Utente:Salvatore Cammisuli/Il profilo della ragionevolezza

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Il profilo della ragionevolezza
Il profilo della ragionevolezza.jpg
Sigla biblica
Titolo originale The Outline of Sanity
Altri titoli
Nazione bandiera Regno Unito
Lingua originale inglese
Traduzione Federica Giardini
Ambito culturale Distributismo
Autore Gilbert Keith Chesterton
Note sull'autore
Pseudonimo
Serie
Collana
Editore
Datazione 1926
Datazione italiana 2011
Luogo edizione
Numero di pagine
Genere Saggio
Ambientazione
Ambientazione Geografica
Ambientazione Storica

Personaggi principali:

Titoli dei racconti
Della serie {{{Serie}}}
Libro precedente
Libro successivo
Adattamento teatrale
Adattamento televisivo
Adattamento cinematografico
Note
Premi:
Collegamenti esterni:
Scheda sul sito delle Edizioni Lindau
ID ISBN 9788871809076
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Ebbene, io sono tra coloro che ritengono di poter curare l'accentramento [del capitale] con il decentramento. Questo rimedio è stato definito un paradosso. A quanto pare c'è qualcosa di irritante e bizzarro nel dire che quando il capitale diventa troppo nelle mani di pochi, la cosa giusta da fare è rimetterlo nelle mani di molti.
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(Gilbert Keith Chesterton, Il profilo della ragionevolezza, pag. 10)

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Il profilo della ragionevolezza è un saggio dello scrittore cattolico inglese Gilbert Keith Chesterton, pubblicato per la prima volta nel 1926.

Contenuto

L'opera si divide in cinque parti, ciascuna dotata di un titolo e divisa in due o più capitoli, a loro volta titolati. A queste si aggiunge una sesta parte, consistente in un riepilogo.

Alcune idee generali

L'inizio della controversia

In apertura della sua opera, l'autore dichiara di scrivere in difesa della proprietà privata, seguendo una linea politica cui è stato dato il nome di distributismo, alternativo sia al capitalismo[1], sia al socialismo. Il primo, infatti, tende a concentrare la ricchezza nelle mani di pochi; il secondo s'illude di risolvere il problema mettendo tutto il capitale "nelle mani di un numero di persone ancora più piccolo; cioè dei politici, che (come sappiamo) lo amministrano sempre nell'interesse dei molti"[2]

Nel resto del capitolo si risponde all'obiezione dei fabiani, secondo i quali la proposta distributista è irragionevole, perché comunque la piccola tenderebbe a confluire nella grandeproprietà, ricostituendo la concentrazione del capitale nelle mani di pochi. Secondo Chesterton, i fabiani[3] peccano per eccesso di teoria: nella realtà concreta la piccola proprietà di fatto esiste, e nei Paesi latini permane da lungo tempo, come riconoscono gli stessi critici che, paradossalmente, accusano queste aree geografiche di immobilismo e arretratezza.

Il pericolo del momento

Nonostante le accuse di pessimismo, Chesterton sostiene che l'Inghilterra a lui contemporanea sia in una fase di declino sociale. Secondo l'autore, uno dei sintomi di questo declino è il ricorso, da parte dei capitalisti in difficoltà, a espressioni della retorica socialista, come l'appello a che i lavoratori continuino a lavorare in nome del pubblico interesse. Questo è illogico in un sistema capitalista, in cui entrambe le parti - padrone e salariato - non contrattato per altro scopo per che ottenere il rispettivo maggiore vantaggio[4].

È necessario, del resto, che il capitalismo vada in crisi, a causa della sua natura contraddittoria: da un lato la maggior parte della popolazione deve essere priva di capitale, così da dipendere dal salario; dall'altro i capitalisti hanno bisogno di avere il più gran numero possibile di clienti, cioè di persone dotate di capitale e quindi capaci di acquistare i loro prodotti.

Infine, si risponde a quanti rifiutano le proposte dei distributisti perché questi sono incapaci di esporre in tutti i suoi dettagli l'auspicata futura società distributista. A questi critici l'autore replica che è insensato occuparsi dei dettagli dell'organizzazione distributista, quando invece si è inabili ad affrontare anche i problemi più gravi ed evidenti della società capitalista.

La possibilità di una ripresa

L'autore usa un apologo per chiarire la sua obiezione: pone il caso di un uomo che denunci alla pubblica autorità un bar in cui ai clienti si serve del veleno anziché le bevande richieste, e immagina che ciascuno risponda a quest'uomo che non è possibile chiudere il locale finché non avrà esposto nel dettaglio con quale tipo di esercizio sostituirlo.

Chesterton presenta poi un'altra obiezione agli stessi critici, affermando che in una società distributista non è necessario regolamentare dall'alto ogni aspetto della vita sociale, perché questa viene fondata sulla naturale propensione dei piccoli proprietari a difendere il proprio capitale; diverso è il caso dei socialisti, costretti a determinare e regolare per legge ogni aspetto dell'organizzazione sociale, perché da loro viene fondata su principî contrari alle naturali inclinazioni umane.

Seguono altri due apologhi, entrambi rivolti contro chi ritiene irrealizzabile il progetto distributista perché prevede di abbandonare il capitalismo e il ritorno a un'organizzazione economica di tipo medievale: Chesterton paragona questi critici a una guida che, condotto un viandante sull'orlo del precipizio, si ostinasse a ripetere ch'è impossibile tornare indietro ed è necessario andare comunque avanti; oppure a un comandante militare che, portate per inavvertenza le sue truppe in territorio nemico, si rifiutasse di ordinare la ritirata.

Il senso delle proporzioni

Chesterton riavvia il suo discorso da un articolo di giornale il cui autore rifiutava il socialismo come un regime paternalista utile a proteggere i deboli e i vigliacchi dal vigoroso individualismo della società capitalista[5]. Questo dà all'autore lo spunto per un ironico ritratto di un tipico esponente di questo presunto vigoroso individualismo: un anonimo, grigio impiegato, costretto ogni giorno gesti omologati per recarsi al lavoro nel suo ufficio. Per lui, di fatto, non cambierebbe nulla se l'azienda per cui lavora fosse proprietà dello Stato o frutto dell'iniziativa privata. Per questo Chesterton rimprovera al capitalismo di aver già realizzato quanto c'è di avvilente e alienante in un regime socialista.

Capitalisti e socialisti sono concordi nel definire utopistico il programma distributista. Chesterton evidenzia che esiste sì un distributismo ideale, ma che non mondo macchiato dal peccato originale è inutile perseguirlo[6]. I distributisti, però, non cercano un'impossibile perfezione, ma una ragionevole proporzione[7]: ciò a cui mirano non è una società in cui tutta la proprietà sia gestita ovunque allo stesso modo, ma evitare che il potere e il capitale siano concentrati nelle mani di un unico monopolio.

Alcuni aspetti della grande impresa

Il bluff dei grandi negozi

Il capitolo[8] contesta l'utilità e l'opportunità dei grandi negozi, "in senso morale e commerciale"[9]: non solo, infatti, favoriscono la formazione e il mantenimento di monopoli, ma prestano anche cattivi servizi. Ciò che permette loro di prosperare è solo l'uso massiccio di campagne pubblicitarie, ma questo in realtà dimostra la loro vulnerabilità: sono gli stessi pubblicitari, infatti, a sostenere che la loro azione è un mero inganno psicologico, qualcosa di simile all'opera di un ipnotizzatore. Basta anche che il pubblico ne prenda coscienza perché smetta di rivolgersi ai grandi negozi.

Un malinteso sul metodo

Un esempio calzante

La tirannia dei trust

Alcuni aspetti della terra

La semplice verità

Voti e volontari

Vivere davvero della terra

Alcuni aspetti della macchina

La ruota del destino

La favola della macchina

La vacanza dello schiavo

L'uomo libero e la Ford

Una nota sull'emigrazione

Il bisogno di uno spirito nuovo

La religione della piccola proprietà

Note
  1. In realtà, l'autore ritiene che il termine capitalismo sia inappropriato a indicare la condizione economica in cui il capitale è detenuto da una più o meno piccola classe di capitalisti, contrapposta alla stragrande maggioranza delle persone che, per vivere, deve servire i capitalisti in cambio di un salario. Se il capitalismo è chiamato così perché implica l'uso del capitale, qualunque organizzazione economica potrebbe essere chiamata così, inclusa quella bolscevica. Ciò che invece contraddistingue il capitalismo, invece, non è il fatto che alcuni detengano il capitale, ma che la maggioranza ne sia priva, affinché continui a dipendere dal salario. Pertanto, anziché capitalismo, sarebbe più corretto chiamarlo proletarismo, anche se questo termine sarebbe causa di fraintendimenti (cfr. pagg. 11-13).
  2. Pagg. 10-11.
  3. Il fabianesimo è un movimento politico e sociale nato in Inghilterra alla fine dell'Ottocento. Esso si propone l'elevazione delle classi lavoratrici affinché diventino idonee ad assumere il controllo dei mezzi di produzione. Uno dei suoi esponenti fu il drammaturgo George Bernard Shaw, cordiale avversario di Chesterton, che lo cita in questa e in altre opere, come ad esempio Eretici.
  4. Pag. 30.
  5. Pag. 55.
  6. Chesterton aggiunge che allo stesso modo esiste un socialismo ideale. Non esiste, invece, un capitalismo ideale: un capitalista chiamato a descrivere la società per lui ideale, userebbe le stesse parole e gli stessi concetti di un socialista.
  7. Pag. 62.
  8. Il capitolo stesso, a detta dell'autore, riprende il contenuto di un articolo rifiutato dal direttore di un settimanale perché avrebbe provocato del risentimento nei suoi inserzionisti.
  9. Pag. 70.
Voci correlate