Discussione:Persona

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Persona e Trinità

Pietro Piffari L’ESPERIENZA TRINITARIA DI SALVEZZA IN GESÙ CRISTO Glossario e Corso fondamentale in 70 Voci

52) Persona (sua struttura tripolare di autogoverno) Chi siamo noi, come “persone”, ossia, soggetti umani, corporalmente situati in questa storia ed in questo cosmo? E che cosa sa di più, il cristiano, della “vocazione” o del “destino personale” per cui siamo stati creati? Sappiamo come per gli antichi filosofi greci il centro delle loro domande era il “Cosmo”. Nel Medioevo, il centro culturale era Dio. Nella cosiddetta epoca moderna, è l’Uomo stesso che passa ad essere il centro e il punto di partenza delle sue domande fondamentali (come quelle di un E. Kant: “Che posso sapere? Che devo fare? Che mi è permesso sperare?”). Per essere noi “persone umane”, siamo anche parte di questa natura cosmica, ma, per l’esperienza soggettiva ed interpersonale di essere “qualcuno” e non semplicemente “qualcosa”, ci vediamo come soggetti, come fini rispetto alla natura cosmica ed impersonale. Il fatto di essere qualcuno non è una semplice perfezione naturale in più, che ci si aggiungerebbe, e che gli altri esseri impersonali non avrebbero. La definizione aristotelica dell’uomo come “animale ragionevole”, “oggettivizza” l’uomo, mettendolo a fianco degli esseri della natura cosmica, seppure sia il migliore nella loro graduazione. Purtroppo oggi si “umanizzano gli animali” e spesso (non solo nei films) “si imbestialisce l’uomo.” Invece, in una chiara prospettiva “personalista” e non “naturalista” di questa “soggettività” (o centro di autodeterminazione ed attri181 buzione personale), la nostra superiorità sugli esseri impersonali del cosmo non è semplicemente di “grado”, ma radicale, nel senso che non avrebbe ragione di esistere la natura cosmica e la nostra stessa natura umana, se in essa non potesse esistere “qualcuno” che la conoscesse, che la fruisse e che potesse intervenire liberamente in essa. La nostra stessa esperienza di essere e sentirci “persona”, seppur concreta e limitata, può considerarsi autentica, solo se è vissuta al tempo stesso nella libertà, verità ed amore, perché altrimenti o non sarebbe propria (se non libera), o sarebbe illusoria (se non vera) o sarebbe insignificante (senza senso o valore da assumere ed amare). Di fatto, però, libertà, verità ed amore non si verificano in una persona, se la sua natura e storia concreta non le offre, seppur in parte limitata, queste tre “mediazioni”(vedi questa Voce) naturali e culturali: ossia, di prassi (atti interni ed opere esterne), di rappresentazioni semiotiche (sensazioni, idee e parole) e di appetizioni estetiche (gusti, desideri, sentimenti e valori). Solo così la persona nella sua natura concreta può realizzarsi o nel rappresentare la realtà (conoscendola nella verità) o nel valorizzarla (affettivamente ed esteticamente nell’amore) o nell’intervenire attivamente in essa (in una prassi libera, creativa o correttiva). Il problema del male (vedi Voce “bene o male”) è precisamente la limitazione ingiusta in ogni persona (che non è una cosa o un mezzo, ma un fine assoluto: o lo siamo tutti o non lo è nessuno) di queste mediazioni fondamentali, che permettono la realizzazione personale -solidaria e perfino la possibilità di salvezza trascendente con l’Assoluta Persona eterna (dato che noi, eterni non lo siamo), che chiamiamo Dio. È proprio in ogni opzione d’autogoverno che la persona si va affermando nella sua “trascendenza”, al riconoscersi: o capace di verità (già attraverso un semplice concetto universale) o capace di amore (già attraverso un semplice piacere compartito con gioia) o capace di libertà (già attraverso un semplice atto non imposto). L’affermarci come “persone”, ossia come degni di realizzazione immanente ed anche trascendente, (aperti alle altre persone, pure trascen182 denti la materia, ed aperti all’incontro con l’Assoluto eterno, che chiamiamo Dio), non è evidentemente il risultato di una semplice prova scientifica (che ha solo un carattere funzionale per fare più abitabile la natura). Si tratta invece, di una “opzione fondamentale” (vedi questa Voce) vissuta in ogni opzione concreta libera, ed anche di un desiderio-valore radicale vissuto in ogni desiderio-amore particolare e pure di una verità-certezza, vissuta in ogni verità particolare. Le tre forme di autogoverno personale, che lo psicologo A. Eymieu giustifica come valide per la realizzazione personale o a partire dalle “idee”, o dagli “atti” o dai “sentimenti” (cfr. anche Voce “polarizzazione”), sempre intese nel contesto interpersonale e culturale, come J. Gevaert, precisa molto bene filosoficamente (cfr. anche nel nostro libro citato. Alla scoperta del mistero cristiano, pp. 63 e ss.) non possono che giustificare la struttura triadica della persona (come condizione di possibilità della sua autorealizzazione) e pure la realtà concreta di tre distinti modi, con cui potremmo configurare il nostro modo d’essere personale (secondo la mediazione con cui ci lasciamo polarizzare ed identificare, nell’autogoverno). A partire da queste tre polarizzazioni possibili di ogni persona, abbiamo affrontato anche l’interpretazione della struttura triadica della sessualità e della famiglia (vedi queste Voci), nei ruoli familiari rispettivi di paternità, maternità e filiazione, dove si vanno identificando anche le polarizzazioni sessuali rispettive di mascolinità e di femminilità (sulla base del sesso biologico: mascolino, più prassico, e femminino, più estetico) e di “similitudine” (per cui, l’altro, non è solo maschio o femmina, ma “il simile”, il “fratello”, il “collega” ecc., e, per questo livello noetico-semiotico, mascolinità e femminilità non sono semplicemente fenomeni “complementari”, ma “reciproci”). In ogni famiglia normale, viviamo queste tre polarizzazioni del nostro essere “persone”, in tre ruoli distinti ed in comunione (sulla base di ciascuna delle tre mediazioni: o prassiche, o estetiche o noetiche-progettuali). La radicale intersoggettività e socialità della “persona” (che non è sinonimo di “individuo”) nasce nell’esperienza familiare, come luogo 183 normale dove l’“io” non si darebbe senza l’esperienza del “tu” e del “noi”. Per il cristiano la “famiglia” nei suoi tre ruoli, secondo il piano divino, è il luogo privilegiato per la stessa esperienza del Dio Tripersonale, definito anche dal Concilio Vaticano II, come “Famiglia” (Lumen gentium, 6; Gaudium et spes, 32, 40, 92). Particolarmente nella famiglia di Nazareth, è dove Gesù volle sperimentare per più di 30 anni, che cosa significasse essere figlio, depositario dei progetti familiari (e nel caso suo di essere il Figlio-la Parola , il Progetto definitivo di Dio per gli uomini); pure, che cosa significasse l’essere padre, con un fabbro, il “giusto” Giuseppe (in cui sperimentò la paternità e sicurezza prassica del suo Abbà), e che cosa volesse dire l’essere madre, con la bella e tenera Maria, la “piena di grazia” anche femminile (in cui sperimentò la gioia estetica e festiva dello Spirito Santo, come sua Ruah). Questo è per noi molto importante per riconoscere le condizioni di possibilità dell’autogoverno nello stesso Gesù di Nazareth, che, seppur Persona divina, non poteva non vivere anche nell’umano il suo proprio modo d’essere nel divino (come il Figlio-Parola), e, così, anche quelli propri delle altre due Persone divine (l’Abbà e la Ruah), a cui si riferiva, in comunione con loro. Ossia, Gesù Cristo, per la sua stessa identità come Figlio-Parola, non poteva non rivelarci anche le altre due Persone divine, non per donarci dei misteri in più, ma per svelare l’uomo all’uomo stesso come “persona”, che seppur creata ha la “vocazione ad entrare nella Famiglia divina”, in una “filiazione nel Figlio” formando con Lui come “una sola persona mistica”, in comunione con la Ruah e l’Abbà. La realtà familiare è quindi il luogo migliore per aprirci al nostro mistero come “persone in comunione” e al mistero Tripersonale divino, che ci viene svelato storicamente nell’incontro con il Gesù di Nazareth.

Pietro Piffari (pietropiffari chiocciola libero punto it), 2013-06-13 13:15:12 GMT