Kerygma: differenze tra le versioni

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=== Nei Settanta e nel Testo Masoretico ===
 
È ragionevole ritenere che il senso originale di κήρυγμα, usato solo in tre dei 4 vangeli e solo in 6 delle 13 lettere del ''[[corpus paulinum]]'', e mai altrove nel Nuovo Testamento, sia da cercarsi all'interno dell'Antico Testamento oltre che nel contesto letterario e storico immediato.
 
==== In 2Cronache ====
Decisero allora "una parola", cioè di emanare un editto o decreto "per far circolare la voce" (LXX: ἔστησαν λόγον διελθεῖν κήρυγμα): che tutti dovevano radunarsi a Gerusalemme per la festa (secondo {{pb|2Cronache|30,5}}). Con κήρυγμα i [[Settanta]] traducono il sostantivo maschile ebraico קוֹל (qol),"voce" o "suono".
 
==== In 1Esdra ====
 
Similmente, in 1Esdra<ref>1Esdra è un libro di 9 capitoli scritto in [[lingua greca|greco]]. Assieme a 2Esdra (23 capitoli), anch'esso in greco, è accettato nella lista dell'[[Antico Testamento]] nella [[Bibbia ortodossa]] come deuterocanonico, sulla base di almeno due testimoni: a) di [[Origene]] (secondo quanto riporta Eusebio di Cesarea di Palestina, in ''Hist. eccl.'' 6.25.2) vissuto tra il 185 circa e il 254; b) di [[Cirillo di Alessandria]] vissuto tra il 315 e il 386 (cfr. ''Cathech.'' 4,35). Nella [[Bibbia ebraica]] (di 39 libri), in quella [[Bibbia cattolica|cattolica]] (di 73 libri) e in quella [[Bibbia protestante|protestante]] (di 66 libri) 1Esdra non è presente. Sono invece accolti come canonici da tutti solo i libri di Esdra e Neemia la cui lingua originale è l'[[lingua ebraica|ebraico]].</ref>, però in un diverso contesto storico, dopo l'esilio di Babilonia (587-538 a.C.) e dopo l'editto di Ciro (538), il narratore racconta come Esdra digiunasse a pane e acqua in espiazione delle iniquità dei rimpatriati per avere questi sposato donne straniere. Subito aggiunge, in modo impersonale: καὶ ἐγένετο κήρυγμα (e un proclama fu diramato) alla città di [[Gerusalemme]] e per l'intera [[Giudea]], a tutti i rimpatriati. Questi dovevano radunarsi in Gerusalemme, ancora in ricostruzione. Il proclama, emesso dai "governanti", conteneva una sanzione: chiunque, entro due o tre giorni non si fosse presentato in conformità alla "decisione" degli anziani, avrebbe subito il sequestro del bestiame, che sarebbe stato offerto in sacrificio, e l'espulsione dei proprietari dalla comunità (1Esdra 9,3).
 
==== In Proverbi ====
 
In {{pb|Proverbi|9,3.4}}, il contesto di κήρυγμα è costituito dalla festa della Sapienza che invia le sue ragazze o domestiche nei punti più alti della città per "proclamare"<ref>in ebraico è usato il qal imperfetto di terza persona di קָרָא (qara')</ref>, che significa "chiamare, leggere a voce alta, recitare" (simile alla parola [["corano"]] che significa "recitazione" o "lettura salmodiata") - mentre il greco traduce, marcando la modalità, con συγκαλούσα μετὰ ὑψηλοῦ κηρύγματος, in riferimento alle giovani donne che sono dinamicamente descritte come "convocanti con proclamazione alta" o "a voce alta" gli abitanti di Gerusalemme.
==== In Matteo ====
 
La prima occorrenza di κήρυγμα, è in {{Pb|Mt|12,41}}, dove è ancora ricordato [[Giona]] ({{Pb|Mt|12,39-41}}). Nelle parole stesse di Gesù, che l'[[evangelista]] riporta, c'è polemica con un uditorio religioso ma scettico: nel giorno del giudizio, gli abitanti laici di [[Ninive]] si ergeranno a giudici di coloro che, nonostante l'autorevolezza di "uno più grande di Giona", e che è Gesù stesso, non credono nel [[vangelo]] del regno di Dio. Invece molti non giudei si convertirono alla semplice "[[predicazione]]" di un profeta riottoso. In questo κήρυγμα [[Matteo]] sintetizza la predicazione del [[vangelo]] del [[regno di Dio]], il compimento delle opere messianiche da parte di Gesù assieme alla sua morte, innocente, ma seguita dopo tre giorni dalla risurrezione.
 
==== In Marco ====
*Altri però, poco più tardivi, come L Ψ 083 099 0112 579, espandono proprio {{Pb|Mc|16,8}} e a imitazione di [[Matteo]], [[Luca]] e [[Giovanni]], aggiungono altri versetti, da {{Pb|Mc|16,9}} a {{Pb|Mc|16,20}}, che costituiscono la finale lunga dove si accenna, sinteticamente, alle [[apparizioni di Gesù]] sia a [[Maria di Màgdala]] che a due dei discepoli in cammino verso la campagna, prima che agli [[Undici]]. Solo a costoro però, con due imperativi, in {{Pb|Mc|16,15}}, [[Gesù]] stesso ordina di andare e proclamare il vangelo a tutti nel "mondo".
*Il redattore ha usato qui l'imperativo aoristo di κηρύσσω, un verbo imparentato a κήρυγμα e che è fortemente presente in contesti diversi e riferito a personaggi diversi, già nella inclusione di {{Pb|Mc|1,4-14,9}}.
*Lo stesso verbo ricorre in {{Pb|Mc|16,20}}, e serve per far sintesi dell'opera degli Undici che effettivamente, secondo il redattore, "andarono fuori sede e predicarono dappertutto", mentre il Signore operava con loro confermando la "parola" con "segni". Si evince che κήρυγμα indica qui la [[proclamazione]] di una "parola" o "parabola" che non può essere diversa da quelle di Gesù, dalle sue opere e [[segni messianici]], da parte di testimoni che hanno obbedito al mandato del loro Signore risorto.
*Nell'aggiunta tra parentesi a {{Pb|Mc|16,8}} sembra invece contenuta una riflessione più tardiva sia sui destinatari che sul valore intrinseco del κήρυγμα: "Tutte poi le istruzioni per loro (per i [[discepoli]]), sinteticamente (le donne) le riferirono a [[Pietro]]. Dopo queste cose però lo stesso Gesù dall'oriente all'occidente emise tramite loro il sacro e incorruttibile proclama della eterna salvezza. [[Amen]]".
*Qui κήρυγμα sembra acclimatato in un contesto [[liturgia|liturgico]], come editto di Gesù, suo statuto, o manifesto di [[vita eterna]]. Lo stile solenne, se è un indizio di dubbia appartenenza dell'aggiunta alla conclusione breve di [[Marco]], marca la posizione di [[Gesù]] rispetto agli [[Undici]]: è lui stesso, [[risurrezione|risorto]], a emettere il "sacro" e "incorruttibile" proclama che riguarda la sua missione sulla terra, anche se è per mezzo di loro, suoi altoparlanti o messaggeri, a raggiungere il regno della morte nei suoi anfratti più cupi per eliminarla.
* dopo 14,23 e dopo 16,23 (A P 33 104 2805 ''pc'');
* dopo 14,23 e dopo 15,33 (solo in 1506)</ref>. Questa incertezza sulla posizione fa pensare non tanto che la dossologia sia una aggiunta, quanto che la sua collocazione sia opera di amanuensi. Infatti, i testimoni che la omettono del tutto, qualche volta lasciando lo spazio bianco di alcune righe<ref>Come fa G</ref>, sono pochi<ref>F G 629 Hier''mss''</ref>.
*Il κήρυγμα è qui presente come parola chiave di questa dossologia mobile e la motiva. [[Paolo]] si rivolge ai romani affidandoli, a conclusione della lettura pubblica della lettera, a [[Dio Creatore]] e Signore, pur senza nominarlo se non indirettamente come "colui che può" stabilirli, secondo il "[[vangelo]] e il κήρυγμα di Gesù Cristo", e secondo l'[[apocalisse]] o manifestazione "del [[mistero]] rimasto silente" per secoli. Il termine è contestualmente determinato dall'antitesi ''parlare-far silenzio'' ed è descritto da parole dello stesso campo semantico, come "[[vangelo]]" e "apocalisse" che chiaramente implicano, come contenuto del κήρυγμα, il genitivo esplicativo "di Gesù Cristo". kerygma è la proclamazione pubblica, "la parola della [[fede]] che proclamiamo"<ref>Cfr. {{Pb|Romani|10,8}}: τὸ ῥῆμα τῆς πίστεως ὃ κηρύσσομεν</ref> affidata all'apostolo<ref>Cfr. ancora κηρύσσω in {{Pb|Romani|10,14-15}}.</ref> per professare, in contesti prevalentemente giudaici, che Gesù è "il Cristo"<ref>Cfr. {{Pb|Atti|9,22;18,5.28}}.</ref> e in generale, che Gesù è "il Signore"<ref>Cfr. {{Pb|Atti|11,20}}; {{Pb|1Cor|4,4;12,3.5;14,37;15,58}}.</ref> di tutti, senza distinzione tra giudei e greci.
 
==== In 1Corinzi ====
 
In {{Pb|1Corinzi|1,21}}, altro testo polemico indirizzato a destinatari diversi dai romani, il κήρυγμα è la proclamazione, con parole orali e scritte, della messianicità di [[Crocifissione di Gesù|Gesù crocifisso]], direttamente e indirettamente evocato più volte<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|1,13.17-18.23;2,2.8}} {{Pb|2Corinzi|13,4}}</ref> anche in prossimità di κηρύσσω, come in {{Pb|1Corinzi|1,23}}: "noi invece proclamiamo Cristo [il] crocifisso", uno scandalo per i [[giudei]] e vera follia per gli etnici greci. In {{Pb|1Corinzi|1,21}}, [[Paolo]] riflette come il [[mondo ellenistico]], con la sua tradizione letteraria e filosofica, non abbia riconosciuto Dio che, nella sua sapienza, si è compiaciuto di "salvare" i credenti "per mezzo della follia del κήρυγμα". Parlando di follia, la propria<ref>Cfr. {{Pb|2Corinzi|11,16;12,11}}.</ref> e quella di [[Dio]], [[Paolo]] pensa alle difficoltà nel convincere [[greci]] e [[giudei]], che [[Gesù]], crocifisso, è [[Messia]] o [[Cristo]], completo e definitivo.
*Nel contesto,<ref>In {{Pb|1Corinzi|2,2-3}}</ref> [[Paolo]] ricorda il suo arrivo "in [[debolezza]] e timore" a [[Corinto]], proveniente da [[Atene]] dopo aver subito una canzonatoria contraddizione da parte di [[filosofi stoici]] ed [[epicurei]]<ref>Cfr. {{Pb|Atti|17,18}}.</ref> a conclusione di un nobile discorso su Dio, costruito a tavolino, secondo i canoni del ragionamento greco, quando aveva accennato a un uomo [[Risurrezione|risuscitato dai morti]] e costituito da quello stesso Dio di tutti, giudice degli uomini. A [[Corinto]], nella sua prima venuta, aveva rinunciato a questo modo di [[inculturazione|inculturare]] il [[vangelo]] e ora commemora quella scelta radicale: fin nel primo incontro "ritenni infatti tra di voi di non sapere altro se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso". Per conoscere il [[Dio ignoto]], invisibile [[Creatore]] del cielo e della terra, è ora importante spostare l'attenzione sull'uomo [[Crocifissione di Gesù|crocifisso]].
*In {{Pb|1Corinzi|2,4}}, [[Paolo]] continua a precisare con polemica l'opzione antiretorica: "la mia parola e il mio κήρυγμα" non consistettero in persuasive parole di sapienza, ma "in manifestazione di spirito e di potenza." La distinzione tra λόγος - parola - e κήρυγμα è qui la stessa che esiste normalmente tra predicazione e il suo contenuto. All'[[apostolo]] preme affermare che, in ogni caso, materia prima e "[[vangelo]]" non è la sapienza greca (né la legge mosaica) ma il "λόγος, quello della croce", che se è pazzia per alcuni, è salvezza per chi l'accoglie (cfr. {{Pb|1Corinzi|1,18}}) credendo a [[Paolo]] quando proclama che il [[Crocifissione di Gesù|crocifisso]] è Cristo, rivelazione autentica della "potenza di Dio" per i [[giudei]], e della "sapienza di Dio" per i [[greci]].<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|1,24}}.</ref> Contenuto del kerygma ai [[corinzi]] è stata fin dagli inizi ed è ora per scritto, un'antitesi, ma che è una sintesi per [[Paolo]], un ritornello in {{Pb|1Corinzi|1-4}}<ref>Cfr. {{Pb|2Corinzi|10-13}}.</ref> e che è ricapitolata in due frasi parallele di {{Pb|1Corinzi|1,25}}, dove sono presenti oltre al [[Crocifissione di Gesù|Cristo crocifisso]], le reazioni di greci e giudei: "la cosa pazza di Dio è più sapiente degli uomini e la cosa debole di Dio è più forte degli uomini". È questa la inculturazione della [[professione di fede]] insieme conflittiva e agonistica<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|9,27}}.</ref> ma anche [[apostolica]]<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|15,11}}.</ref> nel [[vangelo]] della morte e risurrezione di Gesù, salvatore di ogni uomo. L'universalità è qui percepibile nella menzione di "uomini": utilizzino essi categorie ebraiche o greche nel loro rapporto con Dio. Tutti sono invitati, per mezzo della predicazione stolta di [[Paolo]], a misurarsi con il Creatore passando per la [[fede]] in un uomo che è il [[Cristo]], [[Crocifissione di Gesù|crocifisso]] e [[risurezzione|risorto]].<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|15,12}}.</ref>
*Nella terza ed ultima occorrenza di κήρυγμα, in {{Pb|1Corinzi|15,14}}, ragionando con alcuni forse di origine greca che dubitano della necessità di una risurrezione fisica, [[Paolo]] ricorda che la [[fede]] nella risurrezione e nella vita attuale dell'ultimo [[Adamo]]<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|15,22.45}}.</ref> è l'unica che dia senso al predicare e alla [[chiesa]] di Dio<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|12,28;15,9}}.</ref>: se [[Gesù Cristo|Cristo]] non è risorto (qui [[Paolo]] usa l'indicativo), "vuoto è il nostro κήρυγμα", e "vuota anche la vostra fede". La fede è priva di contenuto; è vinta e sterilizzata dall'attesa della morte. La stessa [[predicazione]] che per Paolo non è solo "parola" ma condivisione esistenziale della croce di Cristo, portandone nel proprio corpo la morte<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|4,9-13}}; {{Pb|2Corinzi|4,1-15;12,7-12}}.</ref> o le stigmate,<ref>Cfr. {{Pb|Galati|6,17}}.</ref> diverrebbe insignificante, e tale sarebbe anche la relazione tra lui, l'apostolo delle genti, e loro, i destinatari prima della proclazione orale o ora di questa lettera. Senza fede pasquale, inerti e senza vita resterebbero le relazioni parentali e le interrelazioni ecclesiali a [[Corinto]] e con le altre chiese locali<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|7,17;11,16;16,19}}</ref>. [[Paolo]] identifica la sua, o "nostra" predicazione, orale o scritta che sia del [[vangelo]], come il contenuto essenziale e la struttura portante della [[fede]] in Dio, sapiente e potente, che salva gli uomini e le donne dalla morte con l'[[apostolato]] di Paolo, con la [[vocazione]] ed elezione di chiunque accoglie il kerygma<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|1,1.2.9.24-28;7,18-24;15,9}}.</ref> per formare un unico nuovo "corpo di Cristo", secondo una ecclesiologia<ref>Cfr. {{Pb|1Corinzi|6,15;10,16;12,27}}</ref> che deriva interamente dalla [[fede]] nella morte e risurrezione di Gesù.
 
=== Nelle Lettere Pastorali ===
In {{Pb|2Timoteo|4,17-18}}, in un testo autobiografico del mittente, che secondo {{Pb|2Timoteo|1,1}} (e {{Pb|1Timoteo|1,1}}) è lo stesso [[Paolo]], l'apostolo di {{Pb|Romani|1,1}} e di {{Pb|1Corinzi|1,1}} (e di {{Pb|2Corinzi|1,1}}).
*A [[Timoteo]] egli ora ricorda il voltafaccia di un collaboratore di entrambi, di Alessandro il fabbro, che gli ha procurato danni. Timoteo deve restarne in guardia perché Alessandro "si è opposto alle nostre parole" ({{Pb|2Timoteo|4,15}}), cioè alla "nostra" predicazione del "vangelo" di Gesù Cristo, salvatore pari a Dio, che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e la incorruttibilità dell'uomo. Per proclamare tale "[[vangelo]]", in {{Pb|1Timoteo|1,10-11}}, "io sono stato costituito κῆρυξ (kêryx) e [[apostolo]] e [[maestro]]". A Timoteo Paolo scrive anche di come, finito in tribunale, egli abbia dovuto difendersi da solo, essendo stato abbandonato da tutti; non però dal Signore che l'ha assistito e incoraggiato "perché, per mio tramite, il κήρυγμα fosse completato" e "tutte le nazioni lo ascoltassero". Solo per questo motivo, per completare la [[missione]] affidatagli, Paolo non è stato dato in pasto al leone e resta fiducioso che il Signore continuerà a liberarlo fino a missione compiuta, quando lo porterà, salvo, nel suo regno. Ora Timoteo deve assumersi le stesse responsabilità. Paolo lo scongiura davanti a Dio e a Gesù Cristo, il giudice dei vivi e dei morti, dandogli una serie coordinata di ordini: "proclama la parola"<ref>κήρυξον τὸν λόγον ({{Pb|2Timoteo|4,2}})</ref> è il primo; quindi seguono gli altri: "insisti" al momento opportuno e non opportuno, "ammonisci", "rimprovera", "esorta" con sana "dottrina" e sempre con grandezza d'animo.
*In questa progressione delle fondamentali attività pastorali a vantaggio di una [[chiesa]] (forse quella di [[Efeso]]), la proclamazione della parola, come testimonianza personalmente coinvolgente nella morte e risurrezione di Gesù, è quella motivante. Tutto deve avvenire dopo, e niente senza il κήρυγμα.
 
==== In Tito ====

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