Utente:Suor Maria Trigila/La lunga rivoluzione femminista
L'iter dell'autonomia della donna
Il decennio tra il 1860 e il 1870 vede in Italia e in Europa la donna portavoce e animatrice di scioperi, lotte, mobilitazione politiche, movimenti di rivendicazione. Le lotte risorgimentali delineavano la nascita di uno stato in cui si poneva il problema del rapporto della donna-cittadina.
L'impegno delle donne non trova riconoscimento in Italia che raggiunta l'unificazione elabora un Codice civile, promulgato nel 1865, in cui la condizione femminile subisce un ulteriore smacco attraverso il diritto di famiglia. Si parla di stato di minorile subalternità della moglie alla quale, senza l'autorizzazione del marito, non è consentita l'autonoma indipendente per l'amministrazione del suo patrimonio. Ne risulta uno stato di dipendenza familiare e di mancanza di autonomia nella società civile che si riflette nella comunità politica.
Anna Maria Mozzoni
Alla protesta femminile dà voce la lombarda Anna Maria Mozzoni (1837-1920). Nell'opera La donna e i suoi rapporti sociali prende le distanze sia dalla tradizione cattolica sia dalla visione della condizione femminile di Giuseppe Mazzini che si batteva perché le donne potessero realizzare le loro aspirazioni alla libertà per meglio adempiere alle tradizionali funzioni di "angeli del focolare". La Mozzoni chiede l'emancipazione della donna attraverso il lavoro e la partecipazione attiva alla vita sociale e politica. Fa memoria e racconta come la questione femminile si evolve in Francia, in Inghilterra e, soprattutto negli Stati Uniti. A lei si deve la traduzione in italiano del saggio di John Stuart Mill (1806-1873): La soggezione delle donne.
Proprio in America nel 1843 viene redatto il primo manifesto femminista da parte di Margaret Fuller (1818-1850), pubblicato sulla rivista The dial come saggio dal titolo L'uomo contro gli uomini - La donna contro le donne, che viene riedito in versione rielaborata nel 1845, col titolo La donna nel XIX secolo. Sempre negli USA si svolge nel 1848 a Seneca Falls, il primo convegno sui diritti delle donne. In tutto 300 persone. Il convegno si conclude con la redazione a opera di alcune suffragiste come Susan Brownell Anthony (1820-1906), Elizabeth Cady Stanton (1815-1902) e Lucy Stone (1818-1893), della Declaration of sentiments in cui si sancisce l'uguaglianza di diritti fra i sessi e si propone la lotta per il voto.
Nel 1865, in contemporanea alla pubblicazione del Codice civile, pubblica La donna in faccia al progetto del nuovo codice civile italiano, nel quale critica la forma e la sostanza della legislazione in materia dei diritti femminili e si batte perché alla donna sia riconosciuto il diritto di voto. Già America il movimento suffragista si articolava in due organizzazioni: National Women Suffrage Association e American Women Suffrage Association. Entrambi impegnati per il suffragio, ma con metodi diversi. La prima, moderata e riformista, agiva nella zona di Boston: ne fu il portavoce il foglio Women's Journal; la seconda, aggressivo e radicale, operava soprattutto nell'area di New York. Solo nel 1890 le due associazioni si fondono ne American National Women Suffrage Association, a cui si unirono anche piccoli gruppi femminili e religiosi.
Nel 1868 Anna Maria Mozzoni fonda la rivista cosmopolita La donna. La sua partecipazione alla vita politica s'intensifica nel 1877 quando in Italia si riprende la battaglia per il suffragio femminile. La Mozzoni presenta al Parlamento italiano una petizione per promuovere l'estensione del suffragio alle donne. Il dibattito, condotto da giuristi e magistrati schierati su entrambi i versanti, si sviluppa a fase alterne: su proposta dell'onorevole Ubaldino Peruzzi (1822-1891), la Camera dei deputati disputa la questione giuridica delle donne per il voto iniziata già nel 1863; il dibattito segue nel 1871 su proposta dell'onorevole Giovanni Lanza (1810-1882), poi nel 1876 di Giovanni Nicotera (1828-1894), successivamente nel 1880 e 1882 per iniziativa di Agostino Depretis (1813-1887). Ma per le teorie positivistiche che si rifaceva alle differenze naturali fra i generi e alle conseguenti naturali differenze sociali e politiche, presenti in gran parte nel giusnaturalismo, si finisce per sconsigliare l'ammissione al voto per le donne.
Nel 1881 la Mozzoni aderisce al partito operaio indipendente. Insieme ad Anna Kuliscioff costituisce la "Lega per la promozione degli interessi femminili". Apprende le tesi socialiste di Henri Saint-Simon (1760-1825) e di Jean Baptiste Joseph Fourier (1768-1830) e condivide l'atteggiamento critico di Carlo Cattaneo (1801-1869) nei confronti della soluzione piemontese data al problema dell'Unità d'Italia. Secondo la Mozzoni le cittadine lombarde con l'annessione al Piemonte erano regredite socialmente. Così, pur partecipando alla formazione del partito socialista, non vi aderisce. Ritiene che l'oppressione femminile non sia solo di natura economica e teme che, dopo la rivoluzione sociale, la donna si ritrovi pupilla, interdetta, esclusa, subordinata, accessoria.
Alessandra Ravizza
Mentre in Inghilterra è in atto la lotta per la regolamentazione della prostituzione, per la stessa causa in Italia si battono la Mozzoni, Ersilia Majno (1859-1933) e Alessandra Ravizza (1846-1915). Quest'ultima, di formazione positivista, persegue l'ideale del socialismo unitario e interclassista e s'impegna in particolar modo per l'alfabetizzazione della popolazione. Per temperamento anticonformista e per intraprendenza, si impegna a tutto campo, dall'assistenza sociale ai problemi riguardanti il femminismo. Nel 1868 s'iscrive all'"Associazione generale di mutuo soccorso delle operaie di Milano" per costruire una rete di solidarietà e di opportunità di lavoro nella città alle prese con categorie sociali disagiati: disoccupati, prostitute, delinquenti, anziani soli, donne in cerca di impiego. Per le donne in minoranza fonda, insieme a Laura Solera Mantegazza (1813-1873), le scuole professionali femminili.
La Ravizza intreccia la sua attività anche con le iniziative del movimento femminista: con Ersilia Majno contribuisce alla fondazione dell'Unione Femminile. Nel 1901, a Milano, fonda una prima scuola-ricovero per prostitute presso l'Ospedale Maggiore. Dal 1903 sempre con la Majno e Linda Malnati (1855-1921) coopera alla campagna dell'Unione per la riforma dei regolamenti carcerari e la revisione del codice a maggiore tutela delle donne e dei minori. Tra le richieste di modifica emerge quella relativa ai delitti di violenza carnale, ratto e favoreggiamento, corruzione dei minori, perseguibili su denuncia delle parti lese. Ma per l'improbabilità delle denunce, per resistenze date dal contesto sociale del tempo come il costume, il pudore, oppure ricatti, l'Unione femminile propone di accettare la denuncia pubblica di consentire alle istituzioni di costituirsi parte civile. Una delle ultime azioni filantropiche della Ravizza è la direzione di una casa di lavoro per disoccupati, promossa dalla Società Umanitaria. La sua attività, dettata da un ideale laico di solidarietà, pone concrete risposte ai problemi di sopravvivenza delle classi deboli.
Fermenti in Europa
Parallelamente al femminismo di ispirazione socialista si sviluppa quello d'ispirazione cattolica. Mentre il primo rivendica parità giuridica, economica e sociale, il secondo riconosce una comune vocazione soprannaturale dell'uomo e della donna, cioè una uguale partecipazione alla missione della Chiesa nel mondo.
Luisa Anzoletti s'inserisce nel dibattito culturale per contrastare l'educazione frivola e superficiale riservata alle donne e per proporre l'immagine forte della donna biblica, impegnata per il progresso civile. Attraverso i mensili Azione muliebre e La donna del popolo innesca un processo di cambio di mentalità. Il problema dell'educazione orienta infatti le iniziative e l'immagine della donna istitutrice autonoma diventa il modello della donna ideale. Insieme alla donna nubile, alla cittadina colta. Per Christabel Pankhurst (1880-1958) l'essere nubile esprime una chiara scelta politica: la non accettazione della schiavitù sessuale.
Nel 1870 a Ginevra si tiene un convegno internazionale delle donne nel quale viene presentata e accolta una petizione contro la guerra franco-prussiana. La prima firmataria è Maria Goegg-Pouchoulin (1826-1899), organizzatrice di un movimento pacifista di natura internazionale e promotrice d'ideali filantropici e umanitari.
In Francia, la rivoluzione del 1871 instaura la Comune di Parigi. Per l'occasione Louise Michel (1830-1905), Léodile Champseix (1824-1900), Paule Mink (1839-1901) scrivono sui giornali dell'importanza di difendere la Comune perché, dicono alle donne francesi, Se Parigi cade, il giogo della miseria vi resterà sul collo e passerà sulla testa dei vostri figli. Così il 6 aprile sui muri di Parigi mille manifesti dell' Unione delle donne, associazione fondata da Nathalie Lemel (1827-1921) le cui aderenti sono in prevalenza operaie, recitano: In nome della rivoluzione sociale che acclamiamo, in nome della rivendicazione dei diritti al lavoro, all'uguaglianza e alla giustizia, l'Unione delle donne per la difesa di Parigi e per i soccorsi ai feriti protesta con tutte le sue forze contro l'indegno proclama apparso a cura di un gruppo anonimo di reazionarie. All'esperienza della "Comune" segue un femminismo di tipo liberale, sulla scia di quello inglese.
Il principio: Chi non è rappresentato in parlamento non paga le tasse ne diventa lo slogan diffuso dal giornale repubblicano La Fronde diretto da Marguerite Durand (1864-1936). La Fronde, tra l'altro, aveva anche aperto un ufficio gratuito di collocamento e Caroline Rémy (1855-1929) conosciuta come Severine, è la prima donna giornalista a vivere del suo lavoro.
Sempre a Parigi, nel 1878, si tiene il I Congresso Internazionale delle donne. Vi partecipano francesi, tedesche, italiane, svedesi, russe, polacche e inglesi. Le più audaci, guidate da Josephine Butler (1828-1906), intraprendono la battaglia contro la prostituzione legalizzata. La regolamentazione, secondo le femministe, protegge e autorizza il vizio maschile e non risolve il problema delle prostitute spesso spinte sulla strada dal sistematico sfruttamento sociale ed economico imposto dallo stato a tutte le donne. La Butler propugna un'opera di recupero di queste donne, pur riconoscendone la libertà di gestire la propria vita e sostiene inoltre che il controllo amministrativo e medico delle prostitute, costituisce un sacrificio delle libertà femminili alla schiavitù del desiderio maschile. Nei comizi denuncia e lo stupro meccanico della visita ginecologica.
La lotta per l'abolizione della regolamentazione si diffonde a macchia d'olio. In Germania, per esempio, un gruppo di donne accusa il governo di complicità dello sfruttamento della prostituzione. A Zurigo si crea uno dei centri più importanti per lo sviluppo del femminismo europeo. All'Università, nel semestre invernale 1872-73, accanto a 327 studenti si contano 110 allieve, di cui 86 provenienti dalla Russia, 5 dalla Germania, 2 dall'Austria-Ungheria e dalla Serbia, 3 dalla stessa Svizzera, una inglese e una degli Stati Uniti. R al Politecnico su 250 studenti tre sono donne, tra cui Anna Kuliscioff. Le iscrizioni femminili alla facoltà d'ingegneria, nonostante il diritto di accesso, rimanevano esigue.
Anna Kuliscioff
Anna Kuliscioff (1857-1925), di formazione marxista, abbandonato il Politecnico, ritorna in Russia per svolgere propaganda rivoluzionaria particolarmente tra i contadini. Ricercata dalla polizia, vive sotto falso nome fino a espatriare definitivamente nell'aprile 1877. Si reca prima a Parigi, poi a Lugano. Con Andrea Costa si trasferisce a Imola dove scrive per l'Avanti! nella rubrica intitolata Dalla Russia. Si tratta di una serie di corrispondenze sulle condizioni economiche e sociali del Paese.
A causa dell'attività politica viene espulsa dall'Italia e si trasferisce a Berna, dove riprende gli studi universitari di medicina, che però di nuovo interrompe per motivi di salute. Ritorna in Italia e si stabilisce a Napoli per il clima utile alla sua salute; soffre tuttavia per solitudine e ristrettezza economica. Contemporaneamente, spezza il legame con Andrea Antonio Baldassare Costa (1851-1910) e si prende cura della figlia Andreina. Intreccia una tenera amicizia con Filippo Turati (1857-1932) con il quale condivide le battaglie socialiste e la nascita del partito socialista italiano nel 1892. Dopo un lungo e faticoso peregrinare a Padova consegue la laurea.
L'attività politica la concentra nella creazione di Critica Sociale, rivista che dirige insieme a Turati già dal 1891. Le sue tesi emancipazioniste si ricollegano a una sua conferenza del 27 aprile 1890, dal titolo emblematico: Il monopolio dell'uomo. La sua azione politica deriva da un'analisi attenta della realtà socioeconomica nella quale le donne svolgevano una funzione determinante. In tal senso la sua azione, pur essendo intrecciata con quella del movimento suffragista, ne è autonoma. Ecco la ragione della celebra frase: Con le femministe borghesi si può marciare divise per colpire unite.
La sua strategia è d'includere il problema femminile nelle prospettive generali del partito socialista, per affrontare, tra l'altro, la questione della manodopera delle donne operaie. Le quali numericamente superano, al di là delle industrie meccaniche e delle miniere, la presenza del proletariato maschile, dato che le donne lavorano a domicilio, in fabbrica, nelle grandi e nelle piccole industrie, nell'agricoltura. E, pur lavorando con lo stesso ritmo degli uomini, ricevono un salario inferiore. Inoltre, nelle filande, fanciulle/i dai 9 ai 15 anni lavorano per 15 ore al giorno, dalle quattro del mattino alle otto della sera, con una brevissima pausa per il pranzo. Anche Bambini/e tra i 7 e i 9 anni di età seguono un orario tra le 13 e le 15 ore di lavoro giornaliero.
Scrive la Kuliscioff, soprannominata la dottora dei poveri: Se l'operaio deve sostenere tutte le fatiche del mondo per sbarcare il lunario, la donna operaia è addirittura un martire: dopo aver lavorato per 12,13,14 ore al giorno per un salario irrisorio, tornando a casa deve pensare a preparare da mangiare, pensare ai figli, aggiustare i pochi miseri stracci e quanti notti del sabato la donna vede l'alba senza andare a letto. Fortunata ancora se le capita un marito. Ma se è brutale, violento e prepotente, chi la difende?.
Stila così un programma: Prima di tutto a lavoro eguale salari eguali. Divorzio. Ricerca della paternità. Volto politico e amministrativo. Lavorando, organizzandoci, soltanto allora potremo sperare che la storia diventerà meno matrigna per donna e anche noi occuperemo un posto degno nella vita sociale. L'emancipazione del proletariato non potrà avvenire che per opera dei lavoratori di ambedue i sessi. Ma l'emancipazione della donna non potrà che essere opera della donna stessa.
Simile è la vicenda di Marie Popelin (1846-1913). Nel 1880, dopo tante difficoltà, s'iscrive all'università di Bruxelles e superando vari ostacoli - tra cui il fatto che non le registravano neppure gli esami - nel 1888 consegue la laurea in legge con il massimo dei voti e la lode. Ma le viene negato di prestare giuramento di avvocato dal Procuratore Generale, indignato per questa richiesta "sacrilega". Difatti la Corte d'Appello, il 12 dicembre 1888, emette il verdetto: Marie Popelin non è ammessa a prestare giuramento d'avvocato, perché questo è un lavoro da uomini e la natura particolare della donna la rende inadatta alle lotte e fatiche della vita di Legge. Il suo ricorso in Cassazione viene respinto. Un caso analogo coinvolge Lidia Poet (1855-1949), a Torino.
I primi sindacati femminili
Il decollo industriale passa per la pelle delle donne e dei minori. In Inghilterra, si verifica il fenomeno dell'accentramento di terre nelle mani di pochi. In tal modo la maggioranza delle donne perde così la propria terra e le lavoratrici del cotone esplicano la manodopera nelle nuove fabbriche. All'interno di esse assumere donne e bambini significa risparmiare sui salari senza risparmiare loro sferzate se il ritmo di lavoro diminuisce. Per le donne si delinea anche una sorta di lavoro a domicilio, sotto la direzione di un mercante-strozzino che le sottopone a notevoli pressioni con magri guadagni.
Malgrado tutto, alle inchieste governative sul lavoro femminile nell'industria, non si registra consenso da parte dei ceti borghesi circa l'impiego delle donne perché favorisce la promiscuità e dunque la corruzione; provoca la disgregazione della famiglia a causa della loro assenza da casa e della loro disaffezione ai lavori domestici. Anche negli altri paesi occidentali, i disagi del lavoro femminile registrano un comune denominatore: fatica sovrumana, salari irrisori e sfruttamento.
Al Congresso di Marsiglia, nel 1879, sono gli stessi lavoratori socialisti a dichiarare, dopo l'elogio della donna casalinga, che l'ingresso di queste nei sindacati avrebbe reso gli uomini impotenti nella lotta contro il capitalismo. Nei sindacati di matrice operaia e socialista, infatti, le donne vengono rifiutate aderenti alla Chiesa cattolica o da un movimento femminista considerato borghese.
Tra i primi sindacati femminili emergono l'Allgemeiner Deutscher Frauenverein, fondato a Lipsia nel 1865 da Louise Otto (1819-1895) e nel 1874 la Women's Trade Union League di Emma Paterson (1848-1886). Nei cortei e nelle manifestazioni di piazza, alle donne viene affidato il semplice compito di portabandiera e gli scioperi promossi da loro non trovano il sostegno dei colleghi. Di conseguenza le sommosse femminili hanno una breve durata e sono etichettate come sfogo momentaneo.
Tranne nel 1888 lo sciopero delle fiammiferaie a Londra; lo sciopero nel settore tessile a Vienna, il 1º maggio 1893: per quattordici giorni 700 operaie fermano gli stabilimenti per rivendicare la giornata lavorativa di dieci ore invece di dodici, il primo maggio festivo; il salario minimo di otto corone. E, a distanza di due anni, nel 1895 a Limoges, lo sciopero di cento giorni delle confezioniste di corsetti.
Malgrado l'impegno di queste donne né il movimento socialista né quello marxista assume la causa femminista. Solo i teorici del marxismo sposano la causa dell'emancipazione femminile grazie all'impegno di Clara Zetkin (1857-1933) la quale riesce a fare adottare lo slogan Uguale salario a uguale lavoro. In effetti, nella II Internazionale Socialista, le richieste femminili vengono di nuovo trattate con superficialità.
All'inizio del XX secolo i segni del disagio femminile permangono: dal primato del marito alla piaga dell'analfabetismo (nel 1901 si registra il 54% di donne analfabete, contro il 42% degli uomini), dalle morti per parto allo sfruttamento salariale; anche se la presenza delle donne all'Università è più consistente e si registra il fenomeno delle maestre.
Lo sviluppo dell'urbanesimo comunque diventa lo scenario di alcuni mutamenti: si consolida il lavoro femminile non solo nelle industrie; si aprono prospettive con le figure delle commesse, segretarie, impiegate delle poste, telegrafiste; muta, nelle aree agricole, la loro condizione per il prevalere dell'economia di mercato su quella di autoconsumo poiché danneggia le attività tradizionali della donna, come quella tessile. Analogo processo si verifica nelle fasce borghesi con la crisi, tra l'altro, della consuetudine della dote che accelera la critica al cosiddetto matrimonio combinato.
Nel 1902 i problemi della famiglia operaria diventano questione politica. Nella gamma delle rivoluzioni giuridiche, scoppia in vari Paesi d'Europa[1] e non solo la battaglia per il suffragio femminile. Inizia l'Inghilterra nel 1919: le donne ottengono i diritti politici con le suffragette, la cui guida è Emmeline Goulden Pankhurst (1858-1928).
La suffragetta
La suffragetta è la nuova espressione femminile. Essa ingloba posizioni radicali estreme, signore della borghesia e dell'aristocrazia, nuove intellettuali e inserisce le italiane nell'associazionismo femminile internazionale di ogni tendenza. Ne è segno il Congresso Nazionale delle donne del 1908 che affronta il tema dell'affermazione delle donne.
Del tessuto socioculturale emerge inoltre la donna che dialoga attraverso la scrittura con un vasto e vario pubblico interessato al dibattito sul disagio delle donne. Dibattito che, attraverso i giornali, fa riflettere l'opinione pubblica sulle inquietudini, i compiacimenti, le lamentele, gli interrogativi sulla donna all'Università, sul lavoro femminile, sul voto alle donne, sui mutamenti della famiglia. Il nuovo antifemminismo s'inserisce nello scontro fra i tentativi di estensione dei diritti di cittadinanza e la critica all'idea di progresso. Una forte misoginia caratterizza molti nazionalisti e alcuni futuristi, nel segno di una mascolinità carica di darwinismo sociale. Maschilismo che osteggia i processi di liberazione sessuale: al positivismo antifemminista di Mantegazza si accompagnano gli scritti antifemministi di Otto Weininger (1880-1903) e Giovanni Papini (1881-1956), per citare solo un esempio.
In Italia, nel 1910, un segno di questo conflitto emerge dalla relazione della commissione costituita da Giolitti per la questione del voto alle donne. In essa si sottolinea che il fatto che le donne partecipano ormai allo sviluppo culturale, economico e civile del Paese è sotto gli occhi di tutti; nessuno può sostenere che la donna sia intellettualmente inferiore all'uomo; ma la concessione del voto rimane sconsigliata per ragioni di opportunità politica, in quanto si potrebbe risolvere in un vantaggio per i clericali e per i socialisti e in uno svantaggio per il governo.
La Prima Guerra Mondiale fa compiere al protagonismo femminile un ulteriore passo avanti. Per la prima volta, nell'aprile 1915, co constata pubblicamente l'impegno attivo di donne associale e militanti femministe sul versante pacifista, col rifiuto della guerra; e ancora, nel dopoguerra, il loro impegno per la nascita di organizzazione internazionali, l'0educazione alla pace e l'attenzione all'infanzia. Anche sul versante patriottico, il sostegno materiale e morale alla nazione con il corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa, nato nel 1908 da una battaglia emancipatoria, delinea una nuova immagine della donna. Inoltre, per le necessità della produzione militare, le donne entrano in modo massiccio nelle fabbriche: nell'industria delle munizioni, da 1760 nel 1914 aumentano a 200mila nel 1918. Ciò innesca la domanda egualitaria e la militanza sindacale femminile.