Utente:Roberto Reggi/Prova2

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Su cosa si debba intendere per «verità», il senso comune e larga parte della riflessione filosofica non hanno dubbi: la verità si ha nella corrispon-denza fra pensiero e realtà, cioè nel constatare «come stanno veramente le cose» (FR 25). Per esempio, l’affermazione «il tavolo è di legno» è ovvia-mente vera se il tavolo è effettivamente di legno. Il più noto autore che ha esplicitato tale senso è san Tommaso, che ha definito la verità come adae-quatio intellectus et rei, «corrispondenza tra l’intelletto e la cosa». Anche prima di Tommaso sono diversi gli autori che, adottando espressioni simili, hanno inteso la verità come corrispondenza, in particolare Platone, Aristo-tele, Agostino. In epoca contemporanea lo stesso concetto è presente in Kant (cf. dopo) e Hegel, ma il più noto divulgatore è Heidegger, con la sua interpretazione della verità (alètheia in greco) come «svelamento» (a-letheia) dell’essere, che può essere ricondotto allo svelamento o rivelazio-ne della realtà. Gli scienziati moderni e contemporanei, nella scoperta delle leggi della natura, si basano sul presupposto che queste corrispondano alla realtà. La verità come corrispondenza è dunque perseguita da Copernico, Keplero, Ga-lileo, Newton, Leibniz. Altri filosofi che intendono la verità come corri-spondenza sono Bolzano, Meinong, Gilson, Maritain, Fabro, Lonergan, Popper e Tarski. Anche Maritain si muove in tal senso: la verità è «la con-formità fra l’atto dello spirito che unifica due concetti in un giudizio e l’esistenza (attuale o possibile) di una stessa cosa in cui si realizzano quei due concetti»; «Quando l’identificazione operata dallo spirito fra due ter-mini di una proposizione corrisponde ad una identità nella cosa, allora lo spirito è vero». Evidente confine naturale di tale accezione di verità è la limitatezza dell’uomo e della ragione, che non può intuire (cioè avere pre-sente nell’intelletto) tutta e istantaneamente la realtà.

1.1.3. Come coerenza Un secondo significato che può avere la verità è quello di coerenza. In particolare, Kant accetta «la definizione nominale della verità come accordo della conoscenza col suo oggetto», ma introduce un significato logico e formale di verità come «l’accordo di una conoscenza con le leggi generali e formali dell’intelletto e della ragione, che è la conditio sine qua non, quindi la condizione negativa di ogni verità […]. Ciò che contraddice queste leggi è falso perché l’intelletto in tal caso contrasta con le sue stesse leggi, perciò con se stesso». Il concetto di verità come coerenza formale è evidente p.es. in ambiti come la matematica. Forse il più noto e affascinante esempio in tal senso si ha nell’identità di Eulero, espressione circa la quale ha detto il filo-sofo e matematico Peirce: «È assolutamente paradossale. Non possiamo comprenderla e non sappiamo cosa significa, ma l’abbiamo dimostrata e dunque sappiamo che deve essere la verità». Similmente per l’ipersfera (l’equivalente a quattro dimensioni della sfera) possono essere formulate af-fermazioni geometriche vere (p. es. il calcolo del volume o della superficie) ma non certo corrispondenti al reale. Il significato di verità come coerenza è evidenziato da neopositivisti (p.es. Carnap, Neurath) e idealisti (p.es. Bra-dley). L’evidente pericolo di tale interpretazione puramente logica e formale del vero è quella di giungere a sistemi di pensiero perfettamente coerenti al loro interno, che sono leciti a livello teoretico ed accademico, ma che, se di-sancorati dalla realtà, possono portare a multiple verità vicendevolmente in-compatibili.

1.1.4. Come consenso e utilità Un terzo significato di verità rimanda al consenso: è vero ciò su cui si è d’accordo che sia vero. È un significato evidenziato in particolare da alcune filosofie del linguaggio, come quella di Habermas. Forse l’esempio più noto di tale concetto di verità come consenso si trova in Wikipedia, la principale fonte d’informazione disponibile in internet, che spesso è a sua volta il prin-cipale (o comunque primo) strumento di ricerca di informazioni. Ovvio pericolo di tale accezione è il distacco dalla realtà a favore dell’opinione della maggioranza. Un quarto significato rimanda all’utilità: vero è ciò che è pragmatica-mente utile, efficace, operativo. La verità non viene raggiunta scoprendo e svelando la realtà, ma viene invece costruita, eventualmente (avvicinandosi al significato precedente) basandosi sul consenso. Su tale linea si collocano Nietzsche e i pragmatisti James e Dewey. A questo significato di verità può indirizzare la constatazione della pluralità e diversità dei sistemi di pen-siero, morale e religione. La verità «svelata», unica e obiettiva, sarebbe ri-gettata in quanto identificata con assolutismo e intolleranza, mentre il pen-siero umano dovrebbe accontentarsi di una verità minima e basale, una sorta di minimo comune denominatore. Lo stesso concetto di verità come utilità può però ipoteticamente portare all’estremo opposto dell’assolutismo totali-tarista, come efficacemente descritto dal «2+2 = 5» di orwelliana memoria: se si svincola dalla realtà la verità, chi decide qual è la «giusta» verità e fino a che punto si può imporla?

L’enciclica Fides et ratio a più riprese sottolinea la concezione «forte» di verità come corrispondenza alla realtà: la verità esiste, è raggiungibile dall’uomo, è unica, oggettiva e universale, non invece negoziabile, parziale, soggettiva e convenzionale come presupposto dal pensiero «debole». Sono dunque rifiutate le posizioni che rigettano o limitano tale concezione forte, come il relativismo (FR 5, cf. anche l’enciclica Veritatis Splendor, 6 agosto 1993), lo storicismo (FR 87), lo scientismo (FR 88), il pragmatismo (FR 89), il nichilismo (FR 90). L’enciclica ammette però l’esistenza di diverse forme di verità (FR 30), elemento centrale dell’implementazione di un corretto metodo interdi-sciplinare: - verità che deriva da ragionamenti, propria in particolare della filosofia, riconducibile al significato di verità come coerenza (cf. par. 1.2); - verità religiosa, che l’uomo per la limitatezza della propria condizione non può cogliere ma è conosciuta sulla base della rivelazione cristiana (o in altri sistemi di pensiero di altre rivelazioni religiose, cf. par. 1.3). - verità che deriva dall’esperienza, propria in particolare del sapere scientifico (cf. par. 1.5), come anche della vita quotidiana. Tale senso più immediato è quello della verità intesa come corrispondenza e svelamento della realtà.