Discussione:Filioque

Da Cathopedia, l'enciclopedia cattolica.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Contributo: disputa sul Filioque

Pietro Piffari L’ESPERIENZA TRINITARIA DI SALVEZZA IN GESÙ CRISTO Glossario e Corso fondamentale in 70 Voci:

16) Esperienza trinitaria in Cristo Perché l’esperienza cristiana trinitaria è ciò che di più ragionevole e valido il cristiano possa vivere ed offrire al mondo? In tutte queste 70 Voci, riconduciamo all’“esperienza cristiana trinitaria” gli aspetti fondamentali della fede cristiana, che la Chiesa Cattolica considera irrinunciabili (come S. Scrittura, Tradizione e Magistero, Eucaristia e gli altri sacramenti, Virtù teologali, persona, famiglia, sessualità, politica, ecc), in un “Cristocentrismo trinitario”, che è la base di ogni progresso nell’Ecumenismo con le Chiese e comunità separate ed anche per una rinnovata Teologia e Soteriologia, in seno alla stessa Chiesa Cattolica. Dato che la Persona divina del Figlio-Parola, ha preso realmente “la sua dimora tra di noi” (contro ogni eresia di “docetismo”), di fatto, non può che vivere, anche nell’umano, il suo stesso modo d’essere personale nel divino, e quindi non può non rivelarci anche le sue relazioni proprie con le altre due Persone divine, con cui è sempre in comunione, l’Abbà e la Ruah. Il cristiano, abbandonandosi fiducioso, come faceva Gesù nelle mani provvidenti del Padre, già sperimenta la sicurezza, in ogni sua attività ed “opera”, così come, nella bellezza, amore e tenerezza (simboleggiata dalla “colomba di pace”) della Ruah, pure sperimenta la gioia dei veri desideri del suo cuore, anche nelle prove della vita. 58 Nel volto concreto anche umano della persona divina del Figlio-Parola, il cristiano che segue la sua parola-vangelo e Lo incontra realmente, soprattutto nell’Eucaristia, anticipa la certezza del Cielo, ossia di quella “visione” di Lui, che lo assimilerà definitivamente a Lui, e che costituirà la vera ed unica certezza di una vita eterna ed impeccabile, simile alla sua (1Gv 3, 2), in una identificazione con Lui, come figli nel Figlio, entrando così nella Famiglia Trinitaria Questa “concentrazione cristologica” pone “l’esperienza trinitaria” non al margine o come conseguenza della fede, ma al centro della stessa esperienza originaria di salvezza, base della fede di tutti i cristiani. Cercare di “esplicitare” sotto tutti i punti di vista (psicologici, sociologici, filosofici, teologici) questa esperienza cristiana trinitaria è quello che facciamo in queste 70 Voci (che si possono approfondire anche con riferimenti bibliografici, nel nostro libro: Alla scoperta del mistero cristiano). Il nostro punto di partenza non è una “teoria filosofica”, ma è l’esperienza pasquale di salvezza della prima comunità apostolica, che fu intrinsecamente trinitaria e al tempo stesso un’esperienza pienamente umana , sia illuminatrice (nel Vangelo di Gesù), che soddisfacente (nella gioia dello Spirito Santo) e liberatrice (nella liberta dei figli del Padre, che liberò definitivamente Gesù, dalla morte e da ogni male, nella Nuova e definitiva Alleanza con il suo Popolo). È “un’esperienza-primizia” della nostra realizzazione definitiva, nella verità, amore e libertà, attraverso “mediazioni” che noi chiamiamo “semiotiche, estetiche e prassiche” (cfr. Voce Mediazioni), che seppur ora limitate, ci sono sicure e garantite per sempre, grazie alle Tre Persone divine (Principi e Garanti ciascuna in proprio di queste mediazioni e, per la comunione reciproca, vivendo Ciascuna la stessa verità, amore e libertà). Il Papa Benedetto XVI così ci parla della Trinità nell’“Anno della fede”: «Professare la fede nella Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – equivale a credere in un solo Dio che è Amore (cfr. 1Gv 59 4,8): il Padre, che nella pienezza del tempo ha inviato suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Cristo, che nel mistero della sua morte e risurrezione ha redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa attraverso i secoli nell’attesa del ritorno glorioso del Signore » (Porta fidei, 1). Nella teologia trinitaria “scolastica”, ci siamo limitati purtroppo alla sola prospettiva del “Padre” e si parla quindi (con appropriato linguaggio prassico) delle due “missioni” (di Gesù e del suo Spirito Santo) da parte del Padre ed anche di un Dio “Amore” (la “caritas quae”, nel voler “fare” il bene altrui, più che la “caritas qua” nel “godere esteticamente” del bene e del bello condivisi, come “l’amore diffuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo”). Si tratta allora, di precisare meglio il ruolo proprio “amoroso-gratificante” dello Spirito S. con queste stesse parole del Papa: «L’olio di letizia, che è stato effuso su Cristo e da Lui viene a noi, è lo Spirito Santo, il dono dell’Amore che ci rende lieti dell’esistenza. Perché conosciamo Cristo e in Cristo Dio, sappiamo che è cosa buona essere uomo. È cosa buona vivere, perché siamo amati. La gioia, che da Cristo ci viene incontro, ci dà la capacità di soffrire e nella sofferenza di restare tuttavia intimamente lieti» (Messa crismale del 1 aprile 2010). Nella teologia (in una concezione delle semplici “relazioni” divine, rendendole “sussistenti”) ci siamo così fermati a un “nominalismo Sabelliano” (il Padre è Padre, perché c’è il Figlio, e viceversa, e lo Spirito Santo sarebbe “l’Amore” tra i due, senza precisare, di Costui, la “mediazione estetica” propria, che definisce il suo ruolo (ossia, intendendo e “sentendo” lo Spirito Santo, come la Ruah della Bellezza, perché rende lieto, entusiasmante ed attraente il Vangelo di Gesù). Abbiamo eclissato purtroppo l’esperienza cristiana “propria” di questa Persona divina, spesso sostituendola con il ruolo femminino e materno di Maria SS, che di fatto ne è il miglior riflesso ed icona estetica. Nella disputa teologica dell’“ab utroque” che separa la Chiesa Cattolica dall’Ortodossa, si potrebbe trovare una via d’uscita, ac60 cettando come giusta l’impostazione di quest’ultima, nel concepire la ”procedenza” dello Spirito Santo solo dal Padre, intesa nel senso di “missione” (linguaggio “prassico” dell’invio proprio dal Padre), e dal Figlio, ma solo “nel nome del Padre” e “con” o “per” Cristo. Nondimeno la “procedenza ab utroque” va considerata valida sia per lo Spirito Santo (secondo la Chiesa Cattolica), come anche per ciascuna delle altre due Persone divine, nel senso che ciascuna delle tre Persone divine “procede” ossia “dipende” dalle altre due, in ciò che non Le è proprio, altrimenti non ci sarebbe “comunione”, ma un “subordinazionismo unilaterale”, dal solo Padre, delle altre due Persone, che invece hanno la medesima dignità. Allora, se il concetto di “processione”, per evitare ogni malinteso, va inteso nella “necessaria dipendenza” di ogni Persona divina, in ciò che non Le è proprio, anche dalle altre due, le Chiese dovrebbero applicare l’“ab utroque” sia allo Spirito Santo, rispetto al Padre (Principio della sua “missione”) ed al Figlio-Parola (come “Spirito di Verità”, non nel senso di “Rivelazione”, che è propria della Parola, ma di Testimone di verità, al servizio della credibilità attraente del Vangelo), come anche lo dovrebbero applicare allo stesso Figlio ed allo stesso Padre, rispetto alle altre due Persone (per vivere in comunione, anche ciò che non è Loro “proprio”). Per esempio, pure nel suo ruolo proprio “semiotico”, il Figlio-Parola, dipende dal Padre, come “In-segnante” o “Maestro” di prassi morale (del V. e N. Testamento), ma è pure “animato” o “dipendente” dalla mozione interiore della Ruah, come il “Saggio” che fa gustare le Beatitudini del Vangelo, nello stesso “discorso della montagna”. Analogamente il Padre, non perché lo nominiamo per primo, in una concezione “fisicista” di “generazione”, non “dipende” o non “procede” dalle altre due Persone. Infatti, come un padre in una famiglia, nel suo ruolo “prassico” di promotore della sicurezza familiare, sia nella verità (generando idee e progetti), che nel suo amore “provvidente” (provvedendo i beni necessari), non lo può fare che 61 collaborando ed “in dipendenza”, dai ruoli propri (semiotici- progettuali) dei figli e da quelli (estetici - affettivi) della sposa-madre. Si tratta allora di accettare integralmente la definizione del Concilio Vaticano II che definisce Dio come Famiglia (cfr. Lumen gentium, 6; Gaudium et spes, 32, 40, 92), ma non nel senso di generazione fisica naturale come si dà nella nostra natura umana, ma nei ruoli trascendentali che polarizziamo nella famiglia: il “prassico”, nella mascolinità- paternità di ogni padre, il “semiotico” nella progettualità-somiglianza dei figli e l’”estetico” nella polarizzazione di femminilità e di maternità della donna (che forma vera famiglia con l’uomo, anche nell’eventualità che abbiano solo figli adottivi, sempre veri, anche se non procreati). Gesù, da vero Figlio-Parola, anche nella sua umanità, visse più del 90% della sua vicenda terrena, nella sua famiglia di Nazareth, con l’esperienza concreta dei tre ruoli familiari, ossia, nel senso proprio di “figlio”, depositario “semiotico” dei progetti ed ideali dei suoi, «stando loro sottomesso» (Lc 2, 51), ed anche nel senso di “sicurezza” che gli davano le mani operose del giusto Giuseppe, suo padre (anche se non biologicamente), e pure in un rapporto affettivo con la madre Maria, amata più che per la generazione materna, per la sua “grazia” e disponibilità, nell’accogliere con “cuore” e fiducia le sue parole (come evidente anche nelle nozze di Cana). In questi tre ruoli familiari (in cui polarizziamo, ciascuna delle tre mediazioni “semiotiche, estetiche e prassiche”, indispensabili in ogni persona) e nelle rispettive relazioni di “comunione” e di dipendenza reciproca, dovremmo intendere il senso della procedenza “ab utroque”di ogni Persona divina dalle altre due, come in ogni famiglia umana. Allora, la paternità, la maternità e la filiazione (non necessariamente biologica, ma anche solo adottiva) è l’esperienza privilegiata per intendere il Dio Uno e Trino, come “vera Famiglia”, in cui tutti siamo chiamati ad entrare, come figli nel Figlio, vivendo ora nella fede a sua immagine ed assimilandoci a Lui e poi nell’identificazione definitiva 62 in Lui (per la “visione” della sua Umanità, che ci fa “simili” a Lui : 1 Gv 3, 2). Per questo i “salvati” formano con Lui come “una sola persona mistica”, degni di una vita impeccabile ed eterna, perché divina come la Sua, in comunione con il stesso Abbà e la sua stessa Ruah. L’autentica famiglia umana è quindi il luogo privilegiato dell’esperienza cristiana trinitaria, e purtroppo la stessa teologia trinitaria può essere compromessa, sotto forma di un “subordinazionismo unilaterale”, sia da una “cultura maschilista-patriarcale” (come soprattutto nel passato) e sia da quella “femminista -matriarcale” (che potrebbe imporsi verso un prossimo futuro): ora, purtroppo, è compromessa da “un relativismo ideologico”, che perfino vuole minimizzare erroneamente le stesse “distinzioni” e “polarizzazioni” sulla base del sesso biologico (cfr. Voce “Gender”). La “coscienza esplicita dell’inabitazione trinitaria”, che Gesù ha promesso ai suoi discepoli (cfr. Gv 14, 15-18 e 23), non va considerata come “un’esperienza privilegiata” solo per alcuni mistici, ma come l’esperienza fondamentale propria di ogni persona, che, al diventare “cristiana”, anticipa esplicitamente, in tutta la sua struttura ed esperienza triadica personale, familiare e sociale, la propria chiamata ad inserirsi nella stessa Famiglia Trinitaria, che già si è fatta “nostra storia”. Purtroppo, per molti cristiani quest’esperienza trinitaria è un “mistero” solo riservato all’“intimità spirituale” e non sarebbe ciò che di più ragionevole e valido il cristiano possa vivere ed offrire al mondo, perché avrebbe poco a che vedere con voci come “politica”, “festa”, “democrazia”, “storia”, “mondo”, “comunicazione sociale”, “sessualità”, “famiglia”, ecc. (cfr. queste Voci). Invece, l’esperienza cristiana trinitaria è pur sempre un mistero da accogliere con fede, ma anche nella ragionevolezza della nostra ricerca della verità in tutti gli ambiti dell’esistenza, come ben capiva S. Agostino: «credo ut intelligam ed intelligo ut credam».

Pietro Piffari (pietropiffari chiocciola libero punto it), 2013-06-13 13:08:17 GMT