San Carlo Borromeo
Nel Martirologio Romano, 4 novembre (A Milano è celebrato con grado di Solennità e se cade di domenica è posticipata al 5 novembre):
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San Carlo Borromeo (Arona [1], 2 ottobre 1538; † Milano, 3 novembre 1584) è stato un arcivescovo e cardinale italiano. Fu canonizzato nel 1610 da papa Paolo V.
Biografia
Nato ad Arona[1] il 2 ottobre 1538 da Gilberto II Borromeo e Margherita Medici di Marignano, sorella di papa Pio IV, crebbe nella nobile e possidente famiglia Borromeo. Tra i racconti aneddotici della prima giovinezza si narra che durante l'occupazione spagnola della Rocca di Arona, proprietà dei Borromeo, egli partecipò in prima persona alla difesa. All'età di circa 12 anni, suo zio, Giulio Cesare Borromeo, lo investì della dignità di abate e gli affidò la rendita di un'abbazia, il reddito della quale fu da lui devoluto interamente per la carità verso i poveri.
Studiò diritto canonico e civile a Pavia. Nel 1554 morì suo padre. Pur avendo un fratello maggiore, il conte Federico Borromeo, gli fu richiesto dai parenti prossimi di prendere il controllo degli impegnativi affari di famiglia; solo dopo un certo periodo poté quindi riprendere i suoi studi e laurearsi nel 1559.
A Pavia creò nel 1564 una struttura residenziale molto attrezzata per ospitare studenti universitari di scarse condizioni economiche, ma con elevati livelli di preparazione e attitudine allo studio; istituto che da lui prese il nome di Almo Collegio Borromeo. Questa istituzione rappresenta il più antico e prestigioso collegio storico di Pavia e tra i più antichi d'Italia.
Soggiorno romano
Nel 1560, lo zio materno, Giovan Angelo Medici di Marignano, venne eletto papa con il nome di Pio IV (1559 - 1565) e invitò a Roma i suoi nipoti Carlo e il fratello primogenito Federico.
Nel 1562 Federico morì improvvisamente, perciò fu consigliato a Carlo di lasciare l'ufficio ecclesiastico e di trovare moglie con cui avere dei figli, per non estinguere la dinastia familiare. Carlo, tuttavia, rifiutò, sostenendo che avendo espresso voto di castità a Dio, era meglio per lui conservare tale stato piuttosto che infrangere il voto fatto e contaminarsi il corpo e l'anima con una donna.
Nel 1563 fu ordinato sacerdote e subito dopo consacrato vescovo. Partecipò alle ultime fasi del Concilio di Trento (1545 - 1563), diventando uno dei maggiori promotori della controriforma; fece parte della commissione incaricata di revisionare la musica liturgica; collaborò in larga parte alla stesura del Catechismo Tridentino (Catechismus Romanus).
Successivamente, l'8 febbraio 1560, fu nominato arcivescovo di Milano. In conformità ai desideri del papa, visse in modo cònsono al suo elevato grado sociale, caratterizzandosi però per la sua temperanza e la sua umiltà che non furono mai tralasciate.
Vescovo a Milano
Nel 1565, lasciata la corte pontificia, entrò della diocesi di Milano, nella quale da circa 80 anni mancava un vescovo residente e nella quale si era radicata una situazione di pesante degrado, con prelati dediti alle mondanità e presbiteri non preparati e spesso scostumati.
Ristabilì una rigida disciplina nel clero, spendendosi per il rafforzamento della moralità e della preparazione dei sacerdoti, secondo le direttive del Concilio tridentino (costituì il seminario maggiore di Milano, il seminario elvetico e altri seminari minori: decretò, inoltre, che i presbiteri non potessero coabitare con donne, neppure loro strette consanguinee.
Per la sua opera riformatrice si servì anche dell'opera dei recenti ordini religiosi (Gesuiti, Teatini, Barnabiti) e fondò la congregazione degli Oblati di Sant'Ambrogio nel (1578).
Negli anni del suo episcopato, dal 1565 al 1584, si dedicò alla diocesi milanese costruendo e rinnovando chiese (i santuari di Rho e del Sacro Monte di Varese, San Fedele a Milano e la chiesa della Purificazione di Maria Vergine in Traffiume, si impegnò nelle visite pastorali, curò la stesura di norme importanti per il rinnovamento dei costumi ecclesiastici. Fu nominato legato della Provincia di Romagna e visitatore apostolico di alcune diocesi suffraganee di Milano, in particolare Bergamo e Brescia, dove compì minuziose visite a tutte le parrocchie del territorio.
La sua azione pastorale si allargò anche all'istruzione del laicato con la fondazione di scuole e collegi (quello di Brera, affidato ai gesuiti, o il Borromeo di Pavia).
Si impegnò in opere assistenziali in occasione di una durissima carestia nel 1570 e, soprattutto nel periodo della terribile peste del 1576 - 1577, detta anche "peste di San Carlo". Alessandro Manzoni (1785 - 1873) ne traccia nei Promessi sposi (1842) un ritratto nel quale sottolinea il suo impegno caritativo a favore della popolazione milanese colpita dal contagio.
Nella diocesi impose regole severe, come la separazione di uomini e donne nelle chiese e la repressione degli adulteri; inoltre pretese la sottomissione alle regole vescovili di religiosi e laici organizzando anche una milizia privata (e armata) ai suoi diretti ordini con funzioni di polizia, il che ovviamente lo portò a scontrarsi con le legittime autorità preposte al mantenimento dell'ordine civico. In questo scontro non esitò a ricorrere anche alle scomuniche, pur di prevalere sulle autorità secolari. Ciò gli valse numerose critiche e accuse di eccessivo rigorismo da parte delle autorità civili milanesi.
La soppressione degli Umiliati
Contrastò il potente ordine religioso degli Umiliati le cui idee si allontanavano dalla Chiesa cattolica con pericolo di scivolare verso posizioni protestanti e calviniste. Alcuni membri dell'ordine organizzarono per giunta un attentato alla sua vita, tuttavia il colpo di archibugio sparato alle spalle mentre il vescovo era inginocchiato a pregare e sparato da Gerolamo Donato, detto il Farina, un frate umiliato, non ebbe conseguenze; in ciò si vide un evento miracoloso. Nella causa di canonizzazione del Borromeo si cita:
« | ...e circa mezz'ora di notte (verso le 22) va il manigoldo nell'Arcivescovado e ritrovando il Cardinale inginocchiato nell'oratorio con la sua famiglia in oratione, secondo il suo solito, gli sparò nella schiena un archibuggio carico di palla e di quadretti, li quali perdendo la forza nel toccar le vesti non fecero a lui offesa veruna, eccetto che la palla, che colpì nel mezzo della schiena: vi lasciò un segno con alquanto tumore (gonfiore). » |
I quattro responsabili dell'attentato alla sua vita furono arrestati e giustiziati secondo le leggi in vigore. I beni dell'ordine soppresso, furono quindi devoluti ad altri ordini e in particolare i possedimenti a Brera furono dati ai Gesuiti e furono finanziate opere religiose come le costruzioni del collegio Elvetico e della chiesa di San Fedele. Rei confessi, sotto tortura, Gerolamo Donato, detto Farina, i Prevosti, Girolamo di Cristoforo di Vercelli, Lorenzo da Caravaggio condannati a morte: Bartolomeo da Verona, delatore, condannato a 5 anni di carcere: autori della congiura.[2]
La persecuzione di eretici
Nonostante le Diete di Ilanz del 1524 e del 1526 avessero proclamato la libertà di culto nella Repubblica delle Tre Leghe in Svizzera, il Borromeo combatté il protestantesimo nelle valli svizzere, imponendo rigidamente i dettami del Concilio di Trento. Nella sua visita pastorale in Val Mesolcina in Svizzera fece arrestare per stregoneria un centinaio di persone, dopo le torture quasi tutti abbandonarono le fede protestante salvandosi così la vita, dieci donne e il prevosto furono invece condannati al rogo nel quale furono gettati a testa in giù.
La morte e la canonizzazione
Rese l'anima al Signore, assistito dal suo vicario generale Owen Lewis il 3 novembre 1584 a Milano lasciando il suo patrimonio ai poveri. Essendo spirato dopo il tramonto (precisamente alle 20.30), secondo l'uso del tempo venne considerato il giorno 4 come sua ricorrenza.
Fu proclamato beato nel 1602 e fu canonizzato il 1º novembre 1610; la ricorrenza cade il giorno dopo la sua morte, il 4 novembre.[3]
Nel terzo centenario della canonizzazione, il 26 maggio 1910 papa Pio X scrisse l'enciclica Editae Saepe in cui celebrò la memoria e l'opera apostolica e dottrinale di Carlo Borromeo.
Castissimo
Nel processo di canonizzazione i contemporanei dettero l'appellativo di "castissimo" a Carlo Borromeo per la sua tenacia nella virtù della castità e della verginità consacrata. In gioventù aveva gettato a terra un suo vecchio servitore che gli aveva fatto accomodare una donna nel suo letto, pensando di fargli cosa gradita e non immaginando la sensibilità religiosa del giovane signore.
San Carlo rimase terribilmente sconvolto anche quando si imbatté nella scultura della moglie del Barbarossa, la bionda e bella Leobissa, dai milanesi per scherno effigiata nuda nella pietra e in atto di radersi come usavano le prostitute. Essa aveva da secoli partecipato con la sua familiare immobile presenza allo scorrere della vita cittadina. Nel vederla incombente a gambe larghe sul capo dall'arco di Porta Tosa (attuale Porta Vittoria), il santo si sentì oltremodo beffato e annichilito. Nulla infatti più delle femmine, anche se del tutto vestite, o riprodotte addirittura nude, anche se nel freddo marmo, odiava mortalmente, «il Castissimo, in tutta la sua vita non volendo parlar mai con donna alcuna, anche se gli fosse stretta parente» (Padre Grattarola).
San Carlo pellegrino alla Sindone
« | A piedi, senza paura di sporcarseli, lungo le vie della città dilaniata dalla peste, abbracciando la croce con il santo Chiodo del martirio sul Golgota. A piedi, con umiltà, osservando il digiuno, senza timore di stancarsi, per contemplare il volto del Crocifisso impresso su quell'antico sudario. » |
San Carlo Borromeo aveva una particolare devozione verso la Sindone. Il desiderio di contemplare quel lino dove, secondo la tradizione, era stato avvolto il corpo di Gesù deposto dalla Croce era andato acuendosi nel Borromeo proprio nei giorni tragici della pestilenza che sconvolse Milano e il suo territorio. Quando il flagello terminò, san Carlo, come per sciogliere un voto per grazia ricevuta, decise di partire per pregare personalmente davanti alla Sindone.
Nel settembre 1578, il duca Emanuele Filiberto di Savoia, per agevolare il pellegrinaggio dell'Arcivescovo di Milano, trasferì la reliquia dalla cappella del castello di Chambery[4] a Torino, decidendo poi di lasciarla definitivamente nel capoluogo piemontese dove tutt'ora si trova nel Duomo.
La Domenica del 6 ottobre 1578, dopo aver celebrato in Duomo, con una comitiva di altri quattordici pellegrini laici e prelati, si incamminò verso Torino.
Presto la notizia del pellegrinaggio del Borromeo si diffuse lungo tutto l'itinerario e una folla di persone attendeva e accompagnava i viandanti nei paesi via via attraversati.
Dopo quattro giornate di cammino, anche sotto la pioggia e nel fango, osservando il digiuno e con umiltà, i pellegrini milanesi giunsero alle porte di Torino, dove vennero loro incontro lo stesso duca di Savoia, l'arcivescovo della città Gerolamo della Rovere e moltissima gente del popolo. Nonostante gli inviti a riposarsi, il Borromeo volle recarsi subito a pregare in cattedrale, dove era stata deposta la Sindone.
Le celebrazioni solenni si tennero l'indomani e san Carlo presiedette la Messa e poi, finalmente, poté contemplare con i propri occhi il santo lenzuolo, adagiato su un tavolo nel coro del Duomo.
Nel pomeriggio della domenica vi fu l'ostensione pubblica, in piazza Castello. San Carlo stesso, aiutato dagli altri vescovi presenti, reggeva e mostrava la Sindone ai numerosissimi fedeli accorsi da ogni luogo per partecipare a quell'evento.
Dopo una settimana il Borromeo si preparò a tornare a Milano, portando con sé una copia pittorica[5] della Sindone donatagli dal Savoia e che oggi è conservata, quale prezioso documento storico, nella chiesa parrocchiale di Inzago[6], nel decanato di Melzo[7]
San Carlo tornò a Torino ancora tre volte per venerare la Sindone, l'ultima volta nel 1584, prima di concludere il suo pellegrinaggio terreno.
Il "Sancarlone"
Per approfondire, vedi la voce Colosso di San Carlo Borromeo |
È ricordato da una gigantesca statua ad Arona chiamata il Sancarlone che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere il culmine di un Sacro Monte a lui dedicato, ma mai completato.
Tale opera, alta 23 metri, in lamina di rame fissata con rivetti, su un'anima in muratura (al cui interno è possibile accedere), ha ispirato la tecnica di costruzione della Statua della libertà di New York (U.S.A.).
Culto
Carlo Borromeo è festeggiato il 4 novembre.
È considerato protettore dei frutteti di mele; si invoca contro le ulcere, i disordini intestinali, le malattie dello stomaco; è patrono di Milano insieme con Sant'Ambrogio e San Galdino, della Lombardia, di Monterey in California e compatrono di Francavilla Fontana in Puglia; patrono dei seminaristi, dei direttori spirituali e dei capi spirituali.
Genealogia episcopale
- Arcivescovo Filippo Archinto
- Papa Pio IV
- Cardinale Giovanni Antonio Serbelloni
- Cardinale Carlo Borromeo
Iconografia
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Edizione nazionale
A partire dal maggio 2000 è stato avviato il progetto per l'Edizione Nazionale del Carteggio di San Carlo Borromeo:
- la digitalizzazione degli originali conservati presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano
- l'indicizzazione dei loro contenuti.
Fin dall'inizio del XVII secolo la Biblioteca Ambrosiana conserva l'epistolario di Carlo Borromeo. Questo ricco carteggio, fondamentale per la storia culturale europea, si compone di ben 70.000 unità. Almeno altre 30.000 lettere si possono congetturare disperse in biblioteche e archivi di tutto il mondo.
Allo scopo di pubblicare elettronicamente tali lettere nel 1999 è nato l'ente Edizione Nazionale Carteggio San Carlo Borromeo, per interessamento dell'Accademia di San Carlo e grazie a un finanziamento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. L'ente opera all'interno della Biblioteca Ambrosiana.
Le riproduzioni digitalizzate delle lettere sono consultabili liberamente presso il sito web della Biblioteca Pinacoteca Accademia Ambrosiana.
Successione degli incarichi
Predecessore: | Abate commendatario dei Santi Felino e Graziano di Arona | Successore: | |
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Giulio Cesare Borromeo | 1547 - 1560 | ? |
Predecessore: | Abate commendatario di San Silano di Romagnano Sesia | Successore: | |
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Giovanni Angelo de' Medici | 1558 - 1560 | ? |
Predecessore: | Priore commendatario della Chiesa di Santa Maria in Calvenzano | Successore: | |
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Giovanni Angelo de' Medici | 1558 - 1560 | ? |
Predecessore: | Abate commendatario di Nonantola | Successore: | |
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? | 1560 | ? |
Predecessore: | Abate commendatario di Follina | Successore: | |
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? | 1560 | ? |
Predecessore: | Abate commendatario di Santo Stefano al Corno | Successore: | |
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? | 1560 | ? |
Predecessore: | Cardinale Segretario di Stato | Successore: | |
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Girolamo Dandini | 1560-1584 | Tolomeo Gallio |
Predecessore: | Cardinale diacono dei Santi Vito, Modesto e Crescenzia | Successore: | |
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Carlo Carafa | febbraio-settembre 1560 | Sede Vacante (1560-1565) dal 1565 Carlo Visconti |
Predecessore: | Cardinale diacono pro illa vice dei Santi Silvestro e Martino ai Monti | Successore: | |
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Diomede Carafa | 1560-1563 | titolo promosso a presbiteriato cardinalizio |
Predecessore: | Abate commendatario di Moggio | Successore: | |
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Carlo Carafa | 1561 – 1567 | Bartolomeo di Porcia |
Predecessore: | Cardinale presbitero dei Santi Silvestro e Martino ai Monti | Successore: | |
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diaconia cardinalizia pro hac vice | 1563-1564 | Philibert Babou de la Bourdaisière |
Predecessore: | Arcivescovo metropolita di Milano Amministratore |
Successore: | |
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Giovanni Angelo Medici | 1560-1564 | Eletto Arcivescovo |
Predecessore: | Legato apostolico di Bologna | Successore: | |
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Carlo Carafa | 26 aprile 1560 - 5 gennaio 1570 | Alessandro Sforza di Santa Fiora |
Predecessore: | Legato apostolico di Romagna | Successore: | |
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Giovanni Angelo de' Medici | 26 aprile 1560 - 5 gennaio 1570 | Alessandro Sforza di Santa Fiora |
Predecessore: | Arcivescovo metropolita di Milano | Successore: | |
---|---|---|---|
Eletto da Amministratore | 1564-1584 | Gaspare Visconti |
Predecessore: | Arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore | Successore: | |
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Giovanni Domenico De Cupis | 1564 - 1584 | Filippo Boncompagni |
Predecessore: | Presidente della Congregazione per il Clero | Successore: | |
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? | 1564-1565 | Francesco Alciati |
Predecessore: | Cardinale presbitero di Santa Prassede | Successore: | |
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Cristoforo Guidalotti Ciocchi dal Monte | 1564-1584 | Nicolas de Pellevé |
Predecessore: | Camerlengo del Collegio Cardinalizio | Successore: | |
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Carlo Borromeo | 10 gennaio 1575 - 9 gennaio 1576 | Niccolò Caetani |
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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