Trinità: differenze tra le versioni

Vai alla navigazione Vai alla ricerca
44 608 byte aggiunti ,  17 mag 2013
m
nessun oggetto della modifica
mNessun oggetto della modifica
* nei tre [[Angelo|angeli]] che fanno visita ad [[Abramo]] alle querce di [[Mamre]] ({{pb|Gen|18}});
* nell'immagine dello [[Spirito di Dio]] (cfr. {{pb|Gen|1,1-2}}; {{pb|Is|11,2}}; {{pb|Gl|3,1}}), annuncio della persona dello [[Spirito Santo]].
<!--
 
== Approfondimento ==
 
Nel periodo del liberalismo e del razionalismo la professione di fede nella Trinità ebbe un posto piuttosto marginale nella teologia. Oggi è ritornata al centro dell’attenzione.
 
Dio è visto come amore non in un riferimento assoluto a se stesso, ma sotto forma di dedizione totale. Con l'aiuto di una fenomenologia che concepisce i processi spirituali come una polarità viva, e più ancora a motivo dello stretto legame esistente fra amore, libertà e personalità, la teologia trinitaria insegna a concepire Dio come evento dell'amore. Il fatto che egli lo sia realmente lo possiamo conoscere soltanto dalla rivelazione; la Trinità rimane così il mistero più profondo e primo della fede. Ma l'apertura umana all'amore ci permette di accostarci ad esso e mette in moto la nostra lode e la nostra adorazione. Questo permette di spiegare anche la mutua relazione fra Trinità immanente e Trinità economica: la Trinità economica presuppone la Trinità immanente in se stessa compiuta. L'<nowiki />''economia'' poggia sulla libera dedizione di Dio, che ha condotto all'incarnazione del Figlio. In tal modo egli si è comunicato realmente e interamente come Trinità immanente: egli si rivela come mistero traboccante, che dona più di quanto noi siamo in grado di domandare e di attenderci.
-->
== Nel Nuovo Testamento ==
 
 
L'uso di {{Traslittera|παῖς|GrecoTr}} al posto di {{Traslittera|υἱός|GrecoTr}} per indicare [[Gesù]] rivela l'antichità del testo, in quanto la letteratura cristiana più antica indicava il [[Signore]] con il primo termine, che racchiude in sé sia il significato di [[servo]] (l'umanità), che quello di Figlio (divinità). L’aggettivo {{Traslittera|ἀγαπητός|GrecoTr}} equivale poi a indicare Cristo come il Figlio [[Unigenito]].
<!--
== Gli inizi della riflessione teologica ==
 
La Scrittura parla con un linguaggio straordinariamente concreto e non ricorre ad espressioni di origine filosofica, come relazione o missione. Eppure, il senso stesso della Scrittura, che in quanto messaggio di salvezza esige di essere compreso e trasmesso, porta alla necessità di elaborare formule teologiche per evitare equivoci e favorire il dialogo con l’ambiente circostante. La teologia ortodossa procede assumendo e trasformando con libertà e creatività le filosofie pagane, mentre le eresie nascono proprio dal movimento opposto, cioè dalla riduzione della essenziale novità rivelata entro un previo schema filosofico. La necessità della riflessione teologica manifesta così la profondità infinita di ciò
che si sta conoscendo, cioè del Dio uno e Trino e fonda il valore di tutta la storia del pensiero, in quanto la Verità indagata è il senso di ogni pensare. La fedeltà autentica implica, dunque, la trasmissione di quanto si è ricevuto, trasmissione che può avvenire solo facendo proprio il dono della fede. La teologia si configura, allora, come espressione di molte vite, come frutto della fedeltà e dell’orazione di molti. E ciò deve spingere ad una estrema riverenza nell’accostarsi allo studio dei contributi dei primi pensatori cristiani.
 
I Padri della Chiesa erano uomini del loro tempo, dotati di una cultura pagana che andavano trasformando in cristiana attraverso la loro vita di fede ed il loro lavoro intellettuale. Per realizzare ciò, dovettero discernere quegli elementi del pensiero del loro tempo che potevano essere assunti e quelli che dovevano essere epurati, in quanto riconducibili all’annebbiamento delle capacità umane dovuto al peccato originale. Per questo i Padri lottarono contro alcune concezioni erronee della divinità, come quelle mitologiche ed il dualismo, elaborando una dottrina tesa a mostrare la compatibilità di monoteismo e dottrina trinitaria.
 
Parlare della riflessione trinitaria di questi primi autori ecclesiastici vuol dire, allora, parlare delle loro vite, in quanto il loro pensiero è frutto della loro conversione e della loro fedeltà (si pensi a Giustino, Atenagora o Clemente). Con grande apertura e senza paura o complessi di inferiorità, essi mostrarono la profondità della dottrina della creazione e la sua connessione con la dottrina trinitaria, attraverso l’approfondimento della categoria del Logos e l’affermazione della libertà di Dio nel creare. Per questo, fecero un uso strumentale della filosofia, rettificandola alla luce proveniente dalla Rivelazione. Così, essi costruirono una vera e propria cultura cristiana, che si configura come un vero e proprio
umanesimo cristiano, incentrato in Cristo, che rivela l’uomo all’uomo, secondo la parole della GS 22 (W. Jaeger e teologi greci).
 
=== L’ambiente culturale tra giudecristianesimo ed ellenismo ===
 
La dottrina cristiana nacque in un contesto semitico: Gesù è ebreo e chiama abbà il Padre, la sua storia è l’Antico Testamento, i suoi discepoli sono ebrei e si esprimono in un modo tipicamente semita. Per questo il giudeocristianesimo ha un’importanza fondamentale, in quanto primo anello della catena che unisce gli eventi salvifici ai giorni nostri. I giudeocristiani erano veramente cristiani, ma pensavano ancora alla giudaica, come si vede in alcuni ambiti, quali l’apocalittica, che è come il registro fondamentale, la cosmologia, la concezione della storia, l’importanza assegnata agli angeli (angelo ministeriale), e la interpretazione del Figlio e dello Spirito come angeli supremi. La forma
è giudaica, il contenuto cristiano, in quanto la nuova comunità non può fare a meno dei concetti e del linguaggio ereditati<ref>Cfr. J. Daniélou, Théologie du Judéo-Christianisme, Paris 1991, 37.</ref>.
 
Ovviamente alcune componenti del giudeocristianesimo furono eterodosse, spesso in continuità con movimenti eterodossi del giudaismo stesso. Si inseriscono in questo contesto sette, come gli ebioniti, che consideravano Cristo come il più grande dei profeti, ma non lo confessavano come Dio, perché non riuscivano a risolvere la tensione con l’affermazione monoteista.
 
Tuttavia, non si può comprendere la teologia del secolo II, senza tener presente il giudeocristianesimo<ref>Cfr. A. Grillmeier, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, I/1, Brescia 1982, 188.</ref>: alcune concezioni di matrice essenzialmente biblica sono state essenziali per la formulazione del messaggio cristiano, come, ad esempio, la concezione lineare della storia con una netta distinzione tra presente e futuro o l’importanza fondante degli interventi salvifici di Dio nella storia stessa. Questi elementi saranno essenziali per l’incontro del messaggio rivelato con la cultura greca.
 
La filosofia greca si riferiva a Dio come all’ordinatore del cosmo: Anassagora parlava di una intelligenza ordinatrice dell’universo e Platone è arrivato a personalizzare questo principio nel Demiurgo, nettamente distinto però dalla Divinità. Aristotele concepisce Dio come Atto puro, Motore immobile e Pensiero di pensiero. Dio è vita suprema, ma nello stesso tempo è ripiegato su sé stesso, privo di relazione con il mondo. Per lui non esiste provvidenza divina, se non nel senso della necessità [cfr. De Mundo].
 
Nella filosofia greca è presente anche il panteismo, come nel caso degli stoici, per i quali Dio era l’anima del mondo ed il mondo stesso era concepito come corpo di Dio. In questo senso tutto il mondo sarebbe divino, in quanto emanazione della divinità. Le forme più diffuse di panteismo sarebbero quelle professate dallo gnosticismo e dal neoplatonismo, con la concezione del mondo come degradazione della divinità. Tutto cadrebbe sempre sotto il segno della necessità e la libertà dell’uomo non è ancora colta in tutta la sua grandezza. Da un punto di vista teologico, si nota qui l’importanza della dottrina della creazione, che introduce una discontinuità assoluta tra Dio ed il mondo, e fonda ogni cosa nell’amore di Dio che trae l’universo dal nulla (ex nihilo).
 
Nello stesso tempo, i risultati ed i concetti elaborati dal pensiero greco furono essenziali per il pensiero cristiano, in quanto fornirono ai primi pensatori cristiano il linguaggio per iniziare la loro opera di comprensione del messaggio rivelato, al fine di farlo proprio e di trasmetterlo. I Padri, nella misura in cui portavano avanti la loro opera di purificazione, manifestavano anche la ricchezza e l’importanza della cultura precristiana. Essa fu una preparazione necessaria, che raggiunse risultati fondamentali, come l’affermazione dell’importanza della contemplazione in Platone ed il ruolo attribuito alla scienza ed all’etica in Aristotele. La profondità dell’analisi metafisica dei greci costituisce il loro pensiero come filosofia perenne, che proprio grazie all’incontro con il cristianesimo può manifestare tutta la sua ricchezza ed il suo valore. Si tratta di una vera praeparatio evangelica.
 
Si tratta di un atteggiamento di profonda apertura, che non sottovaluta la differenza essenziale tra i risultati della ricerca filosofica e il Dio vivo dei cristiani, ma che nello stesso tempo sa far tesoro di ogni seme di verità colta dall’indagine della ragione umana lungo la storia. Gli apologisti furono i primi pensatori cristiani a realizzare questa sintesi, che raggiungerà il suo vertice con Agostino, nei confronti del platonismo, e con Tommaso, per
quanto riguarda l’aristotelismo.
 
Tuttavia, bisogna osservare che questa concezione armonica è stata osteggiata nel corso della storia: "Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente purificato, sia una parte integrante della fede cristiana, si oppone la richiesta della deellenizzazione del cristianesimo – una richiesta che dall'inizio dell'età moderna domina in modo crescente la ricerca teologica. Visto più da vicino, si possono osservare tre onde nel programma della deellenizzazione: pur collegate tra di loro, esse tuttavia nelle loro motivazioni e nei loro obiettivi sono chiaramente distinte l'una dall'altra:<ref>Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti della scienza, Regensburg, 12.IX.2006.</ref>
 
* Una prima ondata di deellenizzazione emerge dai postulati stessi della Riforma del XVI secolo. Lutero, infatti,rifiutava l’uso della ragione, come minaccia alla purezza della fede. Ciò era legato sia alla sua formazione nominalista, sia alla sua convinzione che il peccato originale avesse corrotto intrinsecamente l’uomo, anche a livello di ragione e di possibilità di cogliere quelle verità che sono importanti per la salvezza.<ref>Cfr. L.F. Mateo-Seco, Martín Lutero: Sobre la libertad esclava, Madrid 1978, sp. 1-79; Teología de la Cruz, "Scripta Theologica" 14 (1982) 165-179. Cfr. anche B. Gherardini, Theologia crucis. L'eredità di Lutero nell' evoluzione teologica della Riforma, Roma 1978, sp. 22-45.</ref>
* Una seconda fase è costituita dalla teologia liberale del XIX e del XX secolo. In particolar modo, tra il 1880 ed il 1890 sorse una polemica a proposito dell’uso del pensiero greco da parte dei teologi cristiani, in particolare degli apologisti. Tra gli autori più rappresentativi si contano A. von Harnack e Fr. Loofs, che presentano la fede cristiana come contraria al pensiero filosofico: tutta l’evoluzione dottrinale non sarebbe altro che un processo di ellenizzazione del cristianesimo, che avrebbe messo in ombra l’originalità del messaggio. Così, secondo il primo autore, la dottrina sul Logos, fondamentale per la dottrina trinitaria, sarebbe stata adottata per ragioni cosmologiche ed extrateologiche. Per Fr. Loofs, addirittura, lo sviluppo del pensiero trinitario non sarebbe altro che un criptopoliteismo causato degli influssi pagani<ref>Cfr. L. Scheffczyk, Formulación del Magisterio e historia del dogma trinitario, cit., 136-139.</ref>.
* La terza fase a cui allude il Papa è l’epoca contemporanea, che considera la sintesi tra fede ed ellenismo realizzata nella Chiesa antica solo come una prima inculturazione, non vincolante per le culture attuali. Occorrerebbe tornare al
messaggio puro del Nuovo Testamento, per inculturarlo nuovamente nei rispettivi ambienti. Il giudizio del Pontefice su tutto questo è netto: “Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa. Il Nuovo Testamento,
infatti, è stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura.”<ref>Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti della scienza, Regensburg, 12.IX.2006.</ref>
 
Questa critica radicale al rapporto tra fede e pensiero greco ha influenzato anche la teologia cattolica. Tuttavia, attualmente, anche in ambito protestante le posizioni sono più sfumate. Per esempio, W. Pannenberg ha messo in evidenza che i primi pensatori usarono la filosofia teologicamente, per far saltare il concetto filosofico di Dio e poterlo superare. L’uso della filosofia da parte degli apologisti sarebbe stato, dunque, legittimo, in quanto rivolto a superare la filosofia stessa. Si tenga conto, comunque, che nonostante la valutazione di Pannenberg sia più positiva, l’opposizione tra il concetto filosofico di Dio e quello teologico rimane ancora troppo radicale. Per i Padri, invece, la teologia naturale
svolgeva un ruolo essenziale, tanto che Agostino afferma che fu Platone il padre della teologia. Il metodo razionale non è, infatti, specificamente ellenico, ma appartiene all’uomo, che ne ha bisogno per comunicare e per amare, anche se ciò non toglie che delle intelligenze finite non potranno mai comprendere adeguatamente l’infinito.
 
In ogni caso, bisogna tener presente che chi tentò una illegittima ellenizzazione della fede non furono gli apologisti, ma gli ariani, che “hanno preso a prestito piú o meno apertamente dall’ellenismo l’idea di «deuteros theos» (un Dio secondario o intermediario, oppure un demiurgo). Evidentemente si apriva cosí la porta al pericolo del subordinazionismo. Questo era latente presso alcuni apologeti e presso Origene. Ario ne fece una eresia formale; egli insegnò che il Figlio occupa un posto intermedio tra il Padre e le creature. L’eresia ariana mostra bene come si presenterebbe il dogma della divinità di Cristo se esso fosse dovuto veramente all’ellenismo filosofico e non alla rivelazione divina. Nel concilio di Nicea (325) la Chiesa ha definito che il Figlio è «consustanziale» (homoousios) al Padre. Essa ha cosí rigettato il compromesso ariano con l’ellenismo, modificando allo stesso tempo profondamente lo schema metafisico greco, soprattutto
quello dei platonici e dei neoplatonici.”Commissione Teologica Internazionale, Questioni di cristologia, 20.X.1980, 648.
 
=== Padri apostolici ===
 
Sono gli scrittori del I e del II secolo, i cui insegnamenti possono ritenersi eco diretta della predicazione degli apostoli, che essi spesso conobbero personalmente. Molti dei loro scritti sono epistole, direttamente connesse con le lettere paoline e con gli scritti giovannei. Si nota un forte influsso del pensiero giudeo-cristiano. Appartengono a questa epoca Clemente di Roma (+ 101), Ignazio di Antiochia (+ 107), Policarpo di Smirne (+ 156). Scritti di questo periodo sono il Pastore di Erma (140-155), la Didaché (90-100) e la lettera a Diogneto (II sec). Le loro opere non hanno come fine formulare una apologia della fede cristiana e non contengono speculazione teologica, ma solo sintetizzano il messaggio
biblico. Sono essenzialmente una testimonianza nella quale si avverte una forte nostalgia della presenza fisica del Signore.
 
Il messaggio fondamentale è la confessione dell’unico Dio Padre e creatore di tutto l’universo, baluardo con il quale si difesero dal politeismo pagano, dall’emanazionismo gnostico e dal dualismo marcionita<ref>Cfr. John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini, Bologna 1984, 110.</ref>. Per loro, l’affermazione della divinità di Cristo non intacca il monoteismo.
 
Si tratta di affermare che il Dio creatore dell’Antico Testamento, il Dio dell’Alleanza, è il Padre di Gesù Cristo. Per questo nel Pastore di Erma (140-155) si afferma che il fondamento della vita cristiana è “credere che Dio è Uno, che ha creato e stabilito ogni cosa, portandola all’esistenza a partire dalla non esistenza”<ref>Pastore di Erma, Comandi, 11.</ref>. Tutta la bellezza dell’universo ha la sua origine nella sapienza e potenza di Dio<ref>Cfr. ibidem, Visioni, 1, 3, 4. Si vedano anche Didaché, 1, 2 e Epistola di Barnaba, 19, 2.</ref>.
 
Senza speculazione alcuna, ma solo riportando la predicazione cristiana, i Padri apostolici testimoniano l’iniziativa del Padre, realizzata mediante il Figlio e lo Spirito, nella salvezza dell’uomo. Le affermazioni trinitarie sono inserite in un contesto soteriologico, particolarmente segnato dall’influsso della liturgia, come nel caso di Clemente di Roma ed Ignazio di Antiochia. L’Antico Testamento è letto alla luce dell’affermazione della Filiazione divina di Cristo, come nel seguente testo di Clemente: “Di suo Figlio disse il Signore: Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato (Sal 2,7)”<ref>Lettera ai Corinzi, 36, 2.</ref>. Abbiamo un solo Dio, ed un solo Cristo ed un solo Spirito di grazia, effusi su di noi in modo tale che siamo partecipi della vita intima del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo<ref>Cfr. ibidem, 46 e 48.</ref>.
 
Ignazio di Antiochia ricorre ad espressioni simili, riprendendo la teologia giovannea del Verbo: “Non c’è che un unico Dio che si è manifestato in Gesù Cristo, suo Figlio che è il suo Verbo, uscito dal silenzio, che in ogni cosa è stato di compiacimento a Colui che lo ha inviato”<ref>Lettera ai Magnesi, 8, 2.</ref>.
 
Infine, lo Spirito Santo è presentato nella sua relazione con la Chiesa: “Voi siete pietre del tempio del Padre preparate per la costruzione di Dio Padre, elevate con l'argano di Gesù Cristo che è la croce, usando come corda lo Spirito Santo.”<ref>Lettera agli Efesini, 9, 1.</ref> Il luogo privilegiato per la considerazione della teologia trinitaria nei Padri Apostolici è la Chiesa, che in numerosi testi appare come amata dal Padre, edificata dal Figlio e vivificata dallo Spirito<ref>Cfr. J.M. Dalmau, Dios revelado por Cristo, Madrid 1969, 214.</ref>.
 
=== I Padri apologisti ===
 
Con i Padri apologisti inizia ad apprezzarsi un forte influsso del pensiero filosofico nella dottrina esposta. Ciò avviene in Aristide (+ 140), in Giustino (+ 163/7) ed in Atenagora (+ 177). Si rivolgono soprattutto ai pagani, per dimostrare che i cristiani non sono atei e che il politeismo è falso; ai giudei, per mostrare che Gesù è il Figlio di Dio e che non si nega il monoteismo; ai rappresentanti di numerose correnti e sette dualistiche, docetiste e gnostiche, per far loro vedere che il mondo non procede da Dio per emanazione necessaria, ma per libero atto creativo, e che non esistono due dèi, uno buono ed uno cattivo, che venivano rispettivamente identificati con il Dio dell’Antico Testamento e con il
Dio di Gesù.
 
Evidentemente l’affermazione dell’unicità del Dio creatore e provvidente era la base delle loro argomentazioni<ref>Cfr. John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini, cit., 110.</ref>, volte a mostrare la coerenza speculativa del monoteismo cristiano.
 
* Aristide, ad esempio, nella sua Apologia, indirizzata all’imperatore Antonino, sottolinea la trascendenza di Dio e fonda il suo ragionamento sulla considerazione del movimento, della bellezza e dell’ordine del mondo.
* Taziano, nel suo Discorso ai greci, ricorre ad argomenti simili e mette in evidenza il fatto che Dio è àsarcos, cioè privo di carne, e asòmatos, cioè privo di corpo, al contrario degli dèi che hanno le stesse passioni degli uomini e lottano tra loro<ref>Discorso ai Greci, 8.</ref>.
 
In questo contesto i Padri riprendono la linea dimostrativa antimitologica, che aveva già caratterizzato il pensiero metafisico di Platone ed Aristotele.
 
Il più importante degli apologisti è Giustino, morto martire a Roma attorno al 165: era filosofo e buon conoscitore di Platone e dello stoicismo. Dopo la conversione fondò a Roma una scuola filosofico-teologica. Delle sue opere si conservano solo le due Apologie e il Dialogo con il giudeo Trifone. Per primo cerca di riflettere sulla relazione tra messaggio cristiano e pensiero greco: fondandosi sulla dottrina della creazione ed alla identità tra il Dio creatore ed il Dio di Gesù Cristo mostra che il Dio dei filosofi è il Dio di Gesù Cristo. Per fare ciò, afferma con forza il primato della fede e della novità rivelata: “Sono cristiano, confesso di esserne orgoglioso e di lottare con ogni mezzo per essere riconosciuto come tale, non perché le dottrine di Platone siano estranee a quelle di Cristo, ma perché non sono del tutto simili, come, del resto, anche quelle di altri, Stoici, poeti e scrittori”<ref>Apologia seconda, 13, 2 (trad. di Giuseppe Girgenti-Rusconi, Milano 1995).</ref>. La forza delle sue parole è corroborata dalla morte come martire, estrema testimonianza dell’inviolabilità di questo primato della fede e vero compimento della sua vocazione filosofica.
 
La dottrina di Giustino è particolarmente importante da un punto di vista trinitario. Prende le mosse dall’affermazione dell’ineffabilità divina: “Ma non esiste un nome che si possa imporre al Padre dell'universo, dato che è ingenerato. Infatti qualunque nome, con cui lo si chiami, richiede un essere più antico che gli abbia imposto tale nome. Le parole padre e Dio e creatore e signore e padrone non sono nomi, ma denominazioni derivate dai Suoi benefici e dalle Sue opere”.<ref>Ibidem, 6, 1-2.</ref>
 
Nel Dialogo con il giudeo Trifone, Giustino usa una forma espressiva più vicina a quella della Sacra Scrittura, per mostrare al suo interlocutore che stanno parlando del medesimo Dio. Egli deduce a partire dal mandato battesimale gli attributi divini del Figlio e dello Spirito, ma riserva il nome Dio solo al Padre<ref>Apologia prima, 13, 3-4.</ref>. Alcune delle sue formulazioni dottrinali hanno un fondo subordinazionista, ma il problema riguarda il solo livello formale e non la sostanza del pensiero<ref>Cfr. L.F. Mateo-Seco, Subordinacionismo, in GER, 21, 705-706.</ref>.
 
Suo contributo principale alla riflessione trinitaria è la dottrina sul Logos, che procede dalla volontà del Padre<ref>Dialogo con il giudeo Trifone, 61.</ref>. Sotto l’influsso anche del platonismo, Giustino difende l’ineffabilità di Dio e cerca di distinguere il Padre dal Figlio, attribuendo le teofanie dell’Antico Testamento alla seconda Persona, in qualità di mediatore tra Dio ed il mondo. Il Padre, invece, rimarrebbe infinitamente distante dal mondo.<ref>Cfr. ibidem, 127-128. Vedasi anche X. Le Bachelet, Dieu. Sa nature d'apres les Pères, cit., 1031.</ref>
 
In questo contesto viene inserita in ambito cristiano la dottrina stoica, che differenzia il Logos endiàthetos dal Logos prophorikós, cioè il verbo interiore ed il verbo proferito. Questa distinzione è fondata sul modo di conoscere dell’uomo, che prima sviluppa un concetto interiore e poi lo articola in una parola esteriore. Applicando a Dio questa dottrina, Giustino inizia a percorrere il cammino che condurrà all’analogia psicologica agostiniana. Limite di questo operazione è il rischio di far dipendere il Verbo, cioè la seconda Persona della Trinità, dalla creazione, così come la parola acquista consistenza solo nell’atto di essere proferita<ref>Cfr. Giustino, Apologia seconda, 6, 3.</ref>.
 
Il giudizio sul pensiero di Giustino deve tener presente che ci si trova all’inizio della riflessione trinitaria, quando si stanno ancora forgiando concetti e terminologia. Quanto detto a proposito del Logos prophorikós va inteso nel senso economico di rivelazione, e non come affermazione che riguarda l’immanenza trinitaria. Della terza Persona Giustino parla molto poco e gli attribuisce solo l’illuminazione dei profeti<ref>Cfr. ibidem, 144-145.</ref>.
 
Taziano, invece, rispetto a Giustino sembra meno ortodosso anche nella sostanza, perché dice che il Logos è Dio ma che è l’opera prediletta del Padre<ref>Discorso ai Greci, 5, 2.</ref> e ricalca la differenza (non la distinzione) tra il Logos endiàthetos ed il Logos prophorikós<ref>Cfr. Teofilo di Antiochia, Ad Autolycum, 2, 22.</ref>.
 
Anche Atenagora presenta una incipiente riflessione trinitaria. Ad esempio, confutando l’accusa di ateismo rivolta ai cristiani, scrive: “Chi dunque non rimarrebbe attonito nell’udire che vengono detti atei quelli che riconoscono Dio Padre e Dio Figlio e lo Spirito Santo, che ne dimostrano e la potenza nell’unità e la distinzione nell’ordine?”<ref>Supplica intorno ai cristiani, 10, 5: PG 6, 908.</ref>.
 
Teofilo di Antiochia fu il primo ad usare l’espressione Trinità (Triade), per riferirsi a Dio, al Verbo e alla Sapienza<ref>Cfr. Ad Autolycum, 2, 15.</ref>, anche se non siamo sicuri che stesse pensando veramente a tre Persone divine. Più tardi, sarà Origene ad utilizzare il termine in senso sicuramente trinitario<ref>Cfr. L. Scheffczyk, Formulación del Magisterio e historia del dogma trinitario, in J. Feiner, M. Löhrer, Mysterium Salutis II, cit., 145) e B. Sesboüé (ed.), Historia de los dogmas, I. El Dios de la salvación, cit., 128-129.</ref>.
 
In sintesi, gli Apologisti si muovono nell’ambito filosofico del platonismo medio e cercano di esprimere il mistero cristiano mediante queste categorie. In questo modo si espongono al rischio del subordinazionismo, ma riescono ad esprimere che in Dio ci sono tre Persone e a sviluppare una teologia del Logos, fondamentale per raccordare il pensiero filosofico con la teologia cristiana. Pur non riuscendo ad esprimere con sufficiente forza l’unità delle tre Persone e lasciando in ombra lo Spirito Santo, il loro pensiero costituisce un momento fondamentale nello sviluppo della dottrina trinitaria, in quanto si chiesero il perché della distinzione tra Padre e Figlio, riuscendo ad individuare nella generazione il fondamento del rapporto tra la prima e la seconda Persona.
 
=== Ireneo e la struttura trinitaria della salvezza ===
 
È il teologo più importante del II secolo. Nacque tra il 140 ed il 160 a Smirne e conobbe San Policarco, che a sua volta aveva conosciuto San Giovanni. Fu presbitero e vescovo a Lione, dopo il martirio del precedente vescovo. Morì agli inizi del III secolo. Non è un apologista ma, con i suoi libri Contro le Eresie, eresse un bastione difensivo contro la teologia degli gnostici. Questi sono fondamentalmente degli emanazionisti, che negano la creazione e vedono il mondo come degradazione della Divinità, e dei dualisti, che pensano che la materia sia cattiva<ref>Cfr. L.F. Mateo-Seco, Gnosticismo, in GER XI, 62.</ref>.
 
Ireneo vi si oppone sottolineando fortemente l’unità di Dio ed il fatto che non è mai esistita una materia eterna che sia all’origine del male. Dio è unico e non esiste un demiurgo divinità inferiore che crea il mondo. L’autore dell’Antico Testamento è lo stesso del Nuovo Testamento e si è rivelato in Cristo.
 
Il vescovo di Lione sviluppa una soteriologia basata sull’idea di unità, che mette in risalto la provvidenza universale di Dio e fonda una vera e propria teologia della storia: il mondo viene da Dio e deve tornare a Lui, in un movimento di exitus e reditus, che non è inteso in modo necessario, come nell’ambito neoplatonico, ma che include la libertà e l’amore dell’uomo. La differenza rispetto alla prospettiva neoplatonica è determinata proprio
dall’origine e dal termine di questo movimento, che vengono identificati con la Trinità stessa.
 
Dio è trascendente, onnipotente<ref>Cfr. Ireneo, Contro le eresie, 2, 6, 1.</ref> e semplice<ref>Cfr. ibidem, 2, 13, 3.</ref>. La sua provvidenza è universale e la sua scienza si estende al passato al presente ed al futuro<ref>Cfr. ibidem, 2, 26, 3.</ref>. Ireneo sottolinea la libertà come fondamento di ciò che esiste, dicendo che prima della creazione di Adamo, il Padre ed il Figlio si glorificavano mutuamente, per cui Dio non aveva bisogno di creare<ref>Cfr. ibidem, 2, 14, 1.</ref>.
 
Dall’unicità di Dio e dalla sua libertà deriva l’unità della storia e di tutto ciò che esiste: infatti, essendo Lui l’unico Signore, l’unico Creatore e l’unico Padre e Sovrano, che ha dato l’esistenza ad ogni cosa, tutto ciò che esiste dipende da questo Principio. Se ci fosse un altro Dio oltre a Lui, allora effettivamente sarebbe logico dubitare dell’unità della creazione, ma non c’è altri al di sopra di Lui<ref>Cfr. ibidem, 2, 1, 1.</ref>.
 
Dio è, così, al di sopra di ogni umano pensiero e ciò è noto a colui che legge la Scrittura, in quanto i pensieri di Dio non sono come i pensieri umani: “Si può dire con proprietà e verità che è un intelletto che intende ogni cosa, ma che non è comparabile all’intelletto degli uomini. Allo stesso modo lo si può chiamare con assoluta proprietà luce, ma non è in nulla simile alla luce che noi conosciamo. E così con tutto il resto: il Padre di ogni cosa in nulla è comparabile alla piccolezza di ciò che è umano. Tutte queste cose si dicono di Lui in quanto esse manifestano il suo amore: ma comprendiamo che la Sua grandezza è al di sopra di tutte”<ref>Ibidem, 2, 13, 3.</ref>.
 
Una volta affermata con forza e chiarezza l’unicità di Dio, Ireneo mostra come in questo Dio unico esista una chiara distinzione di Padre, Figlio e Spirito Santo, che si può conoscere, però, solo per rivelazione. Rispetto ai suoi predecessori, sottolinea maggiormente l’eternità della generazione del Verbo ed abbandona la distinzione tra Logos endiàthets e Logos prophorikós<ref>Cfr. L. Scheffczyk, Formulación del Magisterio e historia del dogma trinitario, cit, 148.</ref>. Ireneo non è un filosofo, ma un vescovo che lotta per la purezza della fede, per cui nella sua teologia si riferisce alle Persone divine a partire dal loro agire nella storia. Per lui il cristiano è innanzitutto un uomo che crede nella Trinità: “Coloro che appartengono alla Chiesa seguono una unica voce che attraversa il mondo intero. È una tradizione sicura che ci viene dagli apostoli, che fa in modo che riceviamo una unica e medesima fede credendo tutti in un solo e medesimo Dio, il Padre; credendo tutti nella stessa economia dell’incarnazione del Figlio di Dio; riconoscendo tutti lo stesso dono dello Spirito”<ref>Cfr. Ireneo, Contro le eresie, 5, 20, 1.</ref>.
 
Sottolinea molto il valore dell’economia, che è punto di partenza della sua riflessione trinitaria, ma introduce anche forti affermazioni sull’immanenza: il Dio cristiano è lo stesso Dio dell’Antico Testamento, che per tanto è sempre stato dotato di intelletto, cioè di Logos<ref>Cfr. ibidem, 2, 28, 5.</ref>; il Verbo è intimo al Padre come il pensiero è intimo a colui che pensa; Egli è nel Padre e possiede il Padre in sé stesso<ref>Cfr. ibidem, 3, 6, 2.</ref>. Il Figlio è coeterno al Padre<ref>Cfr. ibidem, 2, 30, 9.</ref> e anche lo Spirito è eterno: “Dio ha sempre con sé il Verbo e la Sapienza, il Figlio e lo Spirito”<ref>Ibidem, 4, 20, 1.</ref>. Sottolinea con forza la connessione tra essere ed agire di Dio, ricorrendo alla seguente bellissima immagine per esprimere le missioni: il Figlio e lo Spirito sono come le mani del Padre, in modo tale che Questi ordina ed il figlio realizza ciò che viene ordinato, che a sua volta è portato a perfezione dallo Spirito<ref>Ireneo, Dimostrazione della fede apostolica, 5.</ref> [PE IV]. Quanto avviene nell’economia è così manifestazione della vita intima di Dio<ref>Cfr. G. Bardy, Trinité, DTC 15, 1625.</ref>: il Padre, allora, come fons et origo totius Trinitatis è anche fonte di tutta la storia della salvezza.
 
=== Clemente di Alessandria ed Origene per una cultura cristiana ===
 
Il secolo III è il secolo della fioritura del pensiero cristiano: inizia una nuova epoca, segnata dal sorgere delle scuole teologiche, come quelle di Alessandria, Antiochia e Cesarea di Palestina<ref>Cfr. J. Quasten, Patrología, II, Madrid 1962, 122, 138, 496. Cfr anche B. Altaner, Patrología, Madrid 1962, 191-192.</ref>. Si tratta di autentiche correnti di pensiero con tratti ben definiti che le differenziano tra loro.
 
La più importante era quella di Alessandria, che, insieme ad Atene ed Antiochia, rappresentava uno dei poli principali del mondo di lingua greca, punto di contatto fra culture. Questa città era un centro filosofico e teologico, particolarmente importante anche per il giudaismo, in quanto presso di essa si realizzò la traduzione dei LXX, cioè la versione in greco della Bibbia ebraica, e sempre in questa città Filone scrisse le sue opere, che avranno un grande influsso sui Padri sia del III che del IV secolo.
 
Rappresentanti principali della scuola sono Clemente (+211/215) ed Origene (+254-255).
 
Caratteristica principale dell’impostazione alessandrina è l’uso con senso già critico della filosofia greca nelle formulazioni teologiche. Filosofia ed ermeneutica sono considerate come strumenti di lavoro ed assumono una grande importanza per i punti di contatto con il platonismo, a livello di ideale spirituale contemplativo e di esegesi, con lo sviluppo dell’allegoria, che già aveva caratterizzato l’opera di Filone. Ricorrono abbondantemente alla teologia del Logos ed utilizzano una cristologia discendente. In alcuni casi rimangono troppo dipendenti dalle filosofie a cui attingono, come si nota in Origene, che sviluppa una antropologia che rischia di cadere nel dualismo.
 
Clemente sottolinea che l’esistenza di Dio è una realtà accessibile naturalmente alla ragione e parla di un istinto verso Dio nell’uomo, che quindi sarebbe essenzialmente animale religioso<ref>Cfr. Clemente, Stromata, 4, 14.</ref>. Una intelligenza retta può arrivare a Dio<ref>Cfr. ibidem, 4, 13.</ref> a partire dalla bellezza del mondo e dalla attività degli esseri contingenti<ref>Cfr. ibidem, 1, 28.</ref> e, in particolare, a partire dall’anima umana, che è immagine di Dio nella quale si riflette il divino<ref>Cfr. ibidem, 1, 19.</ref>. A ciò si accompagna l’affermazione netta che, sebbene l’esistenza di Dio sia alla portata della ragione umana, la sua natura rimane al di là di ogni possibilità conoscitiva, per cui l’intimità divina è accessibile all’uomo solo per rivelazione<ref>Cfr. X. Le Bachelet, Dieu, sa nature d'après les Pères, in Dictionnaire de Théologie Catholique, IV, 1040.</ref>.
 
Clemente evidenzia in modo particolare l’unicità di Dio, per contrastare gli errori dualisti, in particolare l’eresia di Marcione, che riteneva inconciliabili l’infinita bontà e l’infinita giustizia di Dio, risolveva la questione distinguendo il Dio crudele e giustiziero dell’Antico Testamento dal Dio pieno di bontà e misericordia del Nuovo Testamento [si vede come le eresie sono tentazioni perpetue dell’animo]. Invece, per l’Alessandrino, esiste una totale unità tra Legge e Vangelo, in quanto il Dio che salva è lo stesso Dio creatore<ref>Cfr. E. de Faye, Clément d'Alexandrie, Paris 1906, 225ss.</ref>.
 
Clemente difende anche l’unità di Dio contro il politeismo pagano, in base al principio che il Primo Principio deve essere infinito e che ciò che è infinito deve essere unico<ref>Cfr. Clemente, Protreptico, 6 (PG 8, 121)</ref>78.
 
Argomenta iniziando ad eliminare tutto ciò che in Dio è indegno (accidenti, differenze, parti ...), per poi affermare con forza la sua trascendenza e giungere alla constatazione della sua incomprensibilità ed ineffabilità<ref>Cfr. X. Le Bachelet, Dieu, sa nature d'après les Pères, in Dictionnaire de Théologie Catholique, IV, 1043-1045.</ref>.
 
L’uomo non dà a Dio nomi propri ma solo denominazioni che servono ad avvicinare il pensiero a Lui. Nella teologia di Clemente lo Spirito Santo è poco presente ed appare descritto come forza (dynamis) divina che interviene nella storia<ref>Cfr. L.F. Ladaria, El Espíritu Santo en Clemente Alejandrino, Madrid 1980, 265-270.</ref>.
 
La teologia alessandrina raggiunge il suo massimo splendore con Origene, figura di grandissima importanza in tutta la storia del pensiero cristiano. Nacque ad Alessandria nel 185, da una famiglia cristiana e fin da bimbo fu educato nella fede, nel 202 fu martirizzato suo padre e furono confiscati i beni di famiglia. Giovanissimo è posto a capo della scuola di Alessandria, la sua opera è estremamente ampia e feconda. Muore a Tiro nel 253. Segue la linea tracciata da Clemente, approfondendone l’insegnamento in molti punti.
 
Come per il suo predecessore, l’esistenza di Dio e l’unicità di Dio<ref>Cfr. Origene, Contro Celso, 1, 23.</ref> sono verità che la ragione può cogliere a partire dalla bellezza del mondo e dalla tendenza naturale dell’anima a Dio<ref>Cfr. Origene, Sui principi, 1, 3, 1.</ref>. Quest’ultimo aspetto mette in evidenza la dimensione morale dell’uomo e l’esistenza di una legge naturale iscritta nel suo cuore<ref>Cfr. Idem, Contro Celso, 1, 4 e 8, 52.</ref>.
 
Come Clemente, Origene fonda il suo pensiero teologico sull’unicità di Dio : “Un solo Dio, creatore e ordinatore di ogni cosa, che ha tratto l’universo dal nulla, Dio di tutti i giusti fin dall’origine del mondo (...) Dio giusto e buono, Padre di Nostro Signore Gesù Cristo, Autore della Legge e dei Profeti, del Vangelo e degli Apostoli, Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento.”<ref>Cfr. Idem, Sui principi, 1, 4 (PG 11, 117).</ref> L’affermazione chiara dell’unicità di Dio si traduce nell’armonizzazione dei diversi Suoi attributi, anche quelli che sembrano opposti. Con estrema profondità, Origene individua nella bontà l’attributo nel quali si riunificano tutti gli altri: in quanto bontà sostanziale Dio è fonte di ogni altra bontà, in Lui Bontà ed Essere si identificano<ref>Cfr. Idem, Su Giovanni, 2, 7.</ref>. E proprio la bontà di Dio è la ragione della creazione e della redenzione, mentre il male non proviene da Lui, ma ha origine nella libertà umana<ref>Cfr. Idem, Contro Celso, 6, 55.</ref>.
 
Da un punto di vista teologico insiste sulla spiritualità di Dio: l’affermazione dottrinale è accompagnata da un fine lavoro esegetico, vero punto di forza di Origine molto competente da un punto di vista filologico, per mostrare che gli antropomorfismi usati dalla Scrittura rispondono alla necessità di usare un linguaggio che l’uomo possa comprendere e di ricorrere quindi ad immagini corporee, senza però che Dio coincida con le immagini stesse. Si nota qui come fin dall’inizio il lavoro teologico si fonda sull’approfondimento esegetico e sull’analisi filosofica dell’atto di conoscenza umano.
 
Dio è invisibile perché non è dotato di corpo materiale, per cui si distinguono il vedere, che caratterizza gli occhi umani, ed il conoscere, che avviene per via intellettiva. Tuttavia, anche se ci si può elevare alla contemplazione della Bellezza e Bontà originarie a partire dalla creazione, la conoscenza di Dio sarà sempre imperfetta e non si può raggiungere Dio come è in sé: “dopo aver respinto ogni suggerimento che in Dio esista qualche cosa di corporeo, diciamo in tutta verità che Dio è incomprensibile e che è impossibile conoscerlo, ma che sta al di sopra di ogni pensiero. E se possiamo pensare o comprendere qualche cosa di Dio, è necessario credere che sta al di là di tutto ciò che pensiamo di Lui (...)
Succede lo stesso con i nostri occhi; non possono guardare la natura stessa della luce, cioè il sole in sé stesso, ma vedendo il suo splendore e i suoi raggi che entrano dalla finestra, possiamo sospettare la grandezza della luce dalla quale ha origine questo splendore. Lo stesso succede con le opere della provvidenza divina.”<ref>Idem, Sui principi, 1, 5-6.</ref>
 
Origene discute il mistero della libertà umana in relazione con gli attributi della onniscienza ed onnipotenza divine. Il fatto che Dio conosca gli atti futuri liberi non vuol dire che gli uomini siano obbligati a compiere ciò che egli ha deciso da sempre. Contro Celso, spiega come le profezie non si realizzano perché sono pronunciate, ma che, proprio al contrario, quegli eventi sono profetizzati perché accadranno: “Celso pensa che una cosa profetizzata accade proprio per essere stata profetizzata in virtù di una presenza. Ma noi non accettiamo questo e diciamo che il profeta non è causa dell’evento futuro, per il fatto di aver profetizzato che sarebbe accaduto; è piuttosto l’evento futuro, che sarebbe successo
sia che fosse stato profetizzato o meno, la causa del fatto che il profeta, che lo conosce in anticipo, lo predice."<ref>Idem, Contro Celso, 20, 2.</ref>
 
A proposito dell’onnipotenza divina, Origene nega che Dio possa operare il male. Celso intende le affermazioni cristiane nella linea del potere e della forza senza freno: “certamente, secondo la nostra dottrina, Dio può ogni cosa, sempre che ciò che può non contraddica il suo essere divino, la sua bontà e la sua sapienza. Ma Celso, dando prova di non aver inteso in che senso si dice che Dio può ogni cosa, dice: non vorrà nulla di ingiusto, concedendo che Dio può anche ciò che è ingiusto, ma che non lo vuole. Noi, invece, affermiamo che, come ciò che per natura è dolce non può, per la sua stessa dolcezza, produrre nulla di amaro contro la sua sola proprietà, e come ciò che per natura illumina non può, per il fatto di essere luce, dare ombra, così nemmeno Dio può commettere un’iniquità; il potere di essere ingiusto ripugna alla sua divinità e ad ogni potere proprio della sua divinità.”<ref>Ibidem, 3, 70.</ref> Origene afferma, così, l’impossibilità metafisica di operare il male da parte di Dio.
 
In ambito propriamente trinitario, l’Alessandrino segue lo schema di Ireneo, fondando le sue considerazioni sull’agire salvifico delle tre Persone divine: il Padre è il creatore ed il principio di ogni cosa; il Logos è il mediatore; lo Spirito Santo è presente ovunque ci sia santità<ref>Cfr. Idem, Sui principi, 1, 3, 5.</ref>. Si oppone ai modalisti, cioè a coloro che ritenevano le Persone divine solo modi diversi di rivelazione di un unico soggetto divino, precisando la “personalità” del Padre, del Figlio e dello Spirito e chiamandoli per la prima volta Trinità, con il termine greco trias<ref>Cfr. Idem, Su Giovanni, 10, 39 e 6, 33.</ref>.
 
Particolarmente importante è la sua dottrina sulla seconda Persona: infatti, afferma chiaramente contro gli gnostici che il Figlio non procede dal Padre per un processo di divisione o di emanazione, ma per un atto spirituale<ref>Cfr. Idem, Sui principi, 1, 2, 6.</ref> e, dal momento che in Dio tutto è eterno, anche questo atto di generazione è eterno<ref>Cfr. ibidem, 1, 2, 4.</ref>. Per questo il Figlio non ha avuto un inizio temporale ed il Padre non è mai stato senza di Lui. In questo modo Origene si separa nettamente dalla linea teologica che porterà al subordinazionismo ariano, caratterizzato proprio dalle affermazioni opposte, ponendo invece le basi della dottrina sulla homousia del Padre e del Figlio che sarà formulata a Nicea<ref>Cfr. J. Quasten, Patrología, I, cit., 389-390; B. Studer, Dios salvador en los Padres de la Iglesia, cit., 136.</ref>.
 
A livello terminologico, però, questo non è ancora chiaro. Addirittura nelle sue opere appare l’espressione deuteros Theos, cioè Dio di seconda categoria, riferita al Logos<ref>Cfr. Origene, Contro Celso, 5, 39.</ref>.
 
L’espressione sarà ripresa dagli ariani, anche se in senso diverso. Il punto è particolarmente interessante anche per il prossimo capitolo dedicato alle eresie. Infatti, anche la dottrina trinitaria di Origene contiene elementi subordinazionisti. Eppure il suo pensiero non può essere considerato eretico, perché ciò è dovuto semplicemente alla mancanza di mezzi espressivi e di approfondimento concettuale. L’uomo conosce in forma storica, così che l’accoglienza della fede e la comprensione del dato rivelato ha richiesto tempo e molta discussione, cioè il confronto con molte vite. Origene si situa sulla linea di sviluppo che porterà alla formulazione della dottrina trinitaria cappadoce e ne pone le
basi; tuttavia non è ancora in grado di staccarsi da alcuni elementi di matrice filosofica, che necessariamente venivano mediati dal linguaggio concettuale a cui doveva far ricorso, in assenza delle formulazioni nuove, che caratterizzeranno il IV secolo.
 
In concreto, per Origene il Verbo è fondamentalmente il mediatore in quanto immagine, conoscenza e sapienza del Padre. L’Alessandrino non si riferisce, qui, a Cristo, che è ovviamente Mediatore, ma alla seconda Persona stessa della Trinità, il cui ruolo viene economicizzato, cioè fatto dipendere dalla dimensione rivelativa. In questo senso, il Verbo è eterno perché è la Sapienza di Dio e Dio non è mai stato senza Sapienza. E in essa sono stati presenti da sempre le idee divine della creazione del mondo, in modo tale che Essa è il senso e la ragione di tutto ciò che esiste, ovunque risplende la sua luce. Il mondo è così riflesso dell’eterno, ed in particolare l’uomo come creatura razionale nella quale brilla
specialmente la luce del Verbo. In questo modo, la seconda Persona è mediatrice tra il Padre ed il mondo creato. Il punto essenziale è che Origene, pur affermando l’eternità del Verbo, lo considera Dio solo per partecipazione: dice, infatti, che solo il Padre è vero Dio – alethinòs autòtheos<ref>Cfr. Idem, Su Giovanni, 2, 2.</ref>. In questo senso, il Padre sarebbe trascendente rispetto al Verbo, che a sua volta trascenderebbe tutte le creature<ref>Cfr. J. Daniélou, Origène, cit., 253.</ref>.
 
Il punto è che la scuola alessandrina era riuscita a inserire la novità rivelata nell’insieme del pensiero filosofico che aveva preceduto il cristianesimo, costruendo un mirabile dialogo teso a mostrare l’unità della storia, grazie alla teologia del Logos, che raccordava la sfera divina a quella creata. Più tardi, nel secolo IV, Atanasio ed i suoi successori svilupperanno una teologia della natura divina e della natura umana, che permetteranno di risolvere il rapporto tra mondo e Trinità e di distinguere chiaramente economia ed immanenza.
 
Si noti che, in questo contesto subordinazionista, Origine riesce ad affermare con chiarezza la consustanzialità e la divinità dello Spirito Santo, parlando “della grande autorità e della dignità che possiede lo Spirito Santo in quanto essere sostanziale, così che il battesimo di salvezza non può realizzarsi se non per l’altissima autorità della Trinità, per l’invocazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in modo tale che il nome dello Spirito Santo è associato al Padre ingenerato e all’unico Figlio.”<ref>Idem, Sui principi, 1, 3, 2.</ref> Solo il Logos rivela il Padre, al quale non si può arrivare se non per suo mezzo, ma nello stesso tempo si può conoscere il Figlio solo nello Spirito.
 
In sintesi, l’opera di Origene segna una svolta fondamentale nella riflessione trinitaria: con il suo bel greco e la sua competenza esegetica, mette i fondamenti di uno sviluppo dottrinale che porterà alla formulazione definitiva dei concili del secolo IV.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-->
== Dal IV secolo in avanti ==
 

Menu di navigazione