Utente:Suor Maria Trigila/La questione neo femminista in Italia
La fatica di una nuova coscienza femminile
Le sollecitazioni dello sviluppo dei consumi, come l'influenza del cinema, contribuiscono a far maturare nella donna una maggiore consapevolezza della propria identità e della propria dignità. Con la crisi economica del 1929 le società industriali non possono fare a meno della manodopera femminile in ragione dei minori salari. In tal modo mentre cresce il numero delle madri e delle donne sposate lavoratrici, crescono i danni sociali di tale lavoro perché si attribuisce alla donna la colpa della crisi di natalità. Solo i paesi scandinavi stimolano il lavoro femminile e allo stesso tempo sviluppano strutture di assistenza all'infanzia.
In questo quadro si delinea un'attenzione per l'economia domestica, alla necessità di sostegni mirati alle coppie con figli, ma non si supera l'ottica tutta concentrata sull'economia di mercato. Lo stato sociale è in questa fase ai suoi primi passi: nasce in funzione della sicurezza del lavoratore maschio adulto, con le donne e i bambini considerati come sue emergenze.
L'investimento principale delle donne è prevalentemente sugli affetti e la vita familiare. Le associazioni femminili assumono la politica familista curando i rapporti fra famiglia e lavoro. Le donne, consapevoli o no, pongono in questi decenni le basi per una nuova concezione della coppia, dall'uso comune del tempo libero alle strategie riproduttive; scoprono il valore della sessualità; incrementano le loro competenze domestiche in rapporto al mercato; raffinano il rapporto con i figli; impongono, nelle aree più avanzate, come il Nord America, gli impegni domestici al partner. Si pongono da protagoniste attive di mutamenti sociali meno conflittuali. Con la nascita delle aggregazioni di donne professioniste e laureate, si afferma una nuova forza femminile. Cresce la scolarizzazione che darà il via, nel 1923, alle scuole miste. Con la guerra ancora in atto, le donne organizzate premono per ottenere i diritti politici. La questione, presentata al governo, è finalmente approvata. Il decreto del 1º febbraio 1945, recita: « Il suffragio universale fu esteso alle donne.»
Le donne all'Assemblea Costituente
Alla Consulta Nazionale, assemblea non elettiva che prepara la legge elettorale del 25 settembre 1945, su 430 deputati vi sono 12 donne: il principio è salvo, la quantità minima. Rimane tale dopo le prime votazioni politiche del 2 giugno 1946. A entrare nell'Assemblea Costituente, su mandato popolare, sono solo 21 donne su 573 deputati di cui 9 comuniste e 9 democristiane, 2 socialiste e una donna del partito dell'Uomo Qualunque. Nell'Ufficio provvisorio di presidenza dell'Assemblea Costituente, durato solo due giorni, entrano Bianca Bianchi (PSI) e tra i segretari Teresa Mattei (PCI) che entra a far parte, sempre come segretaria, dell'Ufficio definitivo di Presidenza. Della Commissione per la Costituzione, nominata dal presidente dell'Assemblea Giuseppe Saragat, nella seduta del 19 luglio 1946, prendono parte Maria Federici (DC), Nilde Iotti (PCI), Lina Merlin (PSI), Teresa Noce (PCI), Ottavia Penna del Fronte liberale democratico dell'Uomo Qualunque che si dimette dalla Commissione dei 75 il 24 luglio 1946.
La Commissione per la Costituzione a sua volta si diversifica in tre Sottocommissioni. Della prima sui "Diritti e doveri dei cittadini" fa parte inizialmente solo Nilde Iotti, poi anche Angela Gotelli. La seconda Sottocommissione, "Organizzazione costituzionale dello Stato" non vede alcuna donna. Ai lavori della terza "Diritti e doveri economici-sociali" prendono parte Maria Federici, Lina Merlin, Teresa Noce. Dal luglio 1946 in poi si costituiscono altre commissioni: una per i Trattati internazionali in cui entrano Maria De Unterrichter Jervolino (DC) e Maria Maddalena Rossi (PCI). Nelle Commissioni per l'esame dei disegni di legge relativi a diversi Ministeri fa parte Nilde Iotti, Adele Bei come segretaria della terza commissione. Angela Guidi Cingolani risulta l'unica donna a partecipare ai lavori della Commissione speciale per esaminare il disegno di legge sulle "Norme per l'elezione del Senato della Repubblica" nominata dal Presidente dell'Assemblea Costituente.
Gli articoli riferiti alle donne
Gli articoli della Costituzione che toccano le donne sono: articolo 3 (1º comma) « Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»; articolo 27 che riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio e specifica che il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi; articolo 31 in cui si afferma che la Repubblica, agevolando con misure economiche la formazione della famiglia, con particolare riguardo alle famiglie numerose, protegge la maternità; articolo 37 (1º comma) che dà alla donna lavoratrice gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione; articolo 51 (1º comma): Tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
Nel complesso dibattito e la consapevolezza di parlare non soltanto per sé stesse ma per tutte anima anche le donne nominate dai rispettivi partiti, tredici in tutto, nella Consulta Nazionale. « Credo proprio di interpretare il pensiero di tutte noi consultrici» dichiara Angela Cingolani Guidi nel suo primo intervento alla Consulta, il 1º ottobre 1945 « invitandovi a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e di cavalleria di altri tempi, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire.» Maria Federici nella seduta plenaria pomeridiana della Commissione dei 75, il 31 gennaio 1947, parla di Santa Giovanna d'Arco « che può dare lezioni a tutti... di attitudine, di capacità, di facoltà.»
I riferimenti alla partecipazione delle donne deportate, militanti e donne "comuni" alla resistenza sono frequenti negli interventi delle deputate di sinistra, in particolare Nadia Gallico Spano e Teresa Noce che di quella esperienza sono state protagoniste.
Angela Merlin si batte perché nell'articolo a proposito dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge si aggiunga alla frase "senza discriminazione di razza, di lingua, di religione" la dizione "di sesso". A chi le obietta che con le parole "tutti i cittadini" si indicano uomini e donne e, quindi, l'emendamento proposto è superfluo, risponde: « Onorevoli colleghi, molti di voi sono insigni giuristi e io no; però conosco la storia. Nel 1789 furono solennemente proclamati in Francia i diritti dell'uomo e del cittadino e le costituzioni degli altri paesi si uniformarono a quella proclamazione che, in pratica, fu solamente platonica, perché cittadino è considerato solo l'uomo con i calzoni e non le donne, anche se oggi la moda consente loro di portare i calzoni...» La battaglia della Merlin è la legge sull'abolizione della regolamentazione della prostituzione. Insieme alla giornalista Carla Barberi, nella pubblicazione Lettere dalle case chiuse, denuncia le violenze, gli abusi, lo sfruttamento che nascondono.
Gli anni Sessanta e Settanta: neofemminismo
Gli anni sessanta e settanta si caratterizzano per il cosiddetto neofemminismo, movimento che al suo interno conosce posizioni differenziate. Sono gli anni di un fenomeno complesso e incisivo, la cosiddetta rivolta femminista. Nasce all'interno della contestazione studentesca con cui ha in comune la denuncia della democrazia politica e dell’istruzione di massa come fattori di disuguaglianza, la critica alla funzione progressista della scienza e della tecnica.
Le donne riscoprono, all’interno del conflitto generazionale, il conflitto fra i sessi. Avvertono la necessità di pensarsi come donne oltre e fuori l'immaginario maschile da cui si sentono condizionati. Nascono e si espandono a macchia d’olio gruppi di autocoscienza, di auto-aiuto[1], il cui obiettivo é la messa in comune del disagio, la ricerca su di sé e i propri rapporti che trasmettono anche tramite fogli, pubblicazioni, documenti, manifesti. Ciò manda in tilt l'associazionismo femminile tradizionale poiché pone l’accento sulle relazioni, l’interscambio di esperienze o gli influssi reciproci tutti elementi che ricreano il Movimento di Liberazione della donna, il gruppo di via Pompeo Magno di Roma, le donne di Lotta continua, il gruppo Anabasi, la Libreria delle Donne di Milano sino alla trasformazione dell'UDI[2] con la nascita dei Centri di documentazione a partire da Bologna e il centro Virginia Wolf a Roma e poi in varie città d’Italia. Si tratta di collettivi che denunciano raffinate forme di oppressione femminile nel postindustrialismo. Lo scopo è distruggere i ruoli sociali legati al sesso perché nonostante una certa parità dal punto di vista giuridico, dell’istruzione, del lavoro e della partecipazione alla vita socio-politica, si continua a considerare la donna come un essere in “funzione di”.
Negli anni del boom economico il mondo della produzione apre le porte alla donna impegnata a conquistare una sorta di liberazione soprattutto sul piano sessuale, sulla ridefinizione della soggettività e sul significato della sua presenza sociale di cui il processo per l’emancipazione degli anni precedenti rimane il trampolino di lancio. Difatti dal 1970 in avanti piuttosto che parlare di movimento femminista si discute di Movimento delle donne. In Inghilterra le donne indagano nella storia e nella psicoanalisi per costruire la ‘storia della donna’; in Francia studiano la questione dell’aborto e degli stupri; In Italia il gruppo Demistificazione Autoritarismo (DEMAU), per citare solo un esempio, approfondisce da un punto di vista culturale la questione femminile denunciando il circolo vizioso in cui si erano mosse le battaglie dell’emancipazione: da una parte il tentativo di spianare la strada per l’inserimento nel mondo produttivo e sociale, dall’altro la richiesta di provvedimenti per liberare la propria libertà.
Le proposte del neofemmminismo
È evidente che il concetto di liberazione inteso come processo interiore di essere soggetto autonomo e scoperta di identità, propone dunque un cambiamento di modelli istituzionali e culturali per costruire una società non più solo androcentrica. Per queste ragioni alcuni gruppi, tra cui le militanti di sinistra, si allontanano dall’area contestatrice del ’68.
Il neofemminismo propone una rivoluzione culturale che va oltre la “questione femminile”. Non più l’uso del ‘femminile’ in termini di rivendicazione ma come termine alternativo e propositivo. La ‘diversità’, infatti, usata storicamente per emarginare la donna viene intesa come ricchezza per ampliare le possibilità creative della società; riconoscendo così alle donne un compito storico di responsabilità verso l’umanità di cui la lotta intrapresa acquista valore intrinseco di trasformazione. Il movimento sviluppa la riflessione sulla differenza incrementando altresì gli studi sulle donne, puntando, tra l’altro, sul mutamento delle coscienze attraverso le relazioni personali. Si tratta di una novità di valore etico che segna la politica delle donne e che riconsidera in altra ottica il riappropriarsi del corpo come parte di sé, nella sessualità, nella medicina alternativa.
Il neo femminismo si riappropria anche della maternità, considerata come destino, possibilità o rifiuto, a cui il corpo della donna non può sottrarsi. Rifiuta ogni strumentalizzazione del ruolo ed esige mezzi e strutture per garantire alla donna i diritti individuali e sociali acquisiti. Il movimento, in Italia, con la legge 194 (libertà di aborto) troverà una sorta di identificazione simbolica anche a carattere mondiale. In Italia, inoltre, sostenuta in una prima fase dalla pressione del partito radicale, come per il divorzio, verrà assunta dal movimento femminista come autodeterminazione della donna. Gli effetti della rivolta neofemminista, comunque, segnano la vita socio-politica: si afferma una nuova pratica della trasgressione e della provocazione; le lotte femminili provoca, per la prima volta, l'interruzione anticipata delle due legislature sui temi del divorzio e dell'aborto; annulla, provocando il fallimento di due referendum, il progetto abrogazionista e stimola, dal 1976, un mutamento consistente del voto femminile.
Ulteriori percorsi e riflessioni
Dopo gli anni caldi il movimento femminile segue vari percorsi e la riflessione si concentra sulla differenza intesa come pluralità di modi e di significati dell’essere donna. Le femministe USA sviluppano il modello della mutualità, termine alternativo ai concetti tradizionali di dominio politico e religioso. Diffondono l’idea di un filo rosso che lega profondamente le persone e queste all’universo.
Il panorama ideologico femminile sollecita pareri discordi: Anna Maria Macciocchi propone non parlare un movimento di liberazione delle donne ma «ad opera delle donne»; Betty Friedan (1921-2006) considera segno di una nuova politica umana il «riappropriarci del nostro capitale umano per affermare che i legami familiari possono farci evolvere e nutrirci attraverso tutti i mutamenti della vita, dicendo il nostro nome, finalmente, da donne e uomini»; l’area cattolica parla di fase radicata in un’antropologia della «reciprocità» che accetta la differenza come necessaria, reciproca, fonte d’uguaglianza e libertà indispensabile fonte di incontro tra diversi. Alla riflessione sulla reciprocità contribuiscono femministe di diverse ideologie e teologhe di varie confessioni. Alcune frange femministe, radicate in quei dogmatismi che hanno dato il loro apporto alla fase emancipazionista, manifestano titubanze ad entrare in questa prospettiva. Il timore è sottolineato da una realtà sociale in cui convivono uguaglianza e disuguaglianza, rispetto e mancanza di riconoscimento della dignità della donna, giustizia e ingiustizia nei confronti della donna all’interno degli spazi sociali e discrepanza tra i diritti riconosciti ufficialmente e la pratica.
Dalla complementarità alla reciprocità uomo donna
Il movimento delle donne evidenza la richiesta di nuovi obiettivi per la ricerca costante di identità, del ruolo e status in una società in continuo cambiamento. Per chi intraprende il discorso della reciprocità il dibattito si sposta dalla rivendicazione della parità alla rivendicazione di una soggettività femminile come ricerca di ricchezze e potenzialità intrinseche all’identità. Il concetto di reciprocità esclude l’assimilazione della cultura maschile come unica possibilità di uguaglianza. A questo mutamento contribuiscono i cambiamenti culturali e i nuovi sistemi di produzione e di riproduzione. Il desiderio di riappropriazione dell’identità manifesta la maturazione di un tempo che instaura e accoglie la tessitura di una nuova alleanza tra uomo e donna, entrambi bisognosi di riconoscersi, ritrovarsi e camminare insieme. Sono interpellate le scienze della cultura cattolica e laica per ridefinire identità e differenza su nuove basi che aiutino a superare il concetto di complementarità. La reciprocità, infatti, non toglie spessore alla continua ricerca di uguaglianza vista innanzitutto come rispetto della differenza e poi come difesa dei diritti di parità acquisiti.
La reciprocità presuppone e supera allo stesso tempo uguaglianza, parità e complementarità. Implica dono, scambio, prospettare e realizzare nuove relazioni fra le persone nei diversi ambiti della vita umana; offre un risvolto nuovo al progresso per costruirlo non “come” ma “con” gli uomini. Sia gli uomini che le donne, in un reciproco rispetto, portano insieme la responsabilità del destino dell’umanità. Ciò significa che i rapporti di reciprocità vanno estesi anche nell’ambito del lavoro ritmato e organizzato considerando il rapporto della donna con la maternità e dell’uomo con la paternità nel rispetto delle differenze biologiche. Non si prospettano spazi lavorativi propriamente maschili o femminili, ma modi maschili e femminili di svolgerli.
La reciprocità supera la stessa questione femminile perché abbraccia l’ambito dell’alterità nelle differenze, nelle minoranze, nei rapporti sociali, politici ed economici. Tende ad essere la prospettiva che apre orizzonti a una nuova umanità e alla pace, a una organizzazione del lavoro centrata sulla persona e sul bene comune che privilegia la qualità della vita e del vivere sociale; alternativa per uno sviluppo possibile e integrale che non discrimina ma dialoga con la differenza su una piattaforma di uguale dignità. In tal senso la battaglia della donna è la battaglia di tutti.
Instaurare rapporti di reciprocità significa superare la comprensione del privato come specifico femminile e del pubblico maschile, dell’umanitarismo proprio della donna e della scientificità dell’uomo, attributi che portano a divisioni sessualisticamente motivate di sfere e ambiti; indica l’abolizione di schemi, modelli, obiettivi e ritmi maschili per trasformarli in dualici. Ciò sconvolge la tradizionale e pur attuale visione economica non meno delle istituzioni che obbediscono a una legge di mercato di una società e di una politica pensata e organizzata solo da una parte dell’umanità.
La reciprocità suggerisce inoltre che la donna non deve essere un fenomeno di discriminazione, ma di diversificazione, capace di dare apporti “altri” alla collettività e ai rapporti sociali, titolari di garanzie per esigere pari opportunità nel lavoro e nella famiglia. Le conquiste femminili si trasformano perciò in conquiste e patrimonio per tutti perché possono realizzare un nuovo equilibrio tra i ruoli familiari e lavorativi, tra pubblico e privato, tra crescita economica e crescita umana.
Gli anni Ottanta e Novanta
Gli anni Ottanta e Novanta conoscono una notevole accelerazione della visibilità femminile. Si registra una tendenza crescente al sorpasso femminile nei dati della scolarizzazione: le ragazze investono più dei maschi negli studi, conoscono meno fallimenti e dispersioni scolastiche. Si moltiplicano i successi professionali femminili in campi nuovi, a partire da quello imprenditoriale. Le donne si affermano, vincono concorsi, soprattutto in magistratura. Sono protagoniste nel mercato, nella moda, nello spettacolo come attrici e registe; nell'editoria come scrittrici e imprenditrici; rompono la barriera della visibilità nei telegiornali. Successo e carriera determinano così la lobby delle “Donne in carriera”. Contesto arricchito da congressi, commissioni e organismi ONU e CEE che fanno sì che le donne elaborino strategie e piani di azioni.
Difatti nascono nel 1984 la Commissione per le Pari Opportunità fra uomo e donna presso la Presidenza del Consiglio; il Comitato per l'attuazione del principio di parità di trattamento fra lavoratori e lavoratrici preso il Ministero del Lavoro; il Comitato per le pari opportunità presso il Ministero della Pubblica Istruzione; il Ministero degli Esteri inaugura un ufficio donne e sviluppo per quanto riguarda la cooperazione italiana. Si costituiscono Comitati, Consulte delle donne presso le autonomie regionali e comunali che approvano nuove leggi per la parità sul lavoro, nell'imprenditoria. Le parlamentari intervengono, tra l’altro, nella stesura delle finanziarie annuali e nel 1996 nell’approvazione della legge contro la violenza sessuale. Traguardi vengono raggiunti nelle nomine di donne al Governo con la nomina della Ministra per le Pari Opportunità. Ma alla istituzione del Ministero si è giunti dopo un percorso a tappe, il cui primo passo è stata la Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra uomo e donna. Instituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nel 1984. La Commissione Parità [3] ha visto definiti i suoi ruoli, competenze, composizione, durata, disponibilità finanziaria dalla successiva legge n.164 del 22 giugno 1990, la quale ha stabilito le norme sulla composizione e i compiti della Commissione al comma 2 dell'articolo 21 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
Accanto alle due tipologie fondamentali di femminismo laico e cattolico, in questi ultimi vent’anni si aggiunge quello religioso. Il primo iniziato con la rivendicazione dell’uguaglianza ha successivamente sottolineato la differenza, fino a tematizzare poi la reciprocità uomo/donna. L’itinerario del femminismo maturato nell’area cattolica, partito con il superamento dell’inferiorità della donna per affermare la sua diversità, e, pressappoco in occasione del Concilio Vaticano II, ha tematizzato l’uguaglianza spingendo a ricentrare il messaggio evangelico attraverso la valorizzazione della voce femminile. La tematizzazione del “femminile” all’interno della vita consacrata è un processo iniziato da alcuni decenni fino a diventare coscienza collettiva con la pubblicazione della Mulieris dignitatem.
I tre percorsi attualmente convergono in un confronto di istanze comuni: la trasversalità (oltre le appartenenze socioculturali ed ideologiche), l’ecumenicità (oltre le appartenenze religiose), l’universalità (l’attenzione ai problemi di vasta portata). Il femminismo subisce così un cambiamento di rotta: da questione sociale a questione culturale.
Le pari opportunità in Italia
La Commissione, pensata come struttura di supporto della Presidenza del Consiglio dei Ministri nelle relazioni con gli altri Paesi per quanto riguarda le tematiche femminili, ha avuto il compito di promuovere l'uguaglianza tra i sessi rimuovendo ogni discriminazione diretta e indiretta nei confronti delle donne e ogni ostacolo di fatto limitativo della parità. Era costituita da ventinove donne, nominate dal Presidente del Consiglio dei Ministri con proprio decreto, delle quali sette prescelte nell'ambito delle associazioni e dei movimenti delle donne maggiormente rappresentativi sul piano nazionale; undici dall'ambito delle competenze femminili dei partiti politici; tre dall'ambito delle organizzazioni sindacali dei lavoratori; quattro dall'ambito delle organizzazioni imprenditoriali e della cooperazione femminile; e, infine, quattro prescelte tra le donne che spiccavano in attività scientifiche, letterarie e sociali. Successivamente, con decreto del 12 luglio 1996, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha affidato alla Ministra per le Pari Opportunità alcune competenze in tema di parità, che si affiancavano a quelle della Commissione nazionale. Da qui, il concetto di pari opportunità tra uomo e donna si amplia abbracciando nelle deleghe la cultura delle differenze, qualità ed equità sociale per uomini e donne. E alla Ministra viene affidato , tra l'altro, il compito di coordinare le politiche istituzionali di parità in Italia e di far avanzare una politica di partecipazione. Si creano in tal modo il Comitato per le Pari Opportunità presso il Ministero della Pubblica Istruzione e quello presso il Ministero del Lavoro e della previdenza Sociale. S'istituiscono infine Comitati Pari opportunità nelle aziende e negli Enti pubblici.
Armonia in rosa
L'8 marzo 1996, a Roma avviene il 1° confronto pubblico suore/movimento delle donne. Ad organizzarlo è stata Suor Maria Trigila (1955-), Figlia di Maria Ausiliatrice.[4] Sull’apertura di un dialogo tra le suore italiane e il movimento delle donne Madre Lilia Capretti,[5], Livia Turco,[6]suor Emmanuelle-Marie,[7]Alessandra Bocchetti,[8] si confrontarono, in occasione della festa delle donne, sul tema "Che cosa vuole una suora". Per la religiosa promotrice voleva rappresentare «l’inizio di un qualcosa che ci farà sentire impegnate nella proposta di una nuova immagine della donna. É necessario essere significative insieme, perché la scelta vocazionale non modifica il dato di fondo: essere donna».[9]
L’8 marzo simboleggia il cammino di ricerca e riappropriazione di identità, di dignità e di contributo che le donne possono dare alla società. Rappresenta alcune grosse conquiste di autocoscienza femminile per riaffermare lo spirito di Pechino e cogliere le sfide morali, culturali e sociali che la comunità internazionale affronta sul fenomeno donna. Nella Tavola rotonda si ribadì che le suore non apprezzano una insignificante mimosa, ma di quanto fosse necessario confrontarsi al di là delle ideologie: una mimosa significante per un XXI secolo non al femminile, ma all’insegna della "reciprocità" per consentire a tutti di individuare il radicale fondamento antropologico della dignità della donna.
Così, la Tavola rotonda svoltasi nella libreria AVE di via della Conciliazione, non lontano dalla Basilica di S. Pietro, vede per la prima volta tre suore e due femministe storiche. Dialogano insieme per provare a declinare l’essere donna da una prospettiva inedita, alla ricerca di un minimo comune denominatore per un’azione coordinata allo stesso fine: promuovere nella società una presenza femminile più consapevole e matura, una presenza non omologata. Cinque donne che della situazione delle donne conoscevano, in particolare, la cura dell’umano, la cura del dialogo nel mantenimento dell’alterità e nella ricerca dell’unità. La cura del dialogo nella differenza. La Tavola rotonda si pose così nel tessuto socioculturale ed ecclesiastico dell'Italia come una provocazione.
«Siamo alla ricerca del volto femminile per una ricomprensione dell’umanità. Donne che vogliono realizzare se stesse con un’apertura al trascendente e agli altri. La nostra è stata sempre una presenza silenziosa e nascosta, ma operativa ed efficace; forse, proprio da questo silenzio sono maturate le parole che oggi la donna consacrata può dire, senza scendere a patteggiamenti. Da questa consapevolezza nasce il desiderio di camminare insieme, in reciprocità, e di continuare un dialogo, già aperto, con altre donne che vogliono ridare un volto femminile alla società e alla chiesa». Introdusse con queste parole il dibattito Madre Lilia Capretti.[10] «Vogliamo essere segno di riconciliazione e di trasparenza. Ci sentiamo perciò solidali con tutte le donne del mondo, soprattutto con coloro che sono offese nella loro dignità di persone. Nello stesso tempo ci rivolgiamo alle donne perché siano esse stesse vigili sentinelle della loro dignità».
L'esperienza di suor Emmanuelle Marie
La risposta di suor Emmanuelle Marie (1932-)[11] alla domanda: Che cosa vuole una suora? consisteva nell'avere la libertà di vivere l’essenziale della vita. «La suora sotto l’apparente sacralità del ruolo, è una donna come tutte, in cerca di attenzioni, d’identità, di sicurezza. Non basta essere battezzati per vivere l’illuminazione offerta dall’interiorità, non basta essere una suora per trovare subito l’equilibrio, la certezza della presenza del bene nella propria esistenza e nel mondo.[12] Che cosa vuole una suora? Ecco una suora desidera per sé e per gli altri che tutti possano gustare la forza della vita, ripartire nella fiducia, qualunque sia stata la strada percorsa, senza l’intoppo di un’etichetta appiccicata come una zavorra sul cuore. Dio non guarda al passato ma è toccato solo da ciò che siamo oggi. Per dimostrarlo ad una società imbrigliata nei divisori sociali e morali, nella mia comunità ci siamo donne venute da una storia cristiana lineare e donne con una vita travagliata così come era stato agli inizi della mia congregazione, nella nuova comunità nessuno avrebbe potuto distinguere chi veniva dal marciapiede da chi usciva dalle impalcature sociali della borghesia puritana dell’800. Noi non sappiamo nulla del passato le une delle altre, perché viviamo insieme l’oggi di Dio, in un amore fraterno che cerca di non giudicare e che non si scandalizza. Siamo state forse prigioniere del nostro desiderio di amore, schiave di noi stesse e di coloro ai quali o alle quali offrivamo le nostre attenzioni in cambio di uno sguardo che ci facesse esistere e che non ottenevamo mai.
Anche chi viene da una vita "a posto" si accorge rapidamente che i bassifondi non sono riservati a chi viene dal marciapiede, ma si ritrovano a tutti i livelli della scala sociale. Tutte eravamo segnate dalla stessa ansia di uno sguardo che ci facesse esistere. Lasciandoci attraversare dal Bene che è Dio e che è presente dove c’è amore, creiamo uno spazio di libertà che permette al desiderio esistenziale di emergere e comunicarsi a tutti quelli che incontriamo. Noi, suore, abbiamo scommesso la nostra esistenza sull’amore che non passa, dando tuttavia alla transitorietà tutta la sua preziosità, perché ogni istante è carico d’eternità, di studio e di bellezza nella liturgia, spazio speculare per trovare la strada verso noi stesse, la liberazione delle nostre dipendenze, la nostra vera identità di donne. [13] La vita religiosa offre al corpo, ai gesti, un valore nuovo: inizia il tempo della nascita dell’essere vero che non morirà, dell’autenticità tante volte rincorsa e ora raggiungibile attraverso la ricerca senza frode del bene comune. La suora ripete i gesti di tutte le donne, ma non più per possedere, brillare o soddisfare desideri sempre più schiavizzanti, ma per trovare il coraggio di infrangere le leggi del mondo che passa, gli obblighi alla bella figura, l’individualismo, ladro della relazione gioiosa.
Riappropriandoci di ciò che ci appartiene, anche dei nostri errori, dei nostri limiti, calati ormai nell’immensa fiducia dell’altro, possiamo trasmettere la certezza che da ogni male può sorgere un bene maggiore. La castità non deve essere disprezzo del corpo femminile; anzi, essa suppone un grande rispetto per il corpo, non la sua mortificazione. La castità fa crescere e maturare la sessualità. Se la sessualità è liberata, diventa una forza molto grande per l’evangelizzazione. A che cosa serve una suora di vita contemplativa? non ha nessuna efficacia produttiva, non svolge neanche un’attività assistenziale con tutto il bene che si potrebbe compiere a servizio dei poveri, come dice la gente. La nostra vita è perfettamente inutile: siamo semplicemente consacrate allo stupore. Eppure tante persone vengono da noi per qualche giorno o qualche ora a condividere il nostro silenzio, a respirare un clima d’interiorità, di riconciliazione, a ricevere quel perdono squisitamente femminile, che scorge dietro l’offesa, una ferita da guarire. Vogliamo toccare Cristo nell’esistenza dei fratelli, li vogliamo ungere con la nostra comprensione radicalmente esente da giudizio o scandalo, perché possano concedersi di mostrarsi come sono, liberi da ogni maschera; vogliamo toccare il loro cuore per trasmettere loro la certezza che, a qualunque punto siamo, se siamo lì è perché Dio ci ama».
L'esperienza di Livia Turco
«Vivo questo incontro come evento importante, evento collettivo e individuale che mette in soffitta due stereotipi diffusi: suore buone da una parte, femministe cattive dall’altra. É, invece, questa di oggi una testimonianza concreta per esprimere al meglio la propria identità. Chiedo: evangelizzateci, aiutateci a sentire più donna la Chiesa,[14] assieme percorreremo la strada che porterà ad essere più consapevoli, a contare di più, a saper agire meglio e più efficacemente. Un esempio per me sono stati i documenti inviati rispettivamente alla IV Conferenza Mondiale dell’ONU sulle donne Niente più violenza e sfruttamento e la Lettera Aperta delle Figlie di Maria Ausiliatrice[15] alla III Conferenza Mondiale del Cairo su Popolazione e Sviluppo. In questa lettera, le religiose esprimono il loro consenso circa alcune espressioni del Capitolo IV della bozza che sottolinea appunto l’educazione come uno dei mezzi più importanti per la donna al fine di acquisire le conoscenze, le abilità e la fiducia in sé necessarie per la partecipazione piena al processo di sviluppo. Il testo della lettera, che rappresentava il pensiero di circa 17mila religiose, è determinato dalla loro competenza in campo educativo. Per questo affermano che la vera partecipazione e decisione, specie della giovane donna, ai servizi di salute riproduttiva non può essere assicurata dalla sola informazione sui servizi stessi, ma deve avere alla base un’educazione alla sessualità come percorso non individualistico, ma di comunione.
Le suore possono aiutarci a costruire nei fatti una cultura ed una pratica di vita. A costruire una società accogliente nei confronti della vita umana. Questo è possibile attraverso una valorizzazione - economica, sociale, culturale e politica - della storia di genere femminile, delle abilità che nel corso della medesima le donne hanno acquisito: l’educazione, le attività di cura e di formazione delle persone. Costruire un società accogliente nei confronti della vita umana significa indicare e concretamente porre la maternità come misura della società medesima. Misura dei suoi tempi, in particolare del tempo di lavoro; della organizzazione sociale e quotidiana; della distribuzione delle risorse. La maternità come metafora di una società che sa accogliere le persone in tutte le fasi del ciclo della vita.
É un falso pensare che l’estensione della cittadinanza politica delle donne comporti una svalutazione e riduzione - sia sociale che individuale - della maternità e del lavoro di cura. Al contrario, è la svalutazione economica, sociale e culturale del lavoro di cura e della maternità che hanno impedito ed impediscono alle donne il pieno accesso nella polis, l’esercizio pieno della cittadinanza politica. Le suore possono aiutarci a prendere il potere ed a cambiare la politica. Questo è un nodo irrisolto nella pratica delle donne. Vi sono pesanti ostacoli che impediscono l’accesso al potere da parte delle donne. I rapporti di forza restano molto sfavorevoli per le donne per il modo con cui oggi è la politica. Ma vi è anche una interiorità femminile che di fronte al potere è ambivalente: sente che è importante ma lo teme, a volte fugge di fronte ad esso. Oggi il potere è troppo connesso ad una immagine degradata della politica. Troppo poco esso appare come esercizio del bene comune, come governo della realtà, come assunzione di una responsabilità. Le donne sono escluse dal potere e dalla politica istituzionale ma si sentono anche ad essi estranee. Le donne vorrebbero cambiare il potere e la politica ma ciò appare impossibile. É come essere in un circolo vizioso, in un labirinto in cui è difficile trovare il filo di Arianna.
Voi potete aiutarci a trovarlo. Sollecitandoci ad investire su noi stesse, nella nostra educazione e quella dei nostri figli, ad accrescere le nostre abilità, la nostra sicurezza, le nostre competenze. Ad avere fiducia in noi stesse. Voi potete aiutarci a rendere forte la nostra interiorità, ad osare, ad esporci, a prendere la parola, a rischiare. Voi potete aiutarci a prendere il potere senza innamorarci del potere; a dotarlo di un senso e di una finalità, a saper dire: ora basta, ora guardo altrove. Viviamo in un mondo sempre più unico ed interdipendente. Per governare il mondo si sta affermando un nuovo concetto di sicurezza che si basa sulla valorizzazione delle risorse umane, ambientali, culturali. La formazione delle donne è sempre più considerata un aspetto cruciale per creare sicurezza, benessere, sviluppo e pace. Le donne sono le costruttrici di una cultura della pace che si basa su stili di vita più umani, su una concezione del benessere e dello sviluppo che riconosce anzitutto diritti di cittadinanza universali e favorisce la partecipazione democratica.
Le religiose devono essere parte di questa azione ed hanno un ruolo importante nella promozione della dignità e della libertà femminile. A voi chiediamo di far sì che il messaggio religioso sia sempre più un messaggio di pace e di promozione umana. A voi chiedo, evangelizzateci, accoglieteci nella Vostra comunità, aiutateci a scoprire il messaggio di liberazione contenuto nel Vangelo. Fate sentire più donna la Vostra Chiesa. I recenti discorsi del Papa alle donne sono un fatto di grande rilievo. Mi chiedo e chiedo a Voi: quanto contano nella Chiesa, cosa e quanto cambiano la Chiesa? Vi propongo un seminario per approfondire l’incontro di oggi e verificare come si può lavorare insieme. Affinché questo incontro non sia un episodio ma l’inizio di un cammino di condivisione e di amicizia».
L'esperienza di Alessandra Bocchetti
«Il mio femminismo non protesta, perché la via della protesta non porta alla libertà, ma questa nasce dal pensare e dal pensarsi a partire dalla propria esperienza e dalla propria storia. Solo così è possibile colmare la distanza tra l’idea scadente di donna e quello che la donna è realmente. C’è liberazione quando si rompono le catene della schiavitù, quando si vince la miseria. Altra cosa è il lavoro per la libertà femminile. La cultura della differenza ha il realismo dello sguardo materno che non vede uguaglianza ma simiglianza. Certo, non tutte le donne devono essere madri ma tutti, tutte, abbiamo avuto una madre. Anche il Papa non sarebbe diventato tale senza le carezze di una madre. Non si possono risolvere i problemi, oggi, senza la cultura dell’altro, senza uno sguardo capace di conoscere e riconoscere l’essere umano nella sua debolezza e questo nasce solo da uno sguardo di madre. Una cultura della debolezza dovrebbe prendere il posto di una cultura della forza, ma questo cambiamento lo può realizzare solo la donna. Non abbiamo per questo rivendicazioni da fare, ma mostrare semplicemente quello che siamo».
L'opinione pubblica sull'evento storico
Le donne suore e le donne laiche occuparono gli spazi di tante Testate giornalistiche, radiofoniche e televisive.[16] Miracolo a Roma. Il femminismo a San Pietro. Dopo gli inni di Woityla alla Donna, un incontro al vertice femminile laico-religioso. La notizia e i precedenti.[17]La notizia, pubblicata su "La Repubblica": Piace anche ai Vescovi l’iniziativa delle suore che per la festa dell’8 marzo hanno aperto pubblicamente un dialogo con il movimento delle donne, segnalata da mons. Alberto Ablondi (1924-2010), vescovo di Livorno e vice presidente della Conferenza Episcopale Italiana scrisse: “Vedo con simpatia l’apertura di un dialogo tra le suore italiane e il movimento delle donne. La Chiesa è dialogo. Il lungo viaggio del femminismo che si è realizzato nella storia anche con dei limiti e degli errori, non è ancora finito. Solo apparentemente la donna ha raggiunto il massimo della parità e della dignità che le compete. Il corpo della donna, ad esempio, è ancora slogan per la birra, per le automobili, per i profumi». La dichiarazione di Mons. Ablondi era come auspicio per un’eventuale ‘battaglia’ di opinione.
«Da vestali della casa, le donne sono diventate attrici del terziario avanzato, in molti casi hanno raggiunto la stanza dei bottoni, scriveva Miryam Castelli su Avvenire. Certo è - continuò a scrivere - «che è sulla donna che si riflettono le luci e le ombre di un’epoca di transizione. Razionalismo, efficientismo, dominanza, competitività e formalismo vuoto nei rapporti, prevaricazione delle cose e delle strutture sulle persone, sono situazioni caratterizzanti la nostra società e che possono essere sanate solo grazie ad un recupero di reciproca accoglienza, fondata su una attenzione profonda all’altro, un recupero di dimensioni come l’ascolto, l’attenzione alla concretezza dei progetti, all’unità. Di fronte alla difficile crisi d’identità che la donna ha vissuto si fa strada oggi la necessità storica di donne che sappiano testimoniare e promuovere in ogni settore della vita umana i valori dimenticati dell’accoglienza, della concretezza e della quotidianità delle risposte, della gratuità. E allora come non vedere tutto questo già presente e vissuto dalle donne consacrate? É consolante notare che l’apporto delle suore venga visto da tutti, oggi, come indispensabile per la pienezza non solo della Chiesa ma anche della città dell’uomo. Ecco allora l’unico senso - per ora - delle suore alla ribalta: non tanto per dare la spalla al vecchio femminismo, quanto per fedeltà al progetto di Dio sull’umanità».
Scriveva Il Messaggero: «Da una parte le suore che strizzano l’occhio alle femministe, "abbiamo tanto da imparare da loro", dall’altra le femministe che chiedono una mano alle suore, "aiutateci a prendere il potere e a cambiare la politica", mentre già scorrono il calendario per il prossimo appuntamento. Diavolo di un otto marzo».
«Cosa vuole una suora che non voglia anche una donna? Entrambi sono impegnate ad affermare la libertà, la differenza; entrambi sono vigili sentinelle della “propria identità”; orientate a costruire una “cultura della vita e dell’accoglienza, a difendere la loro e l’altrui dignità». Sottolineava Adista, il cui titolo era Libere di essere donna. Il femminismo in convento.
Adriana Zarri(1919-2010) sulla rivista Rocca apriva l’articolo: Contro corrente. Suore e femministe atto primo scrivendo: «Diceva un papa (non ricordo più quale) di quest’ultimo mezzo secolo: “noi amiamo tanto le tradizioni che non esitiamo a crearne di nuove”. Però, di solito, non è il papa, l’autorità, la gerarchia che crea le tradizioni ma il popolo, la base. In una sana fisiologia sociale le tradizioni nascono dal basso, hanno un’origine popolare. Poi l’autorità le accoglie (quando le accoglie) e le convalida; e, sul piano ecclesiale, può darsi che una tradizione addirittura confluisca nella Tradizione maiuscola: quella grande traditio che, insieme alla Scrittura, è criterio di fede. É quindi abbastanza ovvio, anche se non rilevato abbastanza dalla stampa, che il recente incontro tra suore e femministe, avvenuto a livello ufficiale tra laiche investite di cariche politiche e suore dirigenti e rappresentanti dell’USMI sia stato non l’inizio ma l’esito finale di un lungo periodo di incontri a livello informale e privato e che ora finalmente si formalizzano, assumendo una pubblicità e un’ufficialità che prima non aveva. Questo è stato possibile per il convergere di varie circostanze. Da parte religiosa un indubbio fermento che sommuove le acque un tempo troppo spesso stagnanti dei monasteri e conventi femminili. E, al vertice, un Papa che guarda molto al mondo delle donne e si direbbe che quasi voglia farsi perdonare se ritiene di non poter loro concedere i ministeri ordinati. Forse non tutte le suore, presenti all’incontro di Roma, (e alcune versate in teologia) condividono quell’impossibilità; ma l’argomento (come altri altrettanto spinosi) venne accuratamente accantonato. Quell’incontro - avvenuto nella significativa data dell’otto marzo - era un momento di gioia, di reciproco riconoscimento, nel generale convenire su molti temi (quasi tutti) e non si è voluto turbarlo».
Il quotidiano L’Indipendente emergeva con queste parole: «Suore e femministe per la prima volta insieme. Di più: perfettamente d’accordo. Di più ancora... più volte è sembrato che suore e femministe si scambiassero i ruoli. Infine l’applaudito appello di una suora salesiana: Per misurare la propria altezza bisogna alzarsi in piedi. É giunto il momento che le donne si alzino», Si conclude così l’articolo di Micaela Paola, dal titolo: Suore, scuola di femminismo.
«Nel primo incontro pubblico si scoprono più simili del previsto. Insieme lanciano un preciso appello: Dobbiamo alzarci in piedi, rivendicare i nostri diritti e non prestarci più a strumentalizzazioni di sorta», sottolineava nell’occhiello il Giornale di Sicilia. Anna Lisa Martella scrive sul Messaggero: “Parole semplici, concetti forti, quasi provocatori e al limite dell’eresia, forgiati da suor Emmanuelle-Marie, vera mattatrice della tavola rotonda, coltissima domenicana di Betania”.
Il Corriere della Sera pose in prima battuta espressioni come: «Si sono trovate d’accordo su tutto o quasi, suore e femministe; hanno voluto dare l’avvio a un dialogo destinato a proseguire e forse a istituzionalizzarsi. D’accordo persino sulla necessità di una maggiore presenza di donne nelle liste elettorali». E nel sommario sottolineava: “Sentiamo il bisogno di pensare insieme”. Nel quotidiano L’Unità scriveva Letizia Paolozzi «8 marzo: nuove speranze. Mimose, feste e dibattiti, ma soprattutto riflessioni. Suore e femministe un abbraccio storico».
Il Tavolo dei diritti umani
Dalla Tavola rotonda nacque una collaborazione di pensiero tra suore e laiche. Venne istituito un Tavolo di concertazione di 15 donne,[18] coordinato da Suor Maria Trigila, persone diverse per estrazione culturale, convinte e decise, però, a muoversi insieme con interventi significativi e propositivi. Difatti Il Manifesto firmato dalle partecipanti, in accordo con i gruppi di appartenenza, era: Donne insieme verso il 2000 per la promozione della dignità della donna.
Dopo 20 mesi di confronto tra donne, l'occasione che si sarebbero celebrati nel 1998 i 50 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ebbe il consenso da parte di tutte a far giungere all'ONU un contributo concordato non solo dal Tavolo delle donne ma che aveva coinvolto altre donne del mondo della cultura, del sociale, della politica e la fascia dei giovani. Venne inviata all'ONU l'ipotesi di riscrittura al femminile della Dichiarazione Universale dei diritti umani. Con questa Carta proponevano, tra l'altro, il linguaggio incluso e l'attenzione verso le bambine sia le laiche sia le suore italiane avevano posto un segno alla Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo di cui Maria Rita Saulle (1935-2011) era presidente in quegli anni.[19]
Note | |
| |
Bibliografia | |
|