Il costo umano del comunismo
Il costo umano del comunismo | |
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Titolo originale | Il costo umano del comunismo |
Nazione | Italia |
Lingua originale | italiano |
Autore | autori vari |
Datazione | 1973 |
Numero di pagine | 183 |
Genere | saggio |
Ambientazione Geografica |
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Ambientazione Storica | XX secolo |
Il costo umano del comunismo è un libro pubblicato da Le Edizioni del Borghese.
Autori
- Robert Conquest per la parte sull'URSS con introduzione di Thomas Joseph Dodd
- Richard Louis Walker per la parte sulla Cina
- James Oliver Eastland e Stephen Titus Hosmer per il Vietnam. La prefazione è di Adrian Popa.
Composizione dell'opera
- Prefazione
- URSS
- Origini del terrore con 49 note
- Cina
- Stalinismo cinese con 51 note, che si leggono da pagina 124 a pagina 128
- Vietnam con 7 note, che si leggono in pagina 183
- Rapporto del senatore James Oliver Eastland
I capitoli principali sono divisi in numerose sezioni. L'intero capitolo di Robert Conquest sul comunismo sovietico, con introduzione del senatore democratico statunitense Thomas J. Dodd e tutte le note, è riportato integralmente nel sito Europa oggi.[1]Si consideri che Conquest era un comunista marxista, che poi verificò le atrocità commesse dai sovietici diventando anticomunista e antimarxista.
Questioni considerate
Gli storici considerano la storia del movimento comunista marxista in URSS, Cina e Vietnam facendo un bilancio del costo umano ossia delle vittime uccise per realizzare e mantenere il sistema comunista in tali nazioni. In prefazione si legge: Anche volendo ammettere che, se non ha ancora portato, porterà il paradiso in terra, realizzerà la giustizia e l'eguaglianza sociale, assicurerà a tutti il dovuto, eliminerà definitivamente la disoccupazione, che intanto persiste oltre cortina, come persistono e si sono aggravate tutte le magagne dell'ordine capitalistico, il comunismo non può far pagare, non ha alcun diritto di far pagare all'umanità un prezzo così alto: cento milioni di vittime, di morti ammazzati, col corteo di sofferenze e di lutti annessi (e senza tener conto, ripeto, delle guerre civili di Grecia, di Spagna, d'Italia, dell'Indonesia, delle fosse di Katyn e delle foibe jugoslave, dei milioni di uccisi a Cuba e nelle <democrazie popolari>, dei rapimenti e degli assassinii all'ordine del giorno nell'America Latina, ecc.). Non v'è <fine sociale>, come non v'è ideologia, che possa giustificare massacri di tal fatta. Chi dà il diritto di uccidere milioni di persone e cioè uomini come ognuno di noi, con una propria vita, con una propria famiglia, solo per far trionfare un'ideologia piuttosto che un'altra, un sistema politico al posto di un altro, considerato <reazionario>?[2] Dopo si legge: I socialisti, per conto loro -e parlo dei socialisti che credono nel sistema democratico e rifiutano il partito unico- fanno male a non distaccarsi nettamente dal comunismo; e, intanto, a non protestare energicamente contro l'abuso che nell'URSS e oltre cortina si fa del termine <socialismo>. Se essi avessero veramente a cuore la causa che dicono di voler difendere e far trionfare, avrebbero tutto l'interesse a non compromettere il <socialismo> nella pratica poliziesca e terroristica che caratterizza i regimi comunisti.[3] Inoltre si legge: Il libro che segue si propone, pur nei suoi limiti e nella sua grave incompletezza, di servire la verità. Il lettore ne tragga da solo le conclusioni e veda se per caso c'è, in quanto ha realizzato o dice di aver realizzato il comunismo in un cinquantennio di vita, qualcosa che possa legittimare in qualche modo l'assassinio di almeno cento milioni di persone. E veda anche se, al termine della lettura, il comunismo, anziché <nel senso della storia>, come sostiene la sua propaganda, non gli apparirà invece più propriamente <nel senso della preistoria>.[4]
Stime di vittime
Come annunciato nella prefazione dello studioso Adrian Popa il calcolo di cento milioni di vittime uccise non è un risultato aritmetico ottenuto in questo libro ma solo una stima perché le tabelle presenti nel testo mostrano le stime minime e massime, di altri storici e ricercatori, già pubblicate in libri precedenti: infatti la somma aritmetica delle stime massime di vittime solo in URSS e Cina supera di molto i cento milioni.
URSS
Lo storico Robert Conquest riporta le cifre del suo precedente libro Il Grande Terrore e afferma: Così arriviamo ad una cifra complessiva di venti milioni di morti, che è certamente troppo bassa e potrebbe richiedere un incremento del 50 per cento, o più: tutto al passivo del bilancio del regime più che ventennale (ventitre anni) di Stalin. Per arrivare al totale degli esseri umani uccisi direttamente nell'Unione Sovietica dalle autorità comuniste dalla rivoluzione in poi, dobbiamo aggiungere, come risulta chiaro da questo studio, molti altri milioni di vittime alla cifra del periodo Stalin-Yezhov. Il senatore democratico statunitense Thomas J. Dodd nel capitolo URSS afferma: Se aggiungiamo queste cifre a quelle sopra registrate, arriviamo ad un totale complessivo di 35 milioni di vite umane, come minimo, ma più probabilmente di 45 milioni di vittime. In soli 30 anni.[5]
Cina
Lo storico Richard L. Walker riporta stime minime e massime di vittime uccise in Cina mostrando dati e relative fonti in una tabella. Tale tabella è divisa in dieci periodi storici sistemati in ordine cronologico: il totale di stima minima è 34.300.000 e quello della massima è 62.534.000.[6]
Vietnam
Per il Nord Vietnam, si legge: Un devoto discepolo di Lenin, Ho Chi Minh, aveva dimostrato presto di aver capito l'importanza della liquidazione di ogni opposizione politica. Dopo si legge: Ngo Ton-dat, figlio di un leader nazionalista vietnamita, ha calcolato che in appena due mesi, verso la fine del 1945, a Hanoi e nelle immediate vicinanze furono uccise circa diecimila persone. Inoltre si legge: Se i comunisti vietnamiti non massacrarono abbastanza gente sula scia della rivoluzione dell'agosto 1945, ebbero per altro cura di rifarsi in abbondanza quando gli accordi di Ginevra del 1954 consentirono il loro pieno dominio nel Nord Vietnam. La documentazione del terrore di massa nel Vietnam settentrionale presenta le maggiori lacune per il fatto che i comunisti nordvietnamiti non diedero pubblicità alle loro stragi, mentre il manipolo di stranieri che ancora si trovavano nel Paese aveva, con scarsissime eccezioni, un'assai ristretta possibilità di muoversi. I comunisti assassinavano in ogni villaggio, ma la popolazione di un villaggio non aveva modo di sapere dei massacri compiuti nei paesi vicini. Per questo motivo, la gamma delle valutazioni sul numero delle vittime è ancora più ampia che per la Cina stessa. Bernard Fall stima il costo umano della sola riforma agraria in un minimo di cinquantamila persone uccise e centomila carcerate. Hoang Van-chi, un capo nazionalista che ebbe cariche importanti sotto Ho Chi Minh, valuta questo costo, compreso il periodo post-Ginevra, in cinquecentomila vittime. Questo conto coincide per sommi capi con la stima di Gérard Tongas, un francese che dapprima simpatizzò con Ho Chi Minh, ma poi se ne staccò, quando vide le condizioni del Nord-Vietnam dopo Ginevra e trascrisse le sue osservazioni in un libro intitolato: <Ho vissuto nell'inferno comunista>.[7]
Per il Sud Vietnam si legge: Nelle zone controllate dal Governo di Saigon o in quelle aree contestate in cui la presenza del Governo del Sud è forte, le azioni terroristiche assumono il più delle volte la forma dell'assassinio o del rapimento. I rapiti vengono portati nelle zone controllate dai vietcong, dove sono interrogati dagli uomini del Servizio segreto comunista e, a seconda della gravità dei loro <crimini>, possono essere rilasciati dopo un periodo di indottrinamento, o rinchiusi in campi di concentramento, o uccisi.[8] Sono presenti tabelle delle vittime civili in Sud Vietnam nelle quali è considerato solo il periodo 1957-1971 durante la guerra di guerriglia condotta dai vietcong supportati da soldati del Nord Vietnam, che erano tutti finanziati e armati dai regimi di Pechino e Mosca: la cifra totale di morti è 36.135 e rapiti 53.758.[9]
Note | |
- Tutti i libri
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