Discussione:Libro di Daniele
Roberto Reggi tu dici che Daniele profeta non è esistito eppure l'enciclopedia cattolica santiebeati dice chiaramente che è esistito: vedi [1]
"Non esiste ragione fondata per dubitare dell'esistenza storica di Daniele e dei fatti e delle visioni a lui attribuite, sia che si ammetta essere Daniele stesso all'origine delle tradizioni orali o scritte, raccolte dal redattore del sec. II, sia che si preferisca un'origine alquanto posteriore, ma sempre vicina alle tradizioni e ai tempi di Daniele (sec. VI). Lasciando come dubbia, o almeno non dimostrata, l'identità del profeta col Daniele di Ez. (14,14,20; 28,3), nominato tra Noè e Giobbe e lodato per la sua giustizia e sapienza, limitiamoci alle notizie del libro". Cosa ne pensi?
Secondo me tale citazione si potrebbe inserire dicendo che secondo alcuni Daniele profeta è realmente esistito e secondo altri no.
- Ciao, non dico che non è esistito, e se anche lo pensassi non sarebbe importante il mio pensiero. Non si può escludere che sia esistito proprio come lo dice il libro omonimo, ma l'opinione degli studiosi attuali propende per la storicizzazione nell'esilio di Babilonia di una figura mitica precedente, un po' come è successo per Giobbe. Sono cmq d'accordo a dire "per alcuni... per altri...", quello va sempre bene. Magari domani cerco un po' di info dallo Schokel --Roberto Reggi 23:45, 18 gen 2010 (CET)
E' interessante anche questo sito [2]
"Daniele nacque verso il 610 a.C. e fu profeta e principe di Giuda (Daniele 1,1-7). Venne imprigionato da Nabucodonosor che lo deportò giovanissimo a Babilonia. Visse fino al tempo dei re persiani Dario e Ciro (Daniele 6,28) e morì dopo l’editto di Ciro verso il 530 a.C.. Ripieno di Spirito Santo e dotato di grande sapienza, interpretò sogni e visioni dei re babilonesi e fu così nominato capo dei saggi e governatore di Babilonia (Daniele 2,48). Profetizzò sugli imperi di babilonese, medio-persiano e macedone, nonché sulle successive lotte tra i regni dei diadochi. In tutte le sue profezie annunciò la venuta del regno di Dio e l’avvento di un misterioso Figlio dell’uomo (Daniele 7,13-14).
La precisione e l’accuratezza delle profezie di Daniele stupirono molti, spingendo critici, increduli e scettici a mettere in dubbio la sua reale esistenza e a postdatare la redazione del libro al II secolo a.C..
L’esistenza di Daniele è però chiaramente attestata dal profeta Ezechiele che ne lodò la giustizia (Ezechiele 14) e la saggezza (Ezechiele 28). Le testimonianze di Ezechiele risultano affidabili, essendo i due profeti vissuti nello stesso periodo storico. Al di sopra di ogni sospetto è poi un preciso riferimento al profeta Daniele presente all’interno di una profezia sulla città di Tiro. Ezechiele, dopo aver rimproverato il re di Tiro per essersi atteggiato a dio e a uomo più sapiente di Daniele (Ezechiele 28,3), annunciò l’imminente caduta di Tiro per mano del re babilonese Nabucodonosor. Come Ninive ai tempi di Giona (Giona 3), Tiro sopravvisse ai castighi divini e fu espugnata solo alcuni secoli dopo, spingendo il profeta a rettificare la profezia (Ezechiele 29,18)[1].
Autorevoli sono anche tre testimonianze di un famoso storico antico, a proposito del libro di Daniele. Giuseppe Flavio (37 d.C.-103 d.C.), di ricca famiglia sacerdotale, nel 67 fu fatto prigioniero dell’imperatore romano Vespasiano, che dopo averlo trattato con grande benignità, finì per lasciarlo ben presto libero. Fu quindi in Palestina con Tito ed assistette nel 70 d. C. alla distruzione di Gerusalemme. Recatosi poi a Roma svolse attività di letterato, tentando di fare conoscere al mondo antico la cultura e le tradizioni ebraiche. Scrisse così la Guerra Giudaica in 7 libri (prima in aramaico e poi in greco) e le Antichità Giudaiche in 20 libri (in greco) narrando la storia del popolo ebraico dalle origini fino alla rivolta contro i romani. Nell’opera in due volumi Contro Apione difese la cultura giudaica contro gli attacchi dei romani, dei greci e degli alessandrini. Egli narrò che:
a) il libro di Daniele fu noto ad Alessandro Magno già verso il 332. A tal proposito egli infatti, scrisse: "Quando gli si mostrò il libro di Daniele ove (il profeta) rivelava che un Greco avrebbe distrutto l'impero dei Persiani, ravvisò se stesso nella persona indicata; e colmo di gioia, per il momento congedò la folla, ma nel giorno appresso la convocò di nuovo e disse che chiedessero qualunque regalo desiderassero". [Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, XI, 337][2].
b) il canone della Bibbia ebraica fu definitivamente chiuso ai tempi di Artaserse ed Esdra verso la metà del V secolo a. C. (Flavio Giuseppe, Contro Apione, I, 8), confermando l’impossibilità che il libro di Daniele sia stato aggiunto al canone nel II secolo a. C. durante le guerre dei Maccabei; [3] [4]
c) sia la persecuzione di Antioco IV Epifanie che la successiva distruzione di Gerusalemme da parte dei romani furono previste dal profeta Daniele, notando come: “Questa desolazione del tempio si verificò in conformità alla profezia di Daniele fatta quattrocentotto anni prima: egli infatti aveva rivelato che i Macedoni l'avrebbero distrutto”. [Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, XII, 322] e anche “La nostra nazione ebbe a sperimentare questi sfortunati eventi sotto Antioco Epifane, proprio come vide Daniele, molti anni prima che avvenissero. Allo stesso modo Daniele scrisse anche a proposito dell'impero dei Romani, che Gerusalemme sarebbe stata presa da loro e il tempio distrutto. Tutte queste cose rivelategli da Dio, egli tramandò per iscritto, sicché quanti le leggono e osservano come esse accaddero, si stupiscono dell'onore fatto da Dio a Daniele. Da tali eventi si comprende quanto sbagliano gli Epicurei, i quali escludono la Provvidenza dalla vita umana e si rifiutano di credere che Dio regga le sue vicende o che nell'universo vi sia un Essere benedetto e immortale che lo dirige a un fine e che il tutto possa durare, sostengono invece che il mondo si muove per forza propria senza conoscere né guida né cura di altri”. [Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, X, 276-278]
Fin dai primi secoli dell’era volgare, i cristiani hanno sempre tenuto in alta considerazione le profezie di Daniele, nonostante le contorte esegesi ebraiche (iniziate già ai tempi di Aquila, Teodozione e Simmaco), le critiche pagane (portate avanti soprattutto da Porfirio, filosofo neoplatonico anticristiano del III secolo, autore di un libro polemico contro i cristiani nel quale tentò, tra le altre cose, di mettere in dubbio l’attendibilità della profezia delle 70 settimane) ed i sottili sofismi elaborati dalla recente critica atea, razionalista e liberale. L’applicazione a Cristo delle profezie di Daniele fu difesa, nei corso dei secoli, da Giulio Africano, da Tertulliano, da Gerolamo, da Eusebio di Cesarea, da Teodoreto di Ciro, da Lutero, da Calvino e da Newton e fu ribadita, fino all’inizio del secolo scorso, da tutta la Chiesa Cattolica. All'inizio del XX secolo, anche un grande papa applicò a Cristo la profezia delle settanta settimane (Pio X, Breve storia della religione, 80, in Compendio della dottrina cristiana, 1905). Solo negli ultimi 50 anni, si sono insinuate all'interno della cristianità ostinate critiche sulla datazione del libro del profeta Daniele e sulla reale possibilità di riferire a Cristo alcune sue famose profezie." --Francesco 14:38, 19 gen 2010 (CET)