attesta {{Pb|Sal|8,2}} e, quindi, non può essere misurata come attesta {{Pb|Sal|144,3}}, fermo restando che [[Dio]]:
* rimane presente allo stesso creato dato che esso è pieno della sua gloria come attestano {{Pb|Nm|14,21}}, {{Pb|Is|6,3}} e {{Pb|Ab|3,3}};
* conserva il creato come attesta {{Pb|Sap|11,24-26}}, e
* regge il creato come attesta {{Pb|Is|40,26-31}}.
Quanto è stato affermato in precedenza, circa il rapporto tra la natura divina ede il creato, parimenti si predica del rapporto tra la sapienza e le creature come attestano {{Pb|Gb|28,12-14}}, {{Pb|Sap|8,1}} e {{Pb|Bar|3,15}}. In quest'ottica la sapienza viene presentata:
* in {{Pb|Gb|28,21a}} e in {{Pb|Gb|28,22}} come sfuggente ad alcune creature, tra cui l'uomo, le quali ne hanno comunque udito la fama perché le stesse si imbattono sempre nel mistero di questa sapienza che le supera, e
* in {{Pb|Gb|28,21b}} come inaccessibile per le altre creature perché ne ignorano l'esistenza.
 
[[Dio]] ''rimane mistero per le creature'' in quanto la Sua opera, compresa la Sua funzione di Salvatore di Israele, è compiuta da Lui:
* esplicitamente come attestano sia {{Pb|Dt|11,2-7}} che gli altri brani biblici richiamati espressamente da quest'ultimo ossia {{Pb|Es|7-15}} e {{Pb|Nm|16}} e, più precisamente, sia direttamente come attesta {{Pb|Is|45,18}} che indirettamente, ossia tramite degli strumenti immediatamente riconosciuti come agenti per conto di [[Dio]], come attesta {{Pb|Es|14,21a}}, e
* implicitamente, ossia tramite degli strumenti non immediatamente riconosciuti come agenti per conto di [[Dio]], ede in tal senso, sia pur limitatamente al senso letterario ede al profilo storico e chiaramente ancorandolo al contesto, andrebbe inteso il citato passo di {{Pb|Is|45,15}} dal quale si trae la nozione teologica del nascondimento divino dietro le azioni degli uomini che è un ulteriore modo con cui [[Dio]] agisce diversamente da quando lo fa solo esplicitamente.
 
[[Dio]], anche nell'esercizio della funzione di Salvatore di Israele, non disdegna di servirsi di non israeliti come, a titolo esemplificativo, del re persiano "Ciro", di cui si fa menzione esplicita in {{Pb|Is|45,1}} che è l'inizio di un oracolo regale di intronizzazione (che per alcuni studiosi è contenuto in {{Pb|Is|45,1-7}} mentre per altri in {{Pb|Is|45,1-8}}: in ogni caso la sua stesura éè per certi versi simile a quella degli oracoli dei {{Pb|Sal|2;109}}) nel quale Ciro, sebbene non conosca [[Dio]] come attesta il finale di {{Pb|Is|45,4c}},:
* viene chiamato per nome<ref>Nell'espressione ''chiamato per nome'' e simili chi chiama per nome éè [[Dio]] e chi è chiamato è l'eletto. Il [[testo masoretico|testo ebraico]] in alcuni passi biblici, fra cui {{Pb|Is|45,3c}}, legge le suddette espressioni nella forma ''chiama il mio nome'' oppure ''proclama il mio nome'' dove chi chiama è l'eletto e chi è chiamato è [[Dio]]. In ogni caso il significato di tutte le espressioni citate ede indicate rimane quello descritto in voce.</ref>come attesta {{Pb|Is|45,3c;45,4b}} e ciò significa che,:
** sul modello di {{Pb|Es|31,2}} e {{Pb|Nm|1,17}}, Ciro viene designato per una missione, e
** sul modello di {{Pb|Is|43,1}}, [[Dio]] manterrà con Ciro una relazione privilegiata, e
* riceve da [[Dio]] addiritura il titolo allora riservato al re d'Israele, ''l'unto di [[YHWH|Jahve]]'' in ebraico ''[[messia|משיח]]'', come attesta l'incipit di {{Pb|Is|45,4c}}.<ref>L'oracolo biblico menzionato in voce è stranamente parallelo al cosidetto ''Cilindro di Ciro'', un testo sacerdotale babilonese scritto nel periodo della marcia vittoriosa di Ciro su Babilonia, intorno al [[539]]-538 a.C., cui risale probabilmente anche l'oracolo del [[Libro di Isaia|Deutero-Isaia]]. Infatti, nel frammento ''A'' del Cilindro si legge, tra l'altro, che Marduch, divinità babilonese e non persiana, "nominò il nome di Ciro e lo chiamò al dominio su tutta la terra" o, secondo altre traduzioni, "chiamò Ciro per nome, proclamando ad alta voce la sua regalità su tutti e su tutto".</ref>
 
==== Il mistero che circonda [[Dio]] ====
=== Il mistero nella [[Rivelazione]] ===
 
[[Dio]] ''è mistero per le creature'' anche nelle rivelazioni dei segreti che riguardano Se stesso, fra cui quella del proprio nome nonostante il fatto che, anche per [[Dio]], svelare il proprio nome implica il "farsi conoscere agli altri; in qualche modo éè consegnare se stesso rendendosi accessibile, capace d'essere conosciuto più intimamente e di essere chiamato personalmente"<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.203, dal periodo sintattico finale.</ref> in quanto Egli, avendo un nome, "non è una forza anonima."<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.203, dall'ultimo periodo sintattico centrale.</ref>
 
"[[Dio]] si è rivelato...progressivamente ...sotto diversi nomi"<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.204, dalla proposizione sintattica iniziale.</ref> e lo svelamento del nome divino nell'ambito [[Vecchio Testamento|veterotestamentario]] è certamente uno dei vertici fra gli eventi rivelatori. Questi nomi, in realtà, sono delle forme nominative con le quali [[Dio]] si presenta per rendersi intellegibile o con le quali è invocato o presentato in modo inequivoco. Fra tutte queste forme nominative ne eccellono due, ossia ''El Shaddai'' e [[YHWH|Jahve]], anche se solo la seconda di esse "si è mostrata come la rivelazione fondamentale per l'Antica e la Nuova Alleanza."<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.204, dalla proposizione sintattica conclusiva.</ref>
 
==== El Shaddai ====
 
La forma nominativa ''El Shaddai'', in ebraico ''אל שדי'', viene rivelata in {{Pb|Gn|17,1;35,11}} mentre alla stessa fanno riferimento {{Pb|Gn|28,3;43,14;48,3;49,25}} e rarissimi altri passi biblici al di fuori dal [[Pentateuco]], contenuti particolarmente in [[Giobbe]]. Da questi testi sembra che ''El Shaddai'' sia il nome divino, in realtà {{Pb|Es|6,3}} fa comprendere che ''El Shaddai'' è la sostantivazione di un attributo divino con cui [[Dio]] designa Se stesso nel manifestarsi ai Patriarchi. Quale sia questo attributo divino e, quindi, quale sia il significato di "Shaddai" è ancora una ''vexata quæstio'' anche se, comunemente, si intende l'Onnipotenza per cui si usa tradurre ''El Shaddai'' con "Dio onnipotente": sotto il solo profilo etimologico è però certo che la traduzione di "Shaddai" con "Onnipotente" non è precisa.
 
==== Jahve ====
{{vedi anche|[[YHWH#Etimologia e significato|Etimologia e significato di Jahve]]}}
 
La forma nominativa [[YHWH|Jahve]], rivelata in {{Pb|Gn|4,26b}} e {{Pb|Es|3,14;6,2-3}}, contiene invece il mistero del nome divino. [[Dio]] rivela il Suo nome usando delle modalità definitorie proprie della concezione semitica, ossia palesa non solo il modo con cui Egli designa se stesso ma anche la propria natura in quanto, secondo il sentire antico, il "nome esprime l'essenza, l'identità di una persona e il senso della sua vita."<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.203, dal primo periodo sintattico centrale.</ref> In realtà, [[Dio]] rivelando il Suo nome si limita a proclamare il cardine della sua natura, anche se tale proclamazione contiene in potenza tutti gli sviluppi successivi della rivelazione,<ref>In tal senso va inteso {{Pb|Ap|1,8b}} che, per alcuni, andrebbe così tradotto:"Egli era, Egli è ed Egli viene, il Padrone di tutto".</ref> ossia che il Nome divino "esprime, come meglio non si potrebbe, la realtà di [[Dio]], infinitamente al di sopra di tutto ciò che possiamo comprendere o dire",<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.206, dalle proposizioni centrali del periodo sintattico conclusivo.</ref> con la conseguenza che:
* il Nome divino ad "un tempo è un Nome rivelato e quasi il rifiuto di un nome"<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.206, dalla proposizione iniziale dell'ultimo periodo sintattico.</ref> come, a solo titolo esemplificativo, accade nell'ambito della concezione occidentale moderna del nome in base alle cui modalità definitorie, e limitatamente ada esse, il Nome divino non significa alcunché;
* il Nome divino "è ineffabile",<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.206, dalle proposizioni conclusive del periodo sintattico conclusivo.</ref> come attesta {{Pb|Gdc|13,18}} dove l'angelo si rifiuta di dire a Manoach il proprio nome comportandosi allo stesso modo dell'essere misterioso dello Yabbok di cui si attesta in {{Pb|Gn|32,30}}, e
* il "Nome divino è misterioso come Dio è Mistero"<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.206, dal periodo sintattico centrale.</ref> perché il nome di [[Dio]] è [[Dio]] stesso e, contestualmente, [[Dio]] è il Suo nome.
==== Conseguenze della rivelazione del Nome di [[Dio]] ====
 
"Rivelando il suo Nome, [[Dio]] rivela al tempo stesso la sua fedeltà che è da sempre e per sempre, valida per il passato (<<Io sono il [[Dio]] dei tuoi padri>>, {{Pb|Es|3,6}}), come per l'avvenire (<<Io sarò con te>>, {{Pb|Es|3,12a}}). [[Dio]] che rivela il suo Nome come <<Io sono>> si rivela come il [[Dio]] che è sempre là, presente accanto al suo popolo per salvarlo"<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, dal n.207.</ref> "malgrado l'infedeltà del peccato degli uomini ede il castigo che merita".<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.211, dal primo periodo sintattico.</ref>
 
"Lungo i secoli, la [[fede]] d'Israele ha potuto sviluppare ede approfondire le ricchezze contenute nella rivelazione del Nome divino",<ref>cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.212, dal primo periodo sintattico.</ref> che contiene le verità per le quali:
{{vedi anche|[[Monoteismo#Ebraismo|Unicità di Dio nell'Ebraismo]]}}
 
 
=== Altre considerazioni sui segreti ===
La conoscenza di [[Dio]] è imparagonabile(cfr {{Pb|Is|40,18}}<ref>Il versetto 18, indicato in voce, manifesta l'inesistenza di un secondo termine di paragone da accostare a [[Dio]]: in tale ottica devono essere lette le lodi di cui in {{Pb|Is|25,1}}. Questa alterità di Dio costituisce il fondamento teologico della proibizione delle immagini già prevista nel decalogo. Le tematiche affrontate nel versetto 18 sono riprese in {{Pb|Is|44,7}} e in {{Pb|Is|46,5}}, nonché in {{Pb|At|17,29}}.</ref>) e si estende sia al passato che al futuro affermando in tal modo la signoria di [[Dio]] sul creato: ciò è attestato in {{Pb|Is|41,21-29}}. Questa conoscenza divina, per volontà di Dio, in un certo senso diviene ispiratrice dell'uomo (cfr. {{Pb|Pr|8,30-31}}<ref>Nei versetti del capitolo 8 di Proverbi, indicati in voce, la sapienza è descritta, al versetto 30, come ispiratrice di Dio nella creazione e, al versetto 31, la stessa sapienza diventa ispiratrice dell'uomo. Il versetto 30, che richiama i precedenti versetti (cfr. per completezza {{Pb|Pr|8,22-31}}), descrive la sapienza come l'architetto del Creatore facendo divenire la sapienza una persona e non più un bene desiderabile esterno a Dio ede alle creature come in {{Pb|Gb|28,1-28}}. La parola architetto, presente nel versetto 30, è raramente usata in ebraico, e probabilmente con essa si intende esprimere il concetto di artista, meglio di artigiano, da cui logicamente deriva architetto: tale concetto si trova espresso, infatti, in {{Pb|Ger|52,15}}, in {{Pb|Ct|7,2}} ed è attestato dalla [[versione dei Settanta|Bibbia greca]]. Altre traduzioni, apportando qualche correzione, sono solite sostituire la parola architetto con l'espressione "discepolo fedele" o con la parola "prediletto".</ref>) e, per certi versi, viene rivelata:
* nella legge a vantaggio di Israele (cfr. {{Pb|Bar|3,9-4,4}}<ref>Il brano di Baruc, indicato in voce, si può suddividere in tre partizioni: la prima (cfr. {{Pb|Bar|3,9-15}}) è un ammonimento finalizzato a conoscere la sapienza; la seconda (cfr. {{Pb|Bar|3,16-31}}) è una apologia della trascendenza della sapienza; la terza (cfr. {{Pb|Bar|3,32-4,4}}) è una apologia sulla rivelazione della sapienza nella legge di Israele.</ref>), e
* a chi si trova in intimità con Dio (cfr. {{Pb|Es|33,30}}; {{Pb|Gb|29,5}}; {{Pb|Sl|24,14;72,28}}; {{Pb|Pr|3,32}}; {{Pb|Ger|16,21;31,34}}, e {{Pb|Os|6,6}}).
 
=== Terminologia fondamentale ===
* sembra rintracciabile in una interpretazione letterale di {{pb|Sap|2,22a}}, dove esplicitamente si citano i ''segreti di Dio'', anche se una interpretazione più contestualizzata del medesimo passo, quindi alla luce di {{pb|Sap|2-3}}, sembra conferire al detto passo biblico la qualità di una presentazione particolare di alcuni segreti divini, ossia in ordine alla ricompensa dei puri come si afferma esplicitamente in {{pb|Sap|2,22b}}.
 
Tra i segreti divini specificatamente presentati, e di cui viene fatta generica presentazione in {{pb|Sap|6,22}}, si citano, a solo titolo esemplificativo, i segreti intorno:
* alla nascita della sapienza che avviene, come afferma {{pb|Sap|7,25-26}}, come emanazione della potenza ed effluvio genuino della gloria di Dio, e come riflesso della luce e specchio dell'attività di Dio;
* alla natura della sapienza che viene classificata, come afferma {{pb|Sap|7,24a}}, come ''moto'' e, nella fattispecie, come "il più agile fra tutti i moti" precisando che il termine ''moto'' va inteso in senso filosofico, in quanto l'autore biblico mutua tale termine della filosofia greca come, del resto, fa per altri termini nel contesto di {{pb|Sap|7,22-8,1}};
* alle caratteristiche della sapienza che vengono enumerate, come afferma {{pb|Sap|7,22-23}}, per un totale di 21 attributi, ossia un numero che indica la massima perfezione essendo il prodotto di 3 x 7;
* alla relazione tra la sapienza e Dio che viene presentata, come afferma {{pb|Sap|8,3}}, come "comunione di vita", ossia una peculiare espressione con la quale da una parte certamente si approfondiscono le concezioni degli altri libri sapienziali anche se non di molto, dall'altra parte si da inizio ada un progresso che giungerà alla rivelazione neotestamentaria della sapienza come Ipostasi divina anche se tale rivelazione è qui adombrata in quanto ciò che si predica di Dio (cfr. {{Pb|Is|41,21-29}}) si predica parimenti della sapienza (cfr. {{pb|Sap|8,8}}), e ciò che si predica dello spirito di Dio (cfr. {{pb|Sap|1,7}}) si predica parimenti della sapienza (cfr. {{pb|Sap|7,24b;8,1}});
* all'opera della sapienza nella creazione della quale, essendone l'intelligenza programmatrice (cfr. {{pb|Sap|8,4}}) e l'intelligenza fattrice (cfr. {{pb|Sap|8,6}}), ne risulta essere madre come affermano vari manoscritti greci e latini di {{pb|Sap|7,12}} eccezion fatta per il ''textus receptus'' che la qualifica espressamente come "origine", e
* all'opera della sapienza nella storia, descritta ampiamente in {{pb|Sap|10-19}}, il cui scopo è, come afferma {{pb|Sap|7,27}}, quello di entrare durante le varie età nelle anime sante per formare amici di Dio<ref>La nozione di ''amici di Dio'', riferita all'uomo, è possibile in quanto esiste la nozione di ''amico dell'uomo'' riferita allo spirito presente nella sapienza. Quest'ultima espressione, che descrive una tra le 21 caratteristiche della sapienza, è poi passata nell'uso liturgico orientale, particolarmente bizantino, sia in ambito ortodosso che cattolico, per indicare il Cristo.</ref> e profeti i quali per la loro vita santa penetrano nella conoscenza delle esigenze e dei misteri divini diventandone interpreti e, quindi, guide per gli altri uomini.
 
=== Il libro di Daniele ===
 
Il libro di [[Daniele]] appartiene al genere apocalittico in quanto è una rivelazione dei segreti divini che riguardano esclusivamente ciò che si realizza nella storia essendo la stessa orientata verso un epilogo finale. In tale ottica i segreti divini si compiranno puntualmente (cfr. {{pb|Dn|9,24a}}; {{pb|Dn|9,25b-26a}}, {{pb|Dn|9,27a}} e {{pb|Dn|11,35}}) e, per tale ragione, [[Dio]] fa conoscere in anticipo ciò che riguarda il futuro (cfr. {{pb|Dn|2,29}}), specialmente ciò che avverrà al finire dei giorni (cfr. {{pb|Dn|2,28}}) e, in particolare, fa conoscere i giudizi divini prodromici alla ricompensa finale (cfr. {{pb|Dn|12,13}}), ma le sue rivelazioni rimangono incomprensibili (cfr. {{pb|Dn|4,15}}) eccezion fatta per i prediletti (cfr. {{pb|Dn|9,23}}) ai quali viene concesso sia di descrivere (cfr. {{pb|Dn|2,31-35}}) che di intendere (cfr. {{pb|Dn|10,1c}}) qualunque rivelazione in quanto, essendo gli stessi riconosciuti dai contemporanei come ispirati dalla Divinità (cfr. {{pb|Dn|4,5}})<ref>Il passo di {{pb|Dn|4,5}} per indicare l'ispirazione divina in realtà utilizza l'espressione "lo spirito degli dei santi" la quale, parimenti, è stesa anche in {{pb|Dn|5,11a.14}}. Solo il manoscritto di Teodozione, per lapalissiane ragioni teologiche, modifica il plurale aramaico in singolare: in realtà non vi è alcuna necessità di tale modifica perché l'espressione citata è il modo con cui dei pagani, Nabucodonosor, Baldassar e sua moglie, riconoscono in Daniele l'ispirazione divina. In un contesto monoteistico, anche se non sempre inteso strictu sensu, altro è il modo di esprimere la stessa nozione come attestato in {{pb|Dn|4,5}}, dove si fa espresso riferimento al Signore che "suscitò il santo spirito di un giovanetto", o in {{pb|Dn|4,34}} dove Nabucodonosor esprime comunque una contrizione ede una preghiera nei riguardi di Dio.</ref>, hanno ricevuto la luce, l'intelligenza e la sapienza in un grado ordinariamente pari alla sapienza divina (cfr. {{pb|Dn|5,11b}})<ref>In realtà il testo di {{pb|Dn|5,11b}} fa riferimento alla concessione di una "sapienza pari alla sapienza degli dei": per tale testo bisogna svolgere la stessa considerazione di {{pb|Dn|4,5}} e, quindi, considerare la citata espressione per ciò che essa è, ossia l'espressione di una pagana, la regina consorte di Baldassar.</ref> per non essere in difficoltà innanzi a qualunque segreto (cfr. {{pb|Dn|4,6}}), a meno che tali segreti rimangano incomprensibili anche per i prediletti (cfr. {{pb|Dn|8,27b}} e {{pb|Dn|12,8}}) in quanto vengono sigillati per un tempo, più o meno determinato (cfr. {{pb|Dn|7,28b}} e {{pb|Dn|8,26}}) e che al massimo giunge sino al tempo della fine (cfr. {{pb|Dn|12,4.9}}), in quanto la durata dello stesso è rivelata in modo oscuro (cfr. {{pb|Dn|7,25b}} e {{pb|Dn|12,7}}).
 
L'indicazione del periodo temporale in Daniele è quasi sempre ermetica e l'emblema di ciò è ritenuto il passo di {{pb|Dn|7,25b}} in cui è letteralmente contenuta l'espressione ''un tempo, più tempi e la metà di un tempo'' il cui significato evidentemente non è certo. Naturalmente, alcune interpretazioni sono state proposte e, fra di esse, allo stato ottiene maggiore consenso tra gli studiosi l'interpretazione per la quale il senso di {{pb|Dn|7,25b}} va rintracciato nell'ottica di {{pb|Dn|4,13b}} dove probabilmente la parola ''tempi'' deve essere intesa come sinonimo di anni: in tale ottica, l'espressione di {{pb|Dn|7,25b}} equivarrebbe a tre anni e mezzo corrispondendo all'incirca alla durata della persecuzione di Antioco Epifane cui fa riferimento {{pb|Dn|7,25a}} ede alla quale, secondo alcuni, farebbe pure riferimento la mezza settimana di {{pb|Dn|9,27}} che, quindi, equivarrebbe ai citati tre anni e mezzo i quali, considerato che sono composti da quarantadue mesi di trenta giorni e, quindi, equivalgono a 1260 giorni, creano degli interessanti parallellismi con {{pb|Lc|4,25}}, {{pb|Gc|5,17}} e {{pb|Ap|11,2-3;12,14;13,5}} con la conseguenza che indicherebbero, nell'ambito di una prospettiva sempre presente in Daniele, un periodo di tribolazioni la cui durata viene limitata da Dio per la consolazione dei tribolati. Ciò che sembra non favorire questa interpretazione pare risieda proprio in {{pb|Dn|4,13b}} non tanto perché la parola ''tempi'', ivi contenuta, equivale ad anni per probabilità e non per certezza ma in quanto, altrove in Daniele, la parola ''tempi'' indica un periodo non ben determinato: del resto, tenendo presente che l'espressione citata, contenuta in {{pb|Dn|7,25b}}, è riprodotta in {{pb|Dn|12,7}} sia pur nella forma ''un tempo, tempi e la metà di un tempo''; e considerando che del contenuto di {{pb|Dn|12,7}} Daniele, non avendolo compreso, ne riceve spiegazione in {{pb|Dn|12,9}} dove si afferma che il significato di {{pb|Dn|12,7}} sarà nascosto sino al tempo della fine; ne consegue che l'espressione citata in {{pb|Dn|12,7}} potrebbe avere un valore temporale diverso e maggiore rispetto all'interpretazione, sopra fornita, della stessa espressione usata in {{pb|Dn|7,25b}}, a meno che debba intendersi che solo il senso di quanto verificatosi alla scadenza dei tre anni e mezzo sarà chiaro a tutti nel tempo della fine, considerato che i saggi lo avranno già inteso in base a quanto attestato nella fine di {{pb|Dn|12,10b}}, il quale potrebbe essere pure rettamente inteso nel senso che verso la fine dei tempi solo i saggi, e coloro che essi avranno istruito di cui in {{pb|Dn|11,34}}, conosceranno il senso delle parole nascoste dato che gli empi non le intenderanno in base a quanto attestato sempre in {{pb|Dn|12,10b}}. A rendere più complessa l'analisi si aggiunge {{pb|Dn|12,11-12}} che, pur affrontando la tematica dell'abolizione del sacrificio quotidiano durante la tribolazione, logicamente è una continuazione di {{pb|Dn|12,9-10}} ma contiene due periodi temporali diversi, computati in giorni: uno steso in {{pb|Dn|12,11}} e corrispondente a 1290 giorni computati dall'abolizione del sacrificio quotidiano, l'altro steso in {{pb|Dn|12,10b}} e corrispondente a 1335 giorni che saranno raggiunti da parte di chi aspetterà con pazienza. Siccome gli ultimi due versetti citati riguardano l'abolizione del sacrificio quotidiano, vanno posti in parallelo a {{pb|Dn|8,13-14}} in cui, precisamente in {{pb|Dn|8,14}}, si fa riferimento ada un ulteriore periodo temporale, di diversa durata rispetto ai precedenti citati, e indicato con l'espressione ''2300 sere e mattine'' la quale, se riferita alla durata della sospensione dei due sacrifici quotidiani durante la tribolazione, può indicare in termini moderni sia 2300 giorni sia 1150 giorni. Tutte queste cifre si riferiscono alla durata della tribolazione ma nessuna di esse è identica all'altra e lapalissianamente non concordano con la citata interpretazione dei tre anni e mezzo: la differenza tra tutte le cifre indicate resta senza una qualche spiegazione almeno sostenibile anche nella sola via ipotetica.
 
I segreti sono conosciuti innanzitutto da Dio e, siccome Dio è nel cielo (cfr. {{pb|Dn|2,28}}), ne consegue che questi segreti sono parimenti scritti nel cielo. A motivo di tale conoscenza solo a [[Dio]] va propriamente attribuita la qualifica de ''il rivelatore dei misteri'':
* questa qualifica è espressamente menzionata in {{pb|Dn|2,47}} ed è facilmente deducibile da {{pb|Dn|2,22.28-29}} dove si descrive l'azione divina che determina la detta qualifica, ossia lo svelamento di cose profonde ede occulte e dei misteri;
* questa qualifica non è solo presente in Daniele in quanto l'azione divina di svelamento dei segreti è già descritta in {{Pb|Gb|12,22}} e continuerà ada essere descritta nel Nuovo Testamento (cfr. {{Pb|1Cor|2,10}} e {{Pb|Ap|1,1.19;4,1}}), e
* questa qualifica è logicamente dipendente da altre due qualifiche, espressamente attribuite a Dio in {{pb|Dn|2,47}}, ossia ''il Dio degli dei'' e ''il Signore dei re''.
 
** come sogni o visioni notturne, come attestato in {{pb|Dn|2,1-3.19;4,1-15;7,1-27}}, e
** come visioni che, per quanto affermato nel contesto o per quanto si deduce dallo stesso, sembrano avvenire sia in uno stato non dormiente che in un periodo non notturno, come attestato in {{pb|Dn|8,1-14;10,1.4-8}};
* negli incontri reali<ref>Tra gli incontri reali di Daniele con altri esseri non sono stati inseriti in voce gli incontri di cui in {{pb|Dn|7,15-27}}, in quanto avviene nell'ambito di un sogno, ede in {{pb|Dn|10,1.4-8}} in quanto trattasi di visione essendo la descrizione di un essere dall'aspetto umano e vestito di lino con il quale Daniele interagirà solo in {{pb|Dn|12,7-13}}.</ref> di Daniele con altri esseri, a loro volta misteriosi, come quelli:
** con l'[[Arcangelo Gabriele]] che spiega a Daniele sia la profezia del montone e del capro, come attestato in {{pb|Dn|8,17-26}}, sia la profezia della settanta settimane, come attestato in {{pb|Dn|9,20-27}};
** con un angelo non meglio identificato poiché non sembrerebbe essere l'[[Arcangelo Michele]] ivi citato, come attestato in {{pb|Dn|10,9-15.20-12,4}},<ref>Con Daniele, come con Ezechiele e Tobia, la dottrina sugli angeli comincia a consolidarsi. In Daniele, esattamente in {{pb|Dn|10,10-15}}; {{passo biblico|Dn|20,11-1}}; {{passo biblico|Dn|12,1}}, si fa cenno ad alcuni angeli custodi delle nazioni: l'angelo principe del re di Persia, l'angelo principe di Grecia e l'angelo principe di Israele, ossia l'arcangelo Michele chiamato anche "il gran principe". Più precisamente in {{pb|Dn|10,1b.13.20-21;12,1}} ed esplicitamente in {{pb|Dn|10,13.20-21}}, si fa un ulteriore cenno ada un misterioso conflitto tra gli angeli custodi delle nazioni, e ciò sembra sottolineare come il destino delle nazioni resti un mistero da rivelare anche agli angeli.</ref> e
** con altri esseri non meglio precisati di cui alcuni dall'aspetto umano, anche se sembra che si tratti sempre dello stesso essere in quanto citato in diverse circostanze, come attestato in {{pb|Dn|8,15-16;10,16-19;12,5-13}};
* facendo uso, molto spesso, di simboli enigmatici, come attestato in {{pb|Dn|2,31-35}}; {{pb|Dn|4,7-14}}; {{pb|Dn|7,2-14}}; {{pb|Dn|8,3-14}} e {{pb|Dn|10,2-5}}, e di parole criptiche, come attestato in {{pb|Dn|5,24-25}}; {{pb|Dn|9,2}} e {{pb|Dn|12,6-13}}, e
* con le spiegazioni che Daniele offre a terzi, cioè il re e gli astanti come attestato in {{pb|Dn|2,36-55}}; {{pb|Dn|4,16-24}} e {{pb|Dn|5,17-28}}, gli anziani d'Israele come attestato in {{pb|Dn|13,50-59}}, ede i lettori come attestato in {{pb|Dn|7,28}}; {{pb|Dn|8,27}} e {{pb|Dn|12,4b}}.
 
== Accezione giudaica extra-biblica ==
L'attuazione del Mistero implica la manifestazione della Divinità che sarà intera solo dalla [[parusia]], prima della quale tale manifestazione, pur essendo piena nel Cristo totale, rimane nascosta sotto i veli del mistero che sono sia i segni dell'umanità della persona del Signore [[Gesù]] [[Cristo]] fino alla sua ascensione sia i segni rituali della cristianità dopo l'[[ascensione]] al cielo del Cristo.
 
Per tali ragioni, il Signore [[Gesù]] [[Cristo]], oltre ada essere il Salvatore, è il primo segno efficace di salvezza , quindi, il ''primordiale sacramentum''. A motivo dei legami mistici tra il Cristo Capo e le sue membra, la [[Chiesa]] partecipa della missione salvatrice del suo Capo per cui anch'essa è segno ordinario di salvezza, meglio ''generale sacramentum salutis'' oppure ''mirabile sacramentum''.
 
La [[Chiesa]] realizza la missione di salvezza che le è stata conferita mediante due aspetti correlati: l'annuncio del regno di [[Dio]] e l'attuazione di tale annuncio tramite segni, simboli e segni efficaci di salvezza che permettono al credente, mediante l'obbedienza della fede, la piena conformazione al Cristo sofferente e glorioso.
 
I segni efficaci di salvezza un tempo erano correttamente denominati ''mysteria''. Da diversi secoli è entrata nell'uso comune un'altra denominazione, teologicamente di origine agostiniana e anch'essa dottrinalmente corretta, ossia ''sacramenta'', [[sacramento|sacramenti]]. In ordine di recezione temporale, il primo di essi è il [[Battesimo]], che rende il [[Battesimo|battezzato]] conforme all'immagine del Verbo incarnato ede al suo [[mistero pasquale]], ede il cui carattere viene irrobustito con il dono dello Spirito Paraclito nel sacramento della [[confermazione]], completamento del Battesimo. Tra tutti i Sacramenti eccelle l'[[eucaristia]], "fonte e culmine di tutta la vita cristiana", nel suo duplice aspetto di mensa fraterna e di [[sacrificio eucaristico|sacrificio]] che ontologicamente,in forza del mistero della [[transustanziazione]], permette di pregustare ciò che escatologicamente avverrà nella [[parusia]].<br><br />
 
{{Sezione accessoria|Note}}
{{Sezioni accessorie fine}}
 
[[Categoria:Mistero| Mistero]]

Menu di navigazione