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== Biografia ==
All'età di circa 12 anni, suo zio, Giulio Cesare Borromeo, lo investì della dignità di [[abate]] e gli affidò la rendita di un'[[abbazia]], il reddito della quale fu da lui devoluto interamente per la carità verso i poveri.
Studiò [[diritto canonico]] e civile a [[Pavia]]. Nel [[1554]] [[Morte|morì]] suo padre. Pur avendo un fratello maggiore, il conte Federico Borromeo, gli fu richiesto dai parenti prossimi di prendere il controllo degli impegnativi affari di famiglia
A Pavia creò nel [[1564]] una struttura residenziale molto attrezzata per ospitare studenti universitari di scarse condizioni economiche, ma con elevati livelli di preparazione e attitudine allo studio; istituto che da lui prese il nome di [[Almo Collegio Borromeo]]. Questa istituzione rappresenta il più antico e prestigioso collegio storico di Pavia e tra i più antichi d'Italia.
Nel [[1560]], lo zio materno, [[Giovan Angelo Medici di Marignano]], venne eletto [[papa]] con il nome di [[Pio IV]] (1559 - 1565) e invitò a Roma i suoi nipoti Carlo e il fratello primogenito Federico.
Nel [[1562]] Federico morì improvvisamente, perciò fu consigliato a Carlo di lasciare l'ufficio ecclesiastico e di trovare moglie con cui avere dei figli, per non estinguere la dinastia familiare. Carlo, tuttavia, rifiutò, sostenendo che avendo espresso voto di castità a [[Dio]], era meglio per lui
Nel [[1563]] fu [[ordinato]] [[sacerdote]] e subito dopo consacrato [[vescovo]]. Partecipò alle ultime fasi del [[Concilio di Trento]] ([[1545]] - [[1563]]), diventando uno dei maggiori promotori della [[controriforma]]; fece parte della commissione incaricata di revisionare la musica liturgica; collaborò in larga parte alla stesura del [[Catechismo Tridentino]] (''Catechismus Romanus'').
Successivamente, l'[[8 febbraio]] [[1560]], fu nominato [[arcivescovo]] di [[Arcidiocesi di Milano|Milano]]. In conformità ai desideri del [[papa]], visse in modo cònsono al suo elevato grado sociale, caratterizzandosi però per la sua temperanza e la sua umiltà che non furono mai tralasciate.
Nel [[1565]], lasciata la corte pontificia, entrò della [[diocesi di Milano]], nella quale da circa 80 anni mancava un vescovo residente e nella quale si era radicata una situazione di pesante degrado, con prelati dediti alle mondanità e presbiteri non preparati e spesso scostumati.
Ristabilì una rigida disciplina nel clero, spendendosi per il rafforzamento della [[Morale|moralità]] e della preparazione dei sacerdoti, secondo le direttive del [[Concilio di Trento|Concilio tridentino]] (costituì il seminario maggiore di Milano, il [[seminario elvetico]] e altri seminari minori
Per la sua opera riformatrice si servì anche dell'opera dei recenti [[ordine religioso|ordini religiosi]] ([[Compagnia di Gesù|Gesuiti]], [[Chierici Regolari Teatini|Teatini]], [[Chierici Regolari di San Paolo|Barnabiti]]) e fondò la congregazione degli [[Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo|Oblati di Sant'Ambrogio]] nel ([[1578]]).
Negli anni del suo episcopato, dal [[1565]] al [[1584]], si dedicò alla diocesi milanese costruendo e rinnovando [[Chiesa (edificio)|chiese]] (i santuari di [[Santuario dell'Addolorata di Rho|Rho]] e del [[Sacro Monte di Varese]], [[Chiesa di San Fedele (Milano)|San Fedele]] a Milano e la [[chiesa della Purificazione di Maria Vergine in Traffiume]], si impegnò nelle [[visite pastorali]], curò la stesura di norme importanti per il rinnovamento dei costumi ecclesiastici. Fu nominato legato della [[Legazione di Romagna|Provincia di Romagna]] e [[visitatore apostolico]] di alcune diocesi [[Suffraganea|suffraganee]] di Milano, in particolare [[Bergamo]] e [[Brescia]], dove compì minuziose visite a tutte le [[Parrocchia|parrocchie]] del territorio.
La sua azione pastorale si allargò anche all'istruzione del [[Laico|laicato]] con la fondazione di scuole e collegi (quello di Brera, affidato ai gesuiti, o il Borromeo di Pavia).
Si impegnò in opere assistenziali in occasione di una durissima carestia nel [[1570]] e, soprattutto nel periodo della terribile peste del [[1576]] - [[1577]], detta anche "[[peste di San Carlo]]". [[Alessandro Manzoni]] ([[1785]] - [[1873]]) ne traccia nei ''[[Promessi sposi]]'' ([[1842]]) un ritratto nel quale sottolinea il suo impegno caritativo a favore della popolazione milanese colpita dal contagio.
Nella diocesi impose regole severe, come la separazione di uomini e donne nelle chiese e la repressione degli adulteri; inoltre pretese la sottomissione alle regole vescovili di [[Religioso|religiosi]] e laici organizzando anche una milizia privata (e armata) ai suoi diretti ordini con funzioni di polizia, il che ovviamente lo portò a scontrarsi con le legittime autorità preposte al mantenimento dell'ordine civico. In questo scontro non esitò a ricorrere anche alle [[Scomunica|scomuniche]], pur di prevalere sulle autorità secolari. Ciò gli valse numerose critiche e accuse di eccessivo rigorismo da parte delle autorità civili milanesi.
=== La soppressione degli Umiliati ===
Contrastò il potente ordine religioso degli [[Umiliati]] le cui idee si allontanavano dalla [[Chiesa cattolica]] con pericolo di scivolare verso posizioni protestanti e calviniste. Alcuni membri dell'ordine organizzarono per giunta un attentato alla sua vita
{{quote|...e circa mezz'ora di notte (verso le 22) va il manigoldo nell'Arcivescovado e ritrovando il [[Cardinale]] inginocchiato nell'oratorio con la sua [[famiglia]] in oratione, secondo il suo solito, gli sparò nella schiena un archibuggio carico di palla e di quadretti, li quali perdendo la forza nel toccar le vesti non fecero a lui offesa veruna, eccetto che la palla, che colpì nel mezzo della schiena: vi lasciò un segno con alquanto tumore (gonfiore).}}
I quattro responsabili dell'attentato alla sua vita furono arrestati e giustiziati secondo le leggi in vigore. I beni dell'ordine soppresso, furono quindi devoluti ad altri ordini e in particolare i possedimenti a Brera furono dati ai Gesuiti e furono finanziate opere religiose come le costruzioni del [[collegio Elvetico]] e della chiesa di San Fedele.
Rei confessi, sotto tortura, Gerolamo Donato, detto Farina, i [[Prevosto|Prevosti]], Girolamo di Cristoforo di Vercelli, Lorenzo da Caravaggio condannati a morte: Bartolomeo da Verona, delatore, condannato a 5 anni di carcere: autori della congiura.<ref>[Giovanni F.Carlo Bescapè,"Vita di S.Carlo Borromeo,Ingolstadii, I592, rist.Milano,[[1965]],pagg.I99-2II.].</ref>
== La persecuzione di eretici ==
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