Ponzio Pilato: differenze tra le versioni

Vai alla navigazione Vai alla ricerca
m
nessun oggetto della modifica
mNessun oggetto della modifica
mNessun oggetto della modifica
== Biografia ==
 
Pilato fu inviato da Tiberio come successore di Valerio Grato<ref>{{autore|[[Giuseppe Flavio]]}}, ''[[Antichità giudaiche]]'' 18,35</ref> con l'incarico di prefetto della provincia romana della [[Giudea]] dal [[26]] al [[36]].
 
Nel 36 fu destituito dal governatore di Siria Vitellio (alla cui autorità era sottoposto) ed inviato all'imperatore Tiberio per rispondere dell'accusa di abusi nei confronti dei samaritani, alleati di Roma<ref>Flavio {{autore|Giuseppe Flavio}}, ''[[Guerra giudaica]]'', ii.175-179.</ref> e l'imperatore [[Caligola]] lo mandò in [[Gallia]]. La sua carica di prefetto è attestata da un frammento di iscrizione latina, nota come [[iscrizione di Pilato]] e datata durante il regno dell'imperatore Tiberio, rinvenuta a [[Cesarea Marittima]].
 
Pilato tentò di introdurre anche in [[Palestina]] il culto verso l'imperatore che veniva imposto nel resto dell'impero e diede anche l'ordine di uccidere quei giudei che non avessero accettato tale immagini.<ref>{{autore|Giuseppe Flavio}}, ''Guerra giudaica'', ii.169-171.</ref>Quando egli spostò l'esercito da Cesarea ai quartieri invernali di [[Gerusalemme]], contrariamente ai suoi predecessori, che utilizzavano stendardi senza ornamenti nel rispetto della legge ebraica, fece introdurre vessilli recanti le immagini dei busti dell'imperatore. Questo oltraggio nei confronti della città santa provocò la reazione dei Giudei che si recarono a Cesarea per protestare. Vista la loro insistenza e la loro volontà di farsi uccidere piuttosto che di desistere, Pilato ordinò di riportare le insegne a Cesarea<ref>{{autore|Giuseppe Flavio}}, ''Antichità giudaiche'', 18, 55-59; guerra''Guerra giudaicaGiudaica'' 2, 169-174</ref>.
 
Un fatto analogo è riportato anche da [[Filone di Alessandria]] il quale narra che Pilato fece appendere al palazzo di Erode in Gerusalemme degli scudi dorati recanti il nome dell'imperatore. Subito una delegazione, della quale facevano parte anche quattro figli di [[Erode il Grande]], ne chiese la rimozione, ma rimase inascoltata. I Giudei si appellarono allora direttamente all'imperatore Tiberio, il quale ordinò il trasferimento degli scudi a Cesarea<ref>Filone di Alessandria De legatione ad Gaium XXXVIII, 299-303</ref>.
Non risulta da alcuna fonte il trasferimento della capitale da Cesarea a Gerusalemme, ma soltanto lo spostamento delle truppe e del prefetto in occasione di particolari eventi (tra cui la Pasqua ebraica) in cui la presenza di un presidio rafforzato era considerata necessaria per la prevenzione di disordini.
 
Filone di Alessandria riporta l’opinionel'opinione che il re [[Agrippa I]] aveva del governatore romano:
 
{{quote|A questo riguardo si potrebbe parlare della sua corruttibilità, della sua violenza, dei suoi furti, maltrattamenti, offese, delle esecuzioni capitali da lui decise senza processo, nonché della sua ferocia incessante e insopportabile.|''De Leg. ad Gaium'', XXXVIII, 302}}
Si tenga presente che questo giudizio è inserito in un'opera scritta per stigmatizzare le prepotenze compiute dai governatori romani verso le comunità ebraiche.
 
Il procuratore romano della Giudea risiedeva abitualmente a Cesarea marittima, la città recentemente costruita con suntuosità da Erode il Grande, l'unica fornita di porto e giustamente chiamata da Tacito "capitale della Giudea" sotto l'aspetto politico; tuttavia, spesso, il procuratore si trasferiva a Gerusalemme, capitale religiosa e nazionale, specialmente in occasione di feste (ad es. la Pasqua), trovandosi ivi in miglior centro di vigilanza.<ref>{{autore|[[Giuseppe Ricciotti]]}}, ''Vita di Gesù Cristo'', § 21.</ref>
 
Non si sa per certo se Pilato fu esiliato in Gallia da Caligola, successore di Tiberio. È una delle ipotesi tramandate da tradizioni più leggendarie che storiche: c'è chi parla di esilio, chi di suicidio procurato, chi di ritiro a vita privata. Le fonti storiche, limitate al solo Flavio Giuseppe (antichitàFlavio<ref>''Antichità giudaicheGiudaiche'' 18,89).</ref>, dicono solo che fu destituito dal governatore di Siria Vitellio a causa delle proteste dei samaritani per la strage compiuta sul monte Garizim; al suo posto Vitellio pose Marcello. Ponzio Pilato ritorno' a Roma per rispondere delle accuse portate contro di lui dinanzi all'imperatore, ma, prima che il viaggio terminasse, Tiberio morì. Da questo punto in poi la storia di Pilato entra nella leggenda e non si hanno più notizie attendibili.
 
e chi invece ritiene si sia ritirato a vita privata, una volta rientrato a Roma. In ogni caso la morte non può essere anteriore al [[37]] d.C. e la data di morte dovrebbe essere quanto meno espressa in forma dubitativa: 37 d.C. (?) oppure fine del primo secolo dopo Cristo.
Pilato è presente nei quattro [[Vangeli]] canonici ed è citato negli Atti degli Apostoli ({{passo biblico|At|3,13-4;27,13-28}}) e in {{pb|1Tm|6,13}}. Secondo i Vangeli fu il magistrato responsabile del processo e della condanna a morte di Gesù di Nazareth.
Pilato è introdotto nelle narrazioni evangeliche dall’incipitdall'incipit di Luca, che mostra come, nel [[27]]-[[28]] d.C., il governatore fosse già insediato al suo posto ({{pb|Lc|3,1-2}}).
In {{pb|Lc|13,1-3}} si attribuisce a Pilato la responsabilità dell’uccisionedell'uccisione di alcuni Galilei, avvenuta durante la predicazione di Gesù ([[28]]-[[30]] d.C.)
Sappiamo che era sposato, e che la moglie era a Gerusalemme durante il processo a Gesù, quindi a metà aprile dell’annodell'anno [[30]] d.C. ({{pb|Mt|27,19}}). Fino a questa data, Pilato ed il tetrarca Erode Antipa, coltivarono reciproca antipatia, ma in seguito diventarono amici.({{pb|Lc|23,12}}).
Fatta eccezione per queste notizie, i Vangeli si soffermano principalmente sul ruolo che ebbe Pilato negli episodi della passione e morte di Gesù, svoltisi a Gerusalemme.
 
All’albaAll'alba del giorno precedente la Pasqua ebraica, Gesù, incatenato, fu portato dalla casa del sommo sacerdote Caifa fino al cospetto di Pilato, nel pretorio ({{pb|Gv|18,28}}). Per ascoltare le accuse che i maggiorenti ebrei portavano contro Gesù, Pilato andò loro incontro, uscendo dal pretorio, nel quale essi non volevano entrare per non contaminarsi e poter celebrare la festività imminente. Pilato dapprima ascoltò le accuse dei sinedriti, consistenti in sedizione, rifiuto del pagamento dei tributi all’imperatoreall'imperatore, autoproclamazione a re e Messia ({{pb|Lc|23,2}}). Rientrato nel pretorio, interrogò Gesù in merito, convincendosi della sua innocenza e dichiarandolo ai convenuti.
 
Dinanzi alla loro insistenza per sottoporre Gesù alla pena capitale, saputo che proveniva dalla Galilea, pensò di inviarlo al tetrarca [[Erode Antipa]], legittimo sovrano di quella regione. Neanche Erode trovò in Gesù motivi di condanna, nonostante le accuse dei [[sommi sacerdoti]] e degli [[Scriba|scribi]], e rispedì il prigioniero al governatore romano. Il gesto di Pilato, interpretato come un atto di deferenza e di legittimazione del potere del tetrarca, fu gradito da Antipa ed i due diventarono amici ({{pb|Lc|23,6-12}}).
Pilato, riluttante a condannare a morte Gesù, fece altri due tentativi per salvarlo: dapprima propose di graziarlo, appellandosi alla consuetudine di liberare un prigioniero per Pasqua ({{pb|Gv|18,39}}), e successivamente manifestò la volontà di punirlo severamente con la flagellazione per poi lasciarlo andare ({{pb|Lc|23,22}}). I sinedriti e la folla da essi sobillata si opposero, chiedendo la liberazione di [[Barabba]] al posto di Gesù. Pilato decise di fingere di accettare di crocifiggere Gesù: espresse teatralmente la propria innocenza per il sangue del condannato lavandosi le mani in pubblico ({{pb|Mt|27,24}}) ed avviò Gesù alla flagellazione, operazione che ordinariamente precedeva la crocifissione.
 
Provò quindi a giocarsi la carta della pietà presentando Gesù alla folla, martoriato e umiliato dalla flagellazione e dai simulacri di potere regale che la soldataglia gli aveva messo addosso, sperando che i sinedriti considerassero tale punizione sufficiente ({{pb|Gv|19,4-6}}). Dinanzi alla sempre più pressante richiesta di condanna a morte, Pilato cominciò a temere che potesse scatenarsi un tumulto o che i membri del sinedrio, come minacciato, finissero per accusarlo di tradimento dinanzi all’imperatoreall'imperatore per aver protetto uno sconosciuto con ambizioni regali ({{pb|Gv|19,12}}). Alla fine cedette.
 
Dopo un ultimo tentativo infruttuoso, fatto nel tribunale ({{pb|Gv|19,13-15}}), lo consegnò ai soldati affinché fosse crocifisso sul [[Golgota]].
 
Fu Pilato stesso a comporre l’iscrizionel'iscrizione da porre sulla croce, con il motivo della condanna. Fece scrivere in ebraico, latino e greco: "Gesù il Nazareno, il re dei Giudei". L’ambiguitàL'ambiguità di tale dicitura provocò le rimostranze dei sommi sacerdoti, ma Pilato rifiutò di modificarla ({{pb|Gv|19,19-22}}).
 
Nel tardo pomeriggio, Pilato accolse una delegazione di Giudei, recanti la richiesta di affrettare la morte dei condannati, per poterne rimuovere i cadaveri prima dell’iniziodell'inizio del sabato ({{pb|Gv|19,31}}). In seguito, presumibilmente poco dopo, ricevette il membro del sinedrio [[Giuseppe d’Arimatead'Arimatea]] che reclamava il corpo di Gesù per la [[Sepoltura di Gesù|sepoltura]]. Pilato si stupì che Gesù fosse già morto e chiese al centurione se fosse morto da tempo. Ascoltato il suo sottoposto, concesse la salma a Giuseppe ({{pb|Mc|15,44-45}}).
Il giorno successivo, i sommi sacerdoti e i farisei si recarono nuovamente da Pilato, per chiedergli di mettere un picchetto di guardia alla tomba di Gesù. Pilato concesse loro di utilizzare a tale scopo le guardie del Tempio ({{pb|Mt|27,62-65}}).
I Vangeli e gli Atti degli Apostoli, su Pilato, non aggiungono altro.
[[File:Pilate Inscription.JPG|thumb|300px|L'[[iscrizione di Pilato]] frammento di una epigrafe ritrovata a [[Cesarea di Palestina]] nel [[1961]]]]
 
I principali autori non cristiani che riferiscono di Pilato sono: [[Filone di Alessandria]], [[Giuseppe Flavio]], [[Cornelio Tacito]].
 
Il filosofo ebreo Filone di Alessandria riferisce di Pilato in [[De legatione ad Gaium]] <ref>XXXVIII, 299-303</ref>, dove riporta l’opinionel'opinione che il re Agrippa I aveva del governatore romano (vedi biografia).
 
Filone riferisce anche un episodio di cui si rese protagonista Pilato, per mostrarne l’ostilitàl'ostilità verso gli Ebrei (vedi biografia).
Lo storico ebraico Giuseppe Flavio parla di Pilato sia in [[Guerra giudaica (Flavio Giuseppe)|Guerra giudaica]], databile al [[75]] d.C., sia in Antichità giudaiche, risalente al [[94]]-[[95]] d.C.
 
Le notizie fornite in Guerra Giudaica vengono riprese, ampliate ed integrate nell’operanell'opera successiva.
Il brano più importante di Giuseppe Flavio è quello noto come [[Testimonium flavianum]], corrispondente ad Antichità giudaiche XVIII, 63-64:
{{quote|Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, '''sempre che si debba definirlo uomo''': era infatti autore di opere inaspettate, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti della grecità. '''Questi era il Cristo'''. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, coloro che da principio lo avevano amato non cessarono. '''Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altred'altre meraviglie riguardo a lui'''. Fino ad oggi ed attualmente non è venuto meno il gruppo di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani.|Traduzione proposta da A. Nicolotti in ''Testimonianze extracristiane sulla persona di Gesù di Nazareth e sulla chiesa primitiva'', [[2001]]}}
Nonostante questa versione sia attestata fin dal [[IV secolo]] ad opera di [[Eusebio di Cesarea]], la sua autenticità è stata fortemente contestata a causa di alcune espressioni impossibili da attribuire ad un ebreo osservante come Giuseppe Flavio. Queste interpolazioni, che nel testo esposto, per comodità, sono state evidenziate in grassetto, sono con ogni probabilità aggiunte o modifiche operate da un copista o da un commentatore cristiano a fini apologetici.
 
In base a ciò, alcuni autori rigettano l'intero Testimonium flavianum come un falso. La gran parte dei commentatori ritiene invece che l’interventol'intervento di mano cristiana sia limitato ai pochi tratti identificati.
 
Privato delle interpolazioni, che anche nel testo originale greco si presentano come incisi o in forma parentetica, il brano non solo mantiene un ottimo senso, ma diventa persino più scorrevole. Lo stile, inoltre, non è dissonante da quello di Giuseppe Flavio:
Nel [[1971]] fu scoperta una Storia universale scritta in Siria nel [[X secolo]] dal [[vescovo]] cristiano [[Agapio di Ierapoli]] (in Frigia, Asia Minore), che riporta una traduzione araba del Testimonium:
{{quote|Similmente dice Giuseppe l’ebreol'ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: "Ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso (o: dotto), e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono al suo discepolato (o: dottrina) e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie.|Traduzione tratta da J. Maier, ''Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica'', Brescia, [[1994]], p. 65}}
Il testo è privo di quelle affermazioni cristiane contestate dai critici nella versione greca tramandataci ed è perfettamente compatibile con quello che doveva essere il pensiero di Giuseppe Flavio. Dato che è impensabile che il vescovo Agapio abbia volutamente modificato in senso minimizzante il brano di Giuseppe nei confronti di Gesù, non possiamo che dedurne che egli disponesse di una versione del Testimonium più simile all’originaleall'originale e ancora priva di interpolazioni.
Il testo di Agapio conferma quindi la fondatezza della tesi che il Testimonium flavianum sia un passo autentico di Flavio Giuseppe, modificato solo parzialmente da un copista cristiano.
L’ultimaL'ultima testimonianza non cristiana su Pilato è contenuta negli Annali di Tacito, composti attorno al [[112]] d.C. Parlando dell'incendio di Roma, Cornelio Tacito riferisce:
Parlando dell’incendio di Roma, Cornelio Tacito riferisce:
{{quote|Tuttavia né con sforzo umano, né per le munificenze del principe o cerimonie propiziatorie agli dei perdeva credito l’infamantel'infamante accusa secondo la quale si credeva che l’incendiol'incendio fosse stato comandato. Perciò, per far cessare tale diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome era Cristo, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; e, momentaneamente sopita, questa esiziale pratica religiosa di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, focolare di quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore tutto ciò che vi è di turpe e di vergognoso. Perciò, da principio vennero arrestati coloro che confessavano, quindi, dietro denuncia di questi, fu condannata una ingente moltitudine, non tanto per l’accusal'accusa dell'incendio, quanto per odio del genere umano. Inoltre, a quelli che andavano a morire si aggiungevano beffe: coperti di pelli ferine, perivano dilaniati dai cani, o venivano crocifissi oppure arsi vivi in guisa di torce, per servire da illuminazione notturna al calare della notte. Nerone aveva offerto i suoi giardini e celebrava giochi circensi, mescolato alla plebe in veste d’aurigad'auriga o ritto sul cocchio. Perciò, benché si trattasse di rei, meritevoli di pene severissime, nasceva un senso di pietà, in quanto venivano uccisi non per il bene comune, ma per la ferocia di un solo uomo.|Annales, XV, 44; Ed. E. Koestermann, Lipsiae [[1965]]; traduzione di A. Nicolotti, in ''Testimonianze extracristiane sulla persona di Gesù di Nazareth e sulla chiesa primitiva'', [[2001]]|Sed non ope humana, non largitionibus principis aut deum placamentis decedebat infamia quin iussum incendium crederetur. Ergo abolendo rumori Nero subdidit reos et quaesitissimis poenis adfecit, quos per flagitia invisos vulgus Christianos appellabat. Auctor nominis eius Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat; repressaque in praesens exitiabilis superstitio rursum erumpebat, non modo per Iudaeam, originem eius mali, sed per urbem etiam quo cuncta undique atrocia aut pudenda confluunt celebranturque. Igitur primum correpti qui fatebantur, deinde indicio eorum multitudo ingens haud proinde in crimine incendii quam odio humani generis convicti sunt. Et pereuntibus addita ludibria, ut ferarum tergis contecti laniatu canum interirent, aut crucibus adfixi aut flammandi, atque ubi defecisset dies in usum nocturni luminis urerentur. Hortos suos ei spectaculo Nero obtulerat et circense ludicrum edebat, habitu aurigae permixtus plebi vel curriculo insistens. Unde quamquam adversus sontis et novissima exempla meritos miseratio oriebatur, tamquam non utilitate publica sed in saevitiam unius absumerentur.|lingua=la}}
Le espressioni di disprezzo adoperate nei confronti del cristianesimo escludono l’ipotesil'ipotesi che il brano sia opera di un falsario cristiano.
Vi è stato anche chi, maldestramente, ha ipotizzato la dipendenza da fonti cristiane per l’usol'uso del termine "procuratore" al posto di quello, testimoniato dall’epigrafedall'epigrafe di Cesarea, di "prefetto".
 
Tuttavia né i Vangeli, né gli Atti degli Apostoli adoperano mai, per Pilato, il termine greco che sta per procuratore, ovvero ''epìtropos''. Solo una volta in {{pb|Lc|3,1}} (e solo secondo il codice D) a Pilato viene applicato il verbo ''epitropèuein ''(= procurare). Un po' poco per poter parlare di dipendenza.
Secondo un'altra leggenda Pilato fu esiliato dall'imperatore [[Caligola]] a [[Vienne (Isère)|Vienne]] in [[Francia]] e vi è morto suicida. Sulla via per Vienne avrebbe soggiornato a [[Nus]] in [[Valle d'Aosta]], dove il castello è noto col nome di "Castello di Pilato", nonostante la costruzione attuale risalga al medioevo.
 
Un'ultima leggenda vuole che [[Bisenti]] ([[provincia di Teramo|TE]]) sia stata la sua patria. Una casa, che gli abitanti del paese additano come "Casa di Ponzio Pilato", conterrebbe nei sotterranei un pozzo di origine romana con alcune iscrizioni, ma non è mai stato effettuato uno studio approfondito in proposito. Comunque, ad avvalorare la leggenda che Pilato fosse di origine [[Abruzzo|abruzzese]], vi è l'ipotesi che lo fa discendere dalla famiglia [[Vestini|Vestina]] dei Ponzi, da cui sarebbe uscito, al tempo della [[guerra sociale]], il condottiero dell’esercitodell'esercito [[sanniti|sannita]].
Anche secondo lo scrittore Angelo Paratico (''Gli assassini del karma'', ed. Robin 2003), Pilato era nativo di Bisenti, comune presso il quale si ritirò una volta in pensione. Nel giorno di Pasqua rivedeva [[Longino]], che viveva a [[Lanciano]] e i due si rinfacciavano le rispettive colpe. Questa vecchia tradizione popolare è anche presente in un'opera minore di [[Ennio Flaiano]].
 

Menu di navigazione