Enoteismo
Con enoteismo si intente la credenza nelle singole divinità intesa come culto di un unico Dio alla volta. Deriva dal greco henos (=uno) e theos (=dio).
Storia del termine
Il termine fu coniato da Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775-1854) nel suo studio sulla mitologia. Lo usò per definire quello che secondo lui era una sorta di monoteismo imperfetto, proprio dei popoli preistorici, che definì "relativo e rudimentale".
Friedrich Max Müller (1823-1900), considerato il fondatore della mitologia comparata, interessandosi soprattutto di questioni relative alla religione indiana, utilizzò il termine "enoteismo" per definire quel particolare politeismo rintracciabile nelle descrizioni delle divinità nel Rgveda.
Studiando i testi constatò che nelle invocazioni rituali, dedicate a ogni singola divinità, quest'ultima veniva considerata dai fedeli come unica, assoluta, isolata dal resto del pantheon indiano. In questo senso faceva derivare l'espressione da kathenotheism (da kath’hena = uno a uno). Vissuto all'epoca in cui l'evoluzionismo era la corrente culturale più condivisa giunse alla conclusione che l'enoteismo doveva essere una fase universalmente diffusa e precedente al politeismo e al monoteismo.
Gli studi storico-religiosi utilizzano ancora oggi la categoria di enoteismo elaborata da Müller, anche se hanno abbandonato la componente evoluzionistica del suo pensiero.
Alcuni usano la parola "enoteismo" per designare quelle forme religiose che, all'interno di un contesto politeistico, concepiscono gli dei come aspetti diversi, sfaccettature differenti di quell'unica divinità, Dio, spesso identificato come l'Uno, che li supera e li determina. In questo caso gli dei sarebbero degli intermediari tra gli uomini e quell'Uno elevatissimo al quale è impossibile giungere direttamente.
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