Sublimis Deus
Sublimis Deus Bolla pontificia di Paolo III | |
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Data | 2 giugno 1537 (III di pontificato) |
Traduzione del titolo | Il Dio sublime |
Argomenti trattati | Condanna della schiavitù |
Tutti i documenti di Paolo III Tutte le Bolle pontificie |
Sublimis Deus ("Il Dio sublime") è una bolla di Papa Paolo III del 2 giugno 1537, nella quale viene condannata la schiavitù degli indios, dato che sono "veri uomini" e capaci di accogliere la fede cristiana.
Il documento viene spesso citato come Veritas Ipsa ("la stessa verità"), con il testo (così iniziante) riportato senza le considerazioni previe.[1]
Contesto
La scoperta dell'America e dei suoi abitanti diede origine a capziose discussioni accademiche se gli indios potessero essere considerati uomini o meno, con la conseguente liceità della loro riduzione in schiavitù: cf. la disputa di Valladolid, che vedeva contrapposta la tesi della difesa degli indios del domenicano Bartolomeo de Las Casas, contro la tesi della liceità del loro asservimento proposta in particolare dall'umanista aristotelico Juan Gines de Sepulveda.
Promotori della bolla furono soprattutto due frati domenicani, Bernardo de Minora (o de Minya) e frate Julian Garces, vescovo di Tlaxcala. Frate Bernardo, protetto dalla imperatrice Isabella di Portogallo, e senza che ne fosse al corrente l'imperatore Carlo V, si recò a Roma per informare il Papa circa i maltrattamenti cui erano sottoposti gli indios.
Contenuto
Paolo III accolse la richiesta dei domenicani e promulgò la bolla. Tenendo conto della dottrina teologica e della documentazione a lui pervenuta, in particolare circa l'anelito cristiano degli indigeni, volle porre fine alle dispute e proclamò gli indios veros homines. Notevole è la portata assolutamente universale dell'affermazione, che riguarda non solo occidentales et meridionales Indos, ma tutti gli indigeni anche pagani che verranno conosciuti in futuro (omnes alias gentes ad notitiam christianorum in posterum deventuras, licet extra fidem christianam existant).
L'umanità degli indigeni comporta che hanno diritto a godere della propria libertà e dell'uso dei propri beni (sua libertate ac rerum suarum dominio huiusmodi uti et potiri et gaudere libere et licite posse), e la loro eventuale schiavitù viene giudicata illegittima e nulla (irritum et inane), anche se non viene prevista la scomunica per gli schiavisti (come invece la precedente Creator Omnium del 1434).
Testo
Testo latino[2] | Traduzione italiana[3] |
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Paulus Episcopus, servus servorum Dei, Universis Christi fidelibus praesentes litteras inspecturis, Salutem et Apostolicam benedictionem. Sublimis Deus sic dilexit humanum genus, ut hominem talem condiderit qui non solum boni sicut caeterae creaturae particeps esset, sed ipsum Summum Bonum inaccesibile et invisible attingere et facie ad faciem videre posset: et cum homo ad vitam et beatitudinem aeternam obeundam, etiam sacrarum literarum testimonio, creatus sit, et hanc vitam et beatitudinem aeternam, nemo consequi valeat, nisi per fidem Domini nostri Iesu Christi fateri necesse est, hominem talis conditionis et naturae esse, ut Fidem Christi recipere possit, et quemcumque, qui naturam hominis fortitus est ad ipsam Fidem recipiendam habilem esse. Nec enim quisquam adeo desipere creditur, ut se secredat Fidem obtinere posse, et medium summe necessarium, nequaquam attingere. Hinc veritas ipsa, quae nec falli, nec fallere potest, cum praedictores fidei ad offitium praedicationis destinaret, dixisse dignoscitur: Euntes, docete omnes gentes. Omnes dixit, absque omni deletu, cum omnes fidei disciplinae capaces existant. Quod videns et invidens ipsius humani generis aemulus qui bonis operibus, ut pereant semper adversatur, modum excogitavit ac temis inauditum, quo impediret, ne verbum Dei gentibus salvae fierent, praedicaretur, ac quosdam suos satelites commovit, qui suam cupiditatem ad implere cupientes occidentales, et meridionales Indos, et alias gentes, quae temporibus istis ad nostram notitiam pervenerunt, sub praetextu, quod Fidei Catholicae expertes existant, uti muta animalia ad nostra obsequia redigendos esse passim asserere praesumunt. Nos igitur qui eiusdem Domini Nostri vices, licet immeritis, gerimus in terris, et oves gregis sui nobis commissas, quae extra eius ovile sunt, ad ipsum ovile toto nixu exquirimus. Attendentes Indos ipsos, utpote veros homines, non solum Christianae Fidei capaces existere, sed ut nobis innotuit, ad fidem ipsam promptissime currere. Ac volentes super his congruis remediis providere, praedictos Indos et omnes alias gentes ad noticiam Christianorum imposterum deventuras, licet extra Fidem Christi existant sua libertate ac rerurn suarum dominio privatos, seu privandos non esse. Imo libertate et dominio huiusmodi, uti et potiri, et gaudere, libere et licite posse, nec in servitutem redigi debere. Ac si secus fieri contigerit irritum et inane. Ipsosque Indos et alias gentes verbi Dei praedicatione et exemplo bonae vitae ad dictam Fidem Christos invitandos fore, et praesentium literarum transumptis manu alicuius Notarii publici subscriptis, ac sigillo alicuius personae in dignitate Ecclesiastica constitutae munitis, eadem fidem adhibendam esse, quae originalibus adhiberetur auctoritate Apostolica per praesentes decernimus et declaramus. Non obstantibus praemissis, caeterisque contrariis quibuscumque... Datum Romae anno Domini 1537, quarto nonas Iunii, Pontificatus nostri anno tertio. |
Paolo (III) vescovo, servo dei servi di Dio, a tutti i fedeli in Cristo che leggeranno questa lettera, salute e benedizione apostolica. Il Dio sublime così amò il genere umano, che creò l'uomo in maniera tale che non solamente potesse partecipare del bene come le altre creature, ma anche potesse raggiungere il sommo bene inaccessibile e invisibile, e potesse vederlo faccia a faccia; e per quanto l'uomo sia stato creato per raggiungere la vita e la beatitudine eterna, come testimonia la sacra scritture, che nessuno può conseguire, se non attraverso la confessione della fede in Nostro Signore Gesù Cristo, è necessario che possieda le doti naturali e la capacità perché possa ricevere la fede in Cristo, e chiunque di tali doti sia provvisto è capace di ricevere la stessa fede. Né è credibile che esista alcuno con così poco intendimento da desiderare la fede e tuttavia essere privo delle facoltà necessarie per ottenerla. Dunque la verità stessa (Gesù Cristo), che non ha mai errato né può errare, quando destinò i predicatori della fede al compito della predicazione, disse: Andate, ammaestrate tutte le genti (Mt 28,19). Tutte, disse, senza eccezione, poiché tutti sono capaci di essere istruiti nella fede. Questo vedendo e invidiando il nemico del genere umano, che avversa sempre le buone opere affinché periscano, escogitò un modo inaudito per impedire che la parola di Dio predicata alle genti le facesse salve, e incitò alcuni dei suoi accoliti, i quali volendo soddisfare il suo compiacimento, presumono di asserire che gli indiani occidentali e meridionali e le altre genti, di cui in questi tempi giunse a noi notizia, con il pretesto che ignorano la fede cattolica, devono essere sottoposti ai nostri ossequi come muti animali. Noi dunque che, sebbene immeriti, esercitiamo sulla terra le veci di Nostro Signore, cerchiamo con ogni sforzo anche le pecore del suo gregge a noi affidate che sono fuori dal suo ovile, per ricondurle allo stesso ovile. Consideriamo gli stessi indiani come veri uomini, non solo capaci di ricevere la fede cristiana, ma come ci hanno informato, prontissimi ad accorrere alla stessa fede. E volendo a queste cose provvedere con congrui rimedi, (determiniamo e dichiariamo) che i suddetti indiani e tutte le altre genti delle quali giungerà notizia in futuro ai cristiani, anche se sono fuori della fede in Cristo, non siano privati della loro libertà e del dominio delle loro cose. Di tali libertà e dominio, possono usare e possedere e godere, liberamente e lecitamente, e non devono essere ridotti in servitù. E se accade il contrario, sia invalido e nullo. E i suddetti indiani e le altre genti devono essere invitati alla fede in Cristo con la predicazione della parola di Dio e l'esempio di una buona vita. E la presente lettera sia trascritta a mano da qualche notaio pubblico sottoscrivente, e sia munita del sigillo di qualche persona costituita di dignità ecclesiastica, così da essere fornita della stessa fedeltà come se fosse fornita dall'originale, con la presente determiniamo e dichiariamo con autorità apostolica. Nonostanti le cose suddette e contro chiunque agisce contrariamente. Data in Roma nell'anno 1537, 2 giugno, nel terzo del nostro pontificato. |
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