Figlio dell'uomo: differenze tra le versioni

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La forma ebraica è ''ben-adhàm'', con la variante aramaica ''bar ʿenàsh''. La [[LXX]] traduce ὑιός του ἀνθρὸπου, ''huiòs tou anthròpou'', e tale forma è usata anche dagli [[agriografo|agiografi]] del [[Nuovo Testamento]].
 
Nell'Antico Testamento l'espressione significa semplicemente ''uomo'' (cfr. {{pb|Is|51,12;56,2}}; {{pb|Sal|8,5;79,18}}; {{pb|Nm|23,19}}). In [[Ezechiele]] essa compare 93 volte ({{passo biblico|Ez|2,1.3.6.8;3,1.3.4.10.16.25}}), ed indica il [[profeta]] stesso nella sua [[vocazione]] ad essere latore del messaggio di rinnovamento al popolo in esilio a [[Babilonia]], affinchèaffinché comprenda che la sua [[salvezza]] dipende dal solo rinnovamento interiore degli uomini interessati: essendo anch'egli un "figlio d'uomo", cioè un essere meschino e debole, potrà benissimo immedesimarsi nella situazione di fragilità del popolo a cui sta inviando il messaggio di [[conversione]].
 
In [[Daniele]] ({{passo biblico|Dn|7,13}}) invece il termine attesta un rimando [[apocalisse|apocalittico]]: il figlio dell'uomo rappresenta l'[[Israele]] [[escatologia|escatologico]] ("il popolo dei santi dell'Altissimo" di {{passo biblico|Dn|7,27}}) alla [[fine dei tempi]], il cui dominio si estenderà fino ai limiti estremi della terra.
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