Chiesa di Santa Maria della Pace (Forlì)
Chiesa di Santa Maria della Pace | |
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Stato | Italia |
Regione | Emilia Romagna |
Provincia | Forlì-Cesena |
Comune | Forlì |
Diocesi | Forlì-Bertinoro |
Religione | Cattolica |
Oggetto tipo | Chiesa |
Dedicazione | Maria Vergine |
Inizio della costruzione | 1507 |
Soppressione | XIX secolo |
La Chiesa di Santa Maria della Pace è un'edificio di culto, oggi scomparso, di Forlì, situato lungo l'attuale Corso della Repubblica, sul lato meridionale, all'altezza dell'attuale abitazione nota anche come Casa Serughi, da non confondere con il palazzo omonimo.
Storia
L'origine della chiesa risulta ignota, ma Sigismondo Marchesi la fa risalire al 1507, quando un eremita l'avrebbe fatta costruire dove si trovava un'immagine chiamata la Madonna delle tre Colonne; proseguendo, il Marchesi spiega che il titolo della Pace risalirebbe ad una "pace" fra guelfi e ghibellini "che in essa solennemente si fece" nel 1534 per opera di Gregorio Magalotti (1490 ca. – 1537), vescovo di Chiusi[1]. Mentre in un atto del notaio Bernardino Menghi del 23 maggio 1517, quindi redatto ben prima rispetto alla datazione indicata da Marchesi, la chiesa è già chiamata di Santa Maria della Pace: l'atto prevede la cessione, da parte della comunità di Forlì, di tale edificio ai religiosi del Santuario di Santa Maria delle Grazie, sulla base di due brevi del papa Leone X (1513 - 1521), con i quali veniva affidata al Comune di Forlì, al quale si concedeva la facoltà di assegnarla, anche qui detta di Santa Maria della Pace, ad una comunità religiosa[2]. A questi l'edificio appartenne fino al 14 novembre 1713, quando fu acquistato da Lucio Carrari, che ne divenne patrono e rettore. Dal 1735 fino alla fine del secolo vi officiarono i Chierici Regolari Ministri degli Infermi, detti anche Camilliani.
Soppressa durante la dominazione francese, fu acquistata in parte da un certo Francesco Ricci, che vi impiantò una fabbrica di salnitro, ed in parte da un tal Bartolomeo Pavia. Successivamente, l'edificio venne interamente adibito ad abitazioni private e poi trasformato nella cosiddetta Casa Serughi.
Note | |
Bibliografia | |
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