Chiesa di Santa Maria della Grata
Chiesa di Santa Maria della Grata | |
Stato | Italia |
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Regione | Emilia Romagna |
Regione ecclesiastica |
Regione ecclesiastica Emilia Romagna |
Provincia | Forlì-Cesena |
Comune | Forlì |
Diocesi | Forlì-Bertinoro |
Religione | Cattolica |
Oggetto tipo | Chiesa |
Dedicazione | Maria Vergine |
Completamento | ante 1568 |
Soppressione | XIX secolo |
Distruzione | XIX secolo |
La Chiesa di Santa Maria della Grata è una chiesa oggi scomparsa di Forlì.
Sorgeva nel centro storico, nella zona dell'attuale via della Grata: in particolare, l'area dove tale via si allarga, presso l'incrocio con l'attuale via San Giovanni Bosco (già via del Macello), è conosciuta come piazzetta della Grata.
La chiesa assunse tale nome per l'esistenza di una grata a protezione di un'immagine della Madonna col Bambino.
La Cronaca Albertiniana, che costituisce un documento fondamentale per l'antica cronografia della città di Forlì, in quanto l'anonimo autore poté consultare un'ampia documentazione notarile oggi scomparsa, ci permette di sapere che l'atto più antico riguardante la chiesa risale al 1568.
L'interno della chiesa era decorato da vari e prestigiosi affreschi di Francesco Menzocchi.
Qui fu la sede della Congregazione dei 63 Sacerdoti, un istituto presente anche in altre città italiane, come ad esempio a Napoli, in cui appunto esisteva la Chiesa della Congregazione dei 63 sacerdoti. Nel 1772 furono date alle stampe le Regole della Congregazione.
A causa delle tensioni internazionali di quegl'anni, nel 1774 truppe spagnole si trovarono a passare per Forlì: ne derivò il sequestro provvisorio della chiesa, che fu, sia pure per breve tempo, impiegata come deposito per la polvere da sparo dell'artiglieria. La chiusura definitiva avvenne, invece, durante la dominazione napoleonica, quando l'edificio fu venduto dal demanio francese ad un tal Giacomo Cicognani, che demolì la parte superiore del campanile e trasformò l'edificio: certamente, in un magazzino di legname, e forse, cogliendo l'occasione dell'essere la chiesa vicino al Canale di Ravaldino che qui si avvia ad uscire dalle mura cittadine, in un mulino. Se invece, come riferiscono altre fonti[1], la trasformazione in mulino non dipese già dal Cicognani, allora fu il nuovo proprietario, l'ingegnere Domenico Casamurata, a volerla, nel 1811. Il mulino era ovviamente noto come Mulino della Grata (o Molino della Grata).
Con successivi proprietari, si ebbero ulteriori destinazioni d'uso, benché sempre nell'ambito economico: fabbrica di concimi, luogo di pilatura del riso, raffineria di zolfo.
Note | |
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Bibliografia | |
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