Discussione:Papa Leone X
correzione su libello liturgia in volgare
Buongiorno. L'espressione "Inoltre richiese con un libello la liturgia in volgare e la traduzione della Bibbia; confutato poi dal Concilio di Trento che riconfermò il latino" è poco chiara se non addirittura forviante. Leone X "non richiese" il libello, né si fece promotore della liturgia in volgare.
Mi permetto si aggiungere di seguito materiale per una correzione.
FORMA LUNGA Al nuovo Pontefice Leone X nell'estate del 1513 è indirizzato dai nobili veneziani, poi monaci eremiti camaldolesi, Tommaso Giustiniani († 1528) e Vincenzo Quirini († 1514), amici dell'umanista e futuro cardinale Pietro Bembo, un Libellus (memoriale), nel quale vengono presentati i mali della Chiesa del tempo e l'esigenza di riforme per risolverli attraverso rinnovamenti strutturali. Esortando a ripensare l'opera di evangelizzazione tenendo conto del nuovo scenario e dei problemi creatosi con la scoperta dell'America, incitando alla necessità di recuperare le chiese d'Africa e d'Asia allontanatesi da Roma o soggette ora alla dominazione mussulmana, non lesinando attacchi agli umanisti, e con la prospettiva di una società integrata nella gerarchia e nel sacerdozio, il Libellus presenta una serie di indicazioni originalissime per disegnare un piano di riforma della società cristiana guidato dalla Chiesa di Roma – Curia papale, vescovi e Concilio Laterano V – , che deve farsi propugnatrice e predicatrice appassionata della pace (sepolto ormai il “Papa guerriero” Giulio II); essa deve educare quindi i Prìncipi alla pace, ma la pace autentica la si può ottenere solo se si strappano le radici maligne della «libidine del potere e dell'ingiusta rapina»: è allora necessario progettare un nuovo ordine sociale che intrecci libertà e giustizia e che si affidi a una rigorosa e certa riforma, semplificazione e codificazione del diritto, fattore indispensabile di progresso civile e religioso. E ancora, riguardo alla cultura, più in generale, la Chiesa deve farsi promotrice dell'educazione contro l'ignoranza imperante e l'accademismo. Tra i propositi di riforma che Giustiniani e Querini caldeggiano nella lettera a Leone X vi è l’intento di sradicare gli atti, i riti e le credenze che gli autori definiscono con il termine di ‘superstizione’, mezzi diabolici rivolti contro la religione e al tempo stesso contro la medicina insegnata negli Studia, un flagello terribile che, associato con l’ignoranza, comporta gravi rischi di peccato mortale oltre che alla salute fisica; la superstizione è «generatrice di tutti i mali», avversaria della vera fede e precisa scaturigine del peccato capitale contro la religione, l'idolatria: per combattere l'analfabetismo religioso, dilagante tra gli stessi religiosi ed il clero secolare (molti sacerdoti non erano in grado di leggere il latino dei testi liturgici), nella devozione dei santi nei santuari – venerati «con maggior onore e riverenza dello stesso Sacratissimo Corpo di nostro Signore Gesù Cristo» – ridotta spesso a riti e culti terapeutici e taumaturgici, e in tutta le sfere della vita privata, così come il disinteresse dei laici per l'istruzione religiosa, i due autori raccomandano l'abbandono della scolastica e delle dottrine filosofiche per ricostruire la teologia sulla Bibbia e sugli antichi documenti dei Padri, sul “depositum fidei”; ecco allora il suggerimento di abbandonare i preconcetti sull'intangibilità del latino e, sull'esempio proprio di San Girolamo che con la sua traduzione dei Testi Sacri in latino (la Vulgata) li aveva liberati dall'incomprensibilità per i suoi coevi rispetto all'ebraico e al greco, le lingue sacre originarie, l'idea del tutto ardita di fare una traduzione – ufficiale, poiché già ne esistevano, ma non autorizzate – in volgare della Sacra Scrittura che ne permetta, di conseguenza, una migliore predicazione e di impiegarla nella liturgia. Raccomandando, tra l'altro, non l'utilizzo di un toscano nobile letterario ma «un volgare comune a tutta l'Italia». Nella stessa ottica la richiesta di una unificazione di tutti i libri liturgici e, a fronte di una situazione in cui versava la pietà dei fedeli, spesso vittime della superstizione e inclini a credere alla magia, descritta come deplorevole, si avanza la proposta che, in alcuni casi, durante il culto si usi la lingua parlata. Si delinea, così, una vera e propria riforma liturgica e spirituale, che necessariamente deve passare attraverso un rinnovamento della vita morale del credente; davanti, da un lato, ad un'etica ecclesiale degenerata ed alle ipocrisie anche di un clero che necessita di una conversione interiore, e, dall'altro alla degenerazione ed al degrado sociale in cui molti fedeli vengono a trovarsi, causando un declino morale che non può essere sbrigativamente bollato e stigmatizzato, ma che necessita d'essere sanato in radice, la via proposta dal Libellum è la riforma e la rifondazione degli ordini religiosi e dello stesso clero, a partire dai vescovi, un «mondo ecclesiastico che spesso si distingue per ricchezza e avarizia, per una superficiale cura pastorale, per miseria morale, per invenzione di miracoli e di rituali a fini di lucro e così via» (Ravasi): revisione delle regole dei religiosi e dei loro statuti, unificazione di ordini affini, formazione culturale e spirituale seria, catechesi e impegno pastorale rigoroso. A chiudere il cerchio, una serie di considerazioni che, muovendo dall'incubo dell'ondata turca – che a partire dal 1453, con la presa di Costantinopoli, avanza minacciando la cristianità – , suppone un piano di reazione strategico di missionarietà e di evangelizzazione che si estenda al Nuovo Mondo appena scoperto, senza perdere di vista l'Asia e l'Africa. Il Concilio Lateranense V, dentro il quadro della più generale riforma della Chiesa, nel solco dell’aspirazione a una riforma della liturgia che aveva visto già interessanti tentativi volti a restaurare lo spirito liturgico nel clero a utilità dei fedeli, affronterà la questione liturgica solo sotto il profilo disciplinare, promulgando alcune regole per l’azione celebrativa. Tuttavia, si avvertiva già, al contempo, il desiderio di uniformità liturgica, cui pietra fondante rimane la decisione di Alessandro VI di far introdurre in tutti i messali di rito romano l’ordo missae (l’Ordinario della Messa, la parte invariabile della Messa) composto da Giovanni Burcardo (c. 1450-1506), Mastro di Cerimonie della Capella Papale; sotto Leone X videro quindi la luce ad opera del domenicano veneziano Alberto da Castello (o Castellani; c. 1450-1523) una nuova edizione del Pontificale Romano ed il Liber sacedotalis (una raccolta di tutti gli ordinamenti rituali di competenza presbiterale ed una riorganizzazione di tutte le leggi canoniche con attenzione pastorale, che aveva anche principalmente lo scopo di fissare, in risposta alle prime pubblicazioni dei riformatori protestanti, un rito maggiormente universale per l’amministrazione dei sacramenti; da esso derivò, un secolo dopo, il Rituale Romanum). Il desiderio di un maggior avvicinamento e diffusione del Testo Biblico attraverso una traduzione ufficiale in lingua volgare, così come il suo stesso utilizzo nei riti della Messa e dei Sacramenti è indice di un comune sentire nell'Europa dell'epoca, ma la sua esasperazione operata dai riformatori protestanti in chiave polemica ed anti-romana, portò, per reazione, al suo rigetto e rifiuto da parte della Chiesa Cattolica, codificandolo nei decreti del Concilio di Trento dell'uso esclusivo del latino e della Vulgata come testo autentico in tutta la vita pubblica, liturgica e dottrinale, della Chiesa latina, poiché si vedeva nella lingua volgare e uno degli strumenti usati dai riformati per sovvertire la Messa, e l'origine – dando il testo in lingua volgare possibilità a chiunque di “interpretare” il Testo Biblico – delle eresie di Lutero, Zwingli e Calvino.
FORMA BREVE
Al nuovo Pontefice Leone X nell'estate del 1513 è indirizzato dai nobili veneziani, poi monaci eremiti camaldolesi, Tommaso Giustiniani († 1528) e Vincenzo Quirini († 1514), amici dell'umanista e futuro cardinale Pietro Bembo, un Libellus (memoriale, ), nel quale vengono presentati i mali della Chiesa del tempo e l'esigenza di riforme per risolverli attraverso rinnovamenti strutturali.
Esortando a ripensare l'opera di evangelizzazione tenendo conto del nuovo scenario e dei problemi creatosi con la scoperta dell'America, incitando alla necessità di recuperare le chiese d'Africa e d'Asia allontanatesi da Roma o soggette ora alla dominazione mussulmana, non lesinando attacchi agli umanisti, e con la prospettiva di una società integrata nella gerarchia e nel sacerdozio, il Libellus presenta una serie di indicazioni originalissime per disegnare un piano di riforma della società cristiana guidato dalla Chiesa di Roma, che deve farsi propugnatrice e predicatrice appassionata della pace, fondata su un nuovo ordine sociale che intrecci libertà e giustizia (certezza del diritto), della cultura (promuovere l'educazione contro l'ignoranza imperante e l'accademismo: sradicare le 'superstizioni' che screditano il culto religioso, abbandono della scolastica e delle dottrine filosofiche per ricostruire la teologia sulla Bibbia e sugli antichi documenti dei Padri della Chiesa, che porta alla necessità di una traduzione ufficiale in volgare della Sacra Scrittura che ne permetta una migliore predicazione l'impiego nella liturgia) e di un rinnovamento della vita morale del credente e dello stesso clero.
Il Concilio Lateranense V, dentro il quadro della più generale riforma della Chiesa, nel solco dell’aspirazione a una riforma della liturgia che aveva visto già interessanti tentativi volti a restaurare lo spirito liturgico nel clero a utilità dei fedeli, affronterà la questione liturgica solo sotto il profilo disciplinare, promulgando alcune regole per l’azione celebrativa. Il desiderio di un maggior avvicinamento e diffusione del Testo Biblico attraverso una traduzione ufficiale in lingua volgare, così come il suo stesso utilizzo nei riti della Messa e dei Sacramenti è indice di un comune sentire nell'Europa dell'epoca, ma la sua esasperazione operata dai riformatori protestanti in chiave polemica ed anti-romana, portò, per reazione, al suo rigetto e rifiuto da parte della Chiesa Cattolica, codificandolo nei decreti del Concilio di Trento dell'uso esclusivo del latino e della Vulgata come testo autentico in tutta la vita pubblica, liturgica e dottrinale, della Chiesa latina, poiché si vedeva nella lingua volgare e uno degli strumenti usati dai riformati per sovvertire la Messa, e l'origine – dando il testo in lingua volgare possibilità a chiunque di “interpretare” il Testo Biblico – delle eresie di Lutero, Zwingli e Calvino.
BIBLIOGRAFIA Libellus ad Leonem X - https://play.google.com/books/reader?id=iEw4CaEWRXsC&printsec=frontcover&output=reader&hl=it&pg=GBS.PP1
Libellus ad Leonem X di P. Giustiniani e P. Querini si legge in J.B. Mittarelli-A. Costadoni, Annales Camaldulenses, IX, Venezia 1773, coll. 612-719 (trad. it. Lettera al Papa. Libellus ad Leonem X (1513), a cura di G. Bianchini, Modena 1995)
Libellus a Leone X (1513) in Un Eremita al Servizio della Chiesa: Scritti del Beato Paolo Giustiniani, Ed. San Paolo (a cura degli eremiti camaldolesi di Montecorona, prefazione di Mons. Sergio Pagano), Cinisello Balsamo (Milano), 2012.
Giuseppe Alberigo, Sul 'Libellus ad Leonem X' degli eremiti camaldolesi Vincenzo Querini e Tommaso Giustiniani,in Humanisme et Èglise en Italie et en France méridionale: XVe.siécle-milieu du XVI. siécle, èd. Patrick Gilli, Ècole Françoise de Rome, Roma, 2004
Eugenio Massa, Una cristianità nell'alba del Rinascimento[: Paolo Giustiniani e il "Libellus ad Leonem X", 1513,], Marietti, Milano, 2005.
Romeo De Maio, Riforme e miti nella Chiesa del Cinquecento, Guida Editori, 1992, p. 17
Giancarlo Pani, Paolo, Agostino, Lutero: alle origini del mondo moderno, Rubbettino Editore, 2005, pgg. 147-148
Grazie per la cortese attenzione.
Buon lavoro
AC
Astro Castanea (astrocastanea chiocciola libero punto it), 2020-06-24 14:50:16 GMT
- Grazie. Non appena torna il nostro esperto in papi gireremo la sua puntualizzazione. --Davide - scrivimi (♫♫)! 13:15, 25 giu 2020 (CEST)