Mistero: differenze tra le versioni

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====Dio é mistero solo per le creature====
 
Innazitutto, [[Dio]] è ''mistero non a se stesso'' perchèperché tutti i segreti, pur se celati nelle tenebre come attesta {{pb|Dn|2,22b}}, sono conosciuti da Lui in quanto le tenebre non sono oscure per [[Dio]] come attesta {{Pb|Sal|138,12ab}} anzi, per Lui le tenebre sono come luce stando alla glossa aramaica costituente {{Pb|Sal|138,12c}} secondo la versione del [[testo masoretico|testo masoretico]] e della [[Bibbia CEI|Bibbia della C.E.I.]] ma non di [[Bibbia di Gerusalemme|Bible de Jérusalem]] che non contiene tale glossa.
 
Solo [[Dio]] conosce tutti i segreti in quanto Egli conosce la via per giungere sino al luogo dove si trova la sapienza come attesta {{Pb|Gb|28,23}}. [[Dio]] solo ha visto, misurato, compreso e scrutato la sapienza come attestato in {{Pb|Gb|28,27}} secondo la versione di cinque manoscritti fra i quali non si annovera il [[testo masoretico|testo ebraico]] che non utilizza la parola ''hebînah'' ma il termine ''hekînah'' e, quindi, non intende che [[Dio]] abbia compreso la sapienza ma che "l'abbia stabilita" o "l'abbia fondata", con la conseguenza che [[Dio]] abbia scrutato la sapienza nel senso che "l'abbia verificata", "ne abbia testato la validità" o "l'abbia provata": del resto tale intepretazione dello scrutare la sapienza da parte di [[Dio]] trova conferma sia in {{Pb|Bar|3,32a}} che in {{Pb|Sir|1,7b}} inteso, quest'ultimo, alla luce di {{Pb|Sir|1,7a}}.
* in {{Pb|Gb|28,21b}} come inaccessibile per le altre creature perché ne ignorano l'esistenza.
 
Alla luce di {{Pb|Bar|3,31}} si può affermare sia che nessun'altra sapienza può avere una conoscenza simile a quella di [[Dio]] e sia che nessun'altra conoscenza può avere una sapienza simile a quella di [[Dio]]. In particolare l'uomo, nonostante tutte le sue scoperte, non riesce a possedere la sapienza di [[Dio]] poichèpoiché non ne conosce la via come attesta {{Pb|Gb|28,13}} secondo la versione di diversi manoscritti fra cui i [[Bibbia dei Settanta|Settanta]] ma non il [[testo masoretico|testo masoretico]] per il quale l'uomo, in realtà, non conosce il prezzo, cioè il valore della sapienza.
 
====Il mistero della Volontà divina====
I termini aramaico ed ebraico sono anche usati nei testi di [[Qumran|Qumràn]] mentre il termine greco appare solo in alcuni libri della [[versione dei Settanta|Bibbia greca]]: [[Daniele]], [[Ecclesiastico]], [[Giuditta]], [[2 Maccabei]], [[Sapienza]] e [[Tobia]].
 
I citati termini sono qui considerati nella loro relazione con la nozione di mistero per cui in quest'analisi sono esclusi riferimenti ad altre nozioni sia pur simili: a titolo esemplificativo si cita il termine ''sód'' che è utilizzatto in altri passi biblici con significati simili se non addirittura identici eppure non afferenti la nozione di mistero come, al converso, capita in {{Pb|Am|3,7}} dove ''sód'' esprime il segreto che circonda un obiettivo da raggiungere tramite un piano misterioso, tantocchètantocché la Bibbia della C.E.I., diversamente da altre versioni che traducono il termine ''sód'' usato nel detto versetto in senso fenomenico ossia con la parola ''segreto'', traduce il detto termine in senso teleologico ossia con la parola ''consiglio'' che più si adatta alla nozione di mistero.
 
===Il libro della Sapienza===
===Il libro di Daniele===
 
Il libro di [[Daniele]] appartiene al genere apocalittico in quanto è una rivelazione dei segreti divini che riguardano esclusivamente ciò che si realizza nella storia essendo la stessa orientata verso un epilogo finale. In tale ottica i segreti divini si compiranno puntualmente (cfr. {{passo biblico|Dn|9,24a}}; {{passo biblico|Dn|9,25b-26a}}, {{passo biblico|Dn|9,27a}} e {{passo biblico|Dn|11,35}}) e, per tale ragione, [[Dio]] fa conoscere in anticipo ciò che riguarda il futuro (cfr. {{passo biblico|Dn|2,29}}), specialmente ciò che avverrà al finire dei giorni (cfr. {{passo biblico|Dn|2,28}}) e, in particolare, fa conoscere i giudizi divini prodromici alla ricompensa finale (cfr. {{passo biblico|Dn|12,13}}), ma le sue rivelazioni rimangono incomprensibili (cfr. {{passo biblico|Dn|4,15}}) eccezion fatta per i prediletti (cfr. {{passo biblico|Dn|9,23}}) ai quali viene concesso sia di descrivere (cfr. {{passo biblico|Dn|2,31-35}}) che di intendere (cfr. {{passo biblico|Dn|10,1c}}) qualunque rivelazione in quanto, essendo gli stessi riconosciuti dai contemporanei come ispirati dalla Divinità (cfr. {{passo biblico|Dn|4,5}})<ref>Il passo di {{pb|Dn|4,5}} per indicare l'ispirazione divina in realtà utilizza l'espressione "lo spirito degli dei santi" la quale, parimenti, è stesa anche in {{pb|Dn|5,11a.14}}. Solo il manoscritto di Teodozione, per lapalissiane ragioni teologiche, modifica il plurale aramaico in singolare: in realtà non vi è alcuna necessità di tale modifica perchèperché l'espressione citata è il modo con cui dei pagani, Nabucodonosor, Baldassar e sua moglie, riconoscono in Daniele l'ispirazione divina. In un contesto monoteistico, anche se non sempre inteso strictu sensu, altro è il modo di esprimere la stessa nozione come attestato in {{pb|Dn|4,5}}, dove si fa espresso riferimento al Signore che "suscitò il santo spirito di un giovanetto", o in {{pb|Dn|4,34}} dove Nabucodonosor esprime comunque una contrizione ed una preghiera nei riguardi di Dio.</ref>, hanno ricevuto la luce, l'intelligenza e la sapienza in un grado ordinariamente pari alla sapienza divina (cfr. {{passo biblico|Dn|5,11b}})<ref>In realtà il testo di {{pb|Dn|5,11b}} fa riferimento alla concessione di una "sapienza pari alla sapienza degli dei": per tale testo bisogna svolgere la stessa considerazione di {{pb|Dn|4,5}} e, quindi, considerare la citata espressione per ciò che essa è, ossia l'espressione di una pagana, la regina consorte di Baldassar.</ref> per non essere in difficoltà innanzi a qualunque segreto (cfr. {{passo biblico|Dn|4,6}}), a meno che tali segreti rimangano incomprensibili anche per i prediletti (cfr. {{passo biblico|Dn|8,27b}} e {{passo biblico|Dn|12,8}}) in quanto vengono sigillati per un tempo, più o meno determinato (cfr. {{passo biblico|Dn|7,28b}} e {{passo biblico|Dn|8,26}}) e che al massimo giunge sino al tempo della fine (cfr. {{passo biblico|Dn|12,4.9}}), in quanto la durata dello stesso è rivelata in modo oscuro (cfr. {{passo biblico|Dn|7,25b}} e {{passo biblico|Dn|12,7}}).
 
L'indicazione del periodo temporale in Daniele è quasi sempre ermetica e l'emblema di ciò è ritenuto il passo di {{passo biblico|Dn|7,25b}} in cui è letteralmente contenuta l'espressione ''un tempo, più tempi e la metà di un tempo'' il cui significato evidentemente non è certo. Naturalmente, alcune interpretazioni sono state proposte e, fra di esse, allo stato ottiene maggiore consenso tra gli studiosi l'interpretazione per la quale il senso di {{passo biblico|Dn|7,25b}} va rintracciato nell'ottica di {{passo biblico|Dn|4,13b}} dove probabilmente la parola ''tempi'' deve essere intesa come sinonimo di anni: in tale ottica, l'espressione di {{passo biblico|Dn|7,25b}} equivarrebbe a tre anni e mezzo corrispondendo all'incirca alla durata della persecuzione di Antioco Epifane cui fa riferimento {{passo biblico|Dn|7,25a}} ed alla quale, secondo alcuni, farebbe pure riferimento la mezza settimana di {{passo biblico|Dn|9,27}} che, quindi, equivarrebbe ai citati tre anni e mezzo i quali, considerato che sono composti da quarantadue mesi di trenta giorni e, quindi, equivalgono a 1260 giorni, creano degli interessanti parallellismi con {{pb|Lc|4,25}}, {{pb|Gc|5,17}} e {{pb|Ap|11,2-3;12,14;13,5}} con la conseguenza che indicherebbero, nell'ambito di una prospettiva sempre presente in Daniele, un periodo di tribolazioni la cui durata viene limitata da Dio per la consolazione dei tribolati. Ciò che sembra non favorire questa interpretazione pare risieda proprio in {{passo biblico|Dn|4,13b}} non tanto perchèperché la parola ''tempi'', ivi contenuta, equivale ad anni per probabilità e non per certezza ma in quanto, altrove in Daniele, la parola ''tempi'' indica un periodo non ben determinato: del resto, tenendo presente che l'espressione citata, contenuta in {{passo biblico|Dn|7,25b}}, è riprodotta in {{passo biblico|Dn|12,7}} sia pur nella forma ''un tempo, tempi e la metà di un tempo''; e considerando che del contenuto di {{passo biblico|Dn|12,7}} Daniele, non avendolo compreso, ne riceve spiegazione in {{passo biblico|Dn|12,9}} dove si afferma che il significato di {{passo biblico|Dn|12,7}} sarà nascosto sino al tempo della fine; ne consegue che l'espressione citata in {{passo biblico|Dn|12,7}} potrebbe avere un valore temporale diverso e maggiore rispetto all'interpretazione, sopra fornita, della stessa espressione usata in {{passo biblico|Dn|7,25b}}, a meno che debba intendersi che solo il senso di quanto verificatosi alla scadenza dei tre anni e mezzo sarà chiaro a tutti nel tempo della fine, considerato che i saggi lo avranno già inteso in base a quanto attestato nella fine di {{passo biblico|Dn|12,10b}}, il quale potrebbe essere pure rettamente inteso nel senso che verso la fine dei tempi solo i saggi, e coloro che essi avranno istruito di cui in {{passo biblico|Dn|11,34}}, conosceranno il senso delle parole nascoste dato che gli empi non le intenderanno in base a quanto attestato sempre in {{passo biblico|Dn|12,10b}}. A rendere più complessa l'analisi si aggiunge {{passo biblico|Dn|12,11-12}} che, pur affrontando la tematica dell'abolizione del sacrificio quotidiano durante la tribolazione, logicamente è una continuazione di {{passo biblico|Dn|12,9-10}} ma contiene due periodi temporali diversi, computati in giorni: uno steso in {{passo biblico|Dn|12,11}} e corrispondente a 1290 giorni computati dall'abolizione del sacrificio quotidiano, l'altro steso in {{passo biblico|Dn|12,10b}} e corrispondente a 1335 giorni che saranno raggiunti da parte di chi aspetterà con pazienza. Siccome gli ultimi due versetti citati riguardano l'abolizione del sacrificio quotidiano, vanno posti in parallelo a {{passo biblico|Dn|8,13-14}} in cui, precisamente in {{passo biblico|Dn|8,14}}, si fa riferimento ad un ulteriore periodo temporale, di diversa durata rispetto ai precedenti citati, e indicato con l'espressione ''2300 sere e mattine'' la quale, se riferita alla durata della sospensione dei due sacrifici quotidiani durante la tribolazione, può indicare in termini moderni sia 2300 giorni sia 1150 giorni. Tutte queste cifre si riferiscono alla durata della tribolazione ma nessuna di esse è identica all'altra e lapalissianamente non concordano con la citata interpretazione dei tre anni e mezzo: la differenza tra tutte le cifre indicate resta senza una qualche spiegazione almeno sostenibile anche nella sola via ipotetica.
 
I segreti sono conosciuti innanzitutto da Dio e, siccome Dio è nel cielo (cfr. {{passo biblico|Dn|2,28}}), ne consegue che questi segreti sono parimenti scritti nel cielo. A motivo di tale conoscenza solo a [[Dio]] va propriamente attribuita la qualifica de ''il rivelatore dei misteri'':
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