Il Principe

Da Cathopedia, l'enciclopedia cattolica.
100%Decrease text sizeStandard text sizeIncrease text size
Share/Save/Bookmark
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Il Principe
[[File:|250px|center]]
Sigla biblica
Titolo originale De Principatibus
Altri titoli
Nazione [[]]
Lingua originale italiano
Traduzione
Ambito culturale
Autore Niccolò Machiavelli
Note sull'autore
Pseudonimo
Serie
Collana
Editore
Datazione 1513
Datazione italiana
Luogo edizione Firenze
Numero di pagine
Genere saggio
Ambientazione
Ambientazione Geografica
Ambientazione Storica

Personaggi principali:

Titoli dei racconti
Della serie {{{Serie}}}
Libro precedente
Libro successivo
Adattamento teatrale
Adattamento televisivo
Adattamento cinematografico
Note
Premi:
Collegamenti esterni:
ID ISBN
Virgolette aperte.png
Ditegli [a Machiavelli] che lo considero un immorale bastardo e che, per quanto mi riguarda, la cosa migliore del suo libro [Il Principe] è che era corto.
Virgolette chiuse.png
(Glenn Cooper, Dannati, tr. it. Nord 2014, p. 345)

Il Principe (titolo originale De Principatibus, "sui principati") è la più nota opera dello scrittore fiorentino Niccolò Machiavelli (1469-1527). Scritta in italiano e terminata nel 1513, è stata stampata per la prima volta nel 1532.

Nell'opera Machiavelli esprime una visione pragmatica e utilitarista del potere politico, che in seguito è stata sintetizzata dalla frase "il fine giustifica i mezzi", testualmente assente nei testi di Machiavelli ma suggerita dal contenuto del cap. 18 del Principe.[1] Similmente, all'opera può essere riferita l'origine dell'aggettivo "machiavellico", indicante un insieme di cinismo e spregiudicatezza ottenuti anche tramite inganni e violenze, con agire astuti, subdoli e senza scrupoli, tramite i quali un governante può operare per il mantenimento del proprio potere.[2]

Contesto e finalità

L'opera può essere inquadrata in un duplice contesto:

  • la discesa in Italia delle truppe francesi di Carlo VIII nel 1494 sancì la fine del rinascimento italiano, privò (anche nei secoli seguenti) regni e signorie italiane dell'autonomia politica a vantaggio delle potenze straniere, e spinse l'Italia al declino economico e culturale, complice anche la scoperta dell'America e la crescente importanza dell'Atlantico a discapito del Mediterraneo;
  • dopo la breve repubblica teocratica di Savonarola (1494-98) Machiavelli ricoprì ruoli importanti nella breve repubblica fiorentina tra il 1498-1512, ma al ritorno al governo dei Medici fu esonerato dagli incarichi pubblici e si ritirò nella tenuta privata dell'Albergaccio, nella speranza che i nuovi signori lo chiamassero almeno "a voltolare un sasso". Il testo del Principe è dedicato al signore Lorenzo de' Medici, che Machiavelli invita a riscattare le sorti dell'Italia grazie anche ai consigli contenuti nell'opera. L'invito rimase comunque inascoltato e Machiavelli terminò la sua vita senza altri incarichi pubblici.

Nella successiva opera dei Discorsi composta tra il 1515-17 Machiavelli esalta i valori e la virtù della repubblica, nella fattispecie dell'antica Roma, contraddicendo implicitamente i principi filo-monarchici esposti nel Principe.

Contenuto

L'opera è composta da 26 capitoli più una dedica iniziale. Il testo è in italiano (fiorentino) anche se i titoli originali sono in latino.

Dedica. Niccolò Machiavelli al Magnifico Lorenzo di Piero de' Medici.

1. Quante siano le specie de' Principati, e con quali modi si acquistino.

Gli stati possono essere così strutturati:

  • repubbliche (cfr. Discorsi)
  • principati
    • ereditati
    • acquisiti
      • con armi altrui
      • con armi proprie

2. De' Principati ereditari. Hanno minore difficoltà a essere mantenuti, dato che il popolo è assuefatto a tale dominio.

3. De' principati misti. Nel caso del principato nuovo vi sono difficoltà: ci sono come nemici gli sconfitti, e quelli che potrebbero giovarne sono amici ancora indecisi. Nel caso del principato misto, cioè aggiunto a uno stato già esistente, la situazione per il governante è facile se i principati sono omogenei (p.es. Normandia e Francia), altrimenti difficile (p.es. Grecia e Turchia). Una soluzione è insediare colonie nel nuovo stato acquisito (p.es. colonie romane). Nell'attuale situazione italiana, Venezia chiamò Carlo di Francia per conquistare la Lombardia, e questi prese due terzi d'Italia. Gli errori di Carlo furono: ha indebolito gli stati deboli; ha rafforzato papa; non è venuto in Italia; non ha fondato colonie francesi in Italia. Gli italiani non si intendono di guerra, ma francesi non si intendono di stato (suggerendo con questo un riscatto italiano).

4. Perché il Regno di Dario da Alessandro occupato non si ribellò dalli successori di Alessandro dopo la sua morte. Uno stato può essere strutturato in maniera centralizzata, come l'impero persiano di Dario o l'impero turco ottomano, oppure in maniera decentralizzata, come il regno di Francia dove il re è posto in mezzo a una moltitudine di signori. Nel primo caso basta soppiantarsi al regnante (come Alessandro a Dario), mentre gli stati ordinati e decentralizzati sono meno facili da governare una volta conquistati.

5. In che modo siano da governare le città o Principati, quali, prima che occupati fussino, vivevano con le loro leggi. Nel caso di nuove conquiste: o vanno distrutte (p.es. Romani e Cartagine), o tenute (p.es. Romani e Grecia), o mantenute autonome con tasse.

6. De' Principati nuovi, che con le proprie armi e virtù si acquistano. I problemi circa i nuovi principati dipendono da virtù e fortuna. L'innovatore-conquistatore ha come fermi oppositori chi ha vantaggi dal vecchio stato, e tiepidi sostenitori chi avrà beni dallo stato futuro.

7. De' Principati nuovi, che con forze d'altri e per fortuna si acquistano. Se con molta fortuna si diventa principi (p.es. Francesco Sforza; Cesare Borgia, "Valentino"), dopo ci vorrà molta virtù (impegno, armi) per mantenersi, e viceversa. Valentino Borgia per mantenersi al potere volle: uccidere gli spodestati; farsi amici curiali a Roma; farsi amici cardinali per il nuovo papa; acquistare un impero per resistere a impeto. Politicamente Cesare-Valentino ha sbagliato dato che ha conseguito tre cose su quattro, non avendo impedito l'elezione papale dell'avversario Della Rovere (Giulio II).

8. Di quelli che per scelleratezze sono pervenuti al Principato. Se il nuovo principe deve compiere scelleratezze contro gli avversari (cioè eliminarli), bisogna che lo faccia all'inizio del suo dominio e sistemando tutti insieme gli avversari.

9. Del Principato civile. Chi diventa principe grazie al popolo deve tenerselo amico. Se lo diventa grazie a nobili, deve comunque ingraziarsi anche il popolo.

10. In che modo le forze di tutti i Principati si debbino misurare. I principati si difendono da soli o grazie ad altri. Sono comunque utili le fortificazioni in città.

11. De' Principati Ecclesiastici. Diversamente dai principati secolari sono più stabili, dato che sono ritenuti esaltati e difesi da Dio, da qui anche la ricchezza della Chiesa.

12. Quante siano le spezie della milizia, e de' soldati mercenari. Un principe per mantenere il suo dominio necessita di buone leggi e buone armi. Queste possono essere o proprie o mercenarie o miste. Le milizie mercenarie sono inutili e pericolose: non hanno timore di Dio né fedeltà agli uomini. Sono fedeli in tempo di pace ma inaffidabili in tempo di guerra. Questa è la ragione della facile conquista dei francesi di Carlo VIII dei principati italiani: in Italia c'erano 20 mila soldati mercenari, ma sparirono di fronte ai francesi riducendosi a 2000. Erano mercenarie anche le truppe cartaginesi, dissoltesi di fronte alle truppe romane. I mercenari fuggono fatica e pericoli.

13. De' soldati ausiliari, misti, e propri. Anche le truppe ausiliarie sono inutili come i mercenari, dato il continuo pericolo di insubordinazioni. Anche l'impero romano è caduto per mercenari goti.

14. Quello che al Principe si appartenga circa la milizia. Il controllo delle milizie è importante, dato che non è ragionevole che l'armato obbedisca al disarmato. È comunque utile conoscere bene il paese e le difese.

15. Delle cose, mediante le quali gli uomini, e massimamente i Principi, sono lodati o vituperati. I principi devono apparire virtuosi nel loro operato.

16. Della liberalità e miseria. Troppo liberalismo (prodigalità) del principe può portare alla bancarotta dello stato, ma vanno evitate anche le troppe tasse al popolo.

17. Della crudeltà e clemenzia; e se egli è meglio essere amato, che temuto. Si dovrebbe essere pietosi e non crudeli. Ma il principe nuovo è spesso crudele, ed è più sicuro essere temuto che amato. Il principe deve comunque fuggire l'odio e non rubare cose o donne ai cittadini. Inoltre la crudeltà del governante tiene l'esercito unito e disciplinato.

18. In che modo i Principi debbino osservare la fede. Un principe deve mantenere la fede, ma non quando questo gli torna contro. Spesso i principi nuovi devono agire contro fede, carità, umanità, religione. Ma a udirlo e vederlo il principe deve comunque bene apparire su queste cose: gli uomini giudicano più con gli occhi che con le mani.

19. Che si debbe fuggire l'essere disprezzato e odiato. Il principe deve fuggire l'odio e il disprezzo. Deve aver paura dei sudditi, evitando i soprusi, e dei nemici esterni tramite un buon esercito. Se il popolo è con lui non deve temere congiure, ma deve anche temere l'esercito, che era la priorità degli imperatori romani. Il principe deve essere al contempo volpe (astuto) e leone (feroce). I romani erano più attenti a soddisfare esercito, ora è più necessario accontentare il popolo che può più dell'esercito.

20. Se le fortezze, e molte altre cose che spesse volte i Principi fanno, sono utili o dannose. Le fortificazioni (rocche, castelli) sono utili contro il popolo, ma la miglior fortezza del principe è non essere odiato dal popolo.

21. Come si debba governare un Principe per acquistarsi riputazione. Il principe viene stimato dal popolo per le sue grandi imprese, deve dare fama di uomo grande e ingegno eccellente.

22. Delli segretari de' Principi. Segretari e ministri devono essere intelligenti e fedeli.

23. Come si debbino fuggire gli adulatori. Il principe deve ascoltare tutti ma deliberare da sé.

24. Perché i Principi d'Italia abbino perduto i loro Stati. La causa del declino degli stati italiani di fronte alle truppe francesi va ricondotta alle inaffidabili truppe mercenarie.

25. Quanto possa nelle umane cose la fortuna, e in che modo se gli possa ostare. Molti credono nel fato o nella provvidenza. Non solo, ma serve anche la virtù. Bisogna piegare la fortuna.

26. Esortazione a liberare la Italia da' barbari. Dedica finale a Lorenzo il Magnifico. È necessaria l'attuale confusione in Italia per far emergere un gran principe, come accadde per Mosè e gli Ebrei. Devi agire. Dio non vuol fare ogni cosa per non toglierci il libero arbitrio.

Accoglienza

Per i suoi consigli politici privi di umana pietà e alieni al benessere collettivo l'opera fu messa all'Indice nell'Europa cattolica nel 1557, quindi nell'Indice tridentino del 1564, e nel 1559 Machiavelli fu bruciato in effigie dai gesuiti sulla piazza di Ingolstadt (Germania).[3]

Francesco Bacone (m. 1626) precisò che "Machiavelli e gli altri scrittori come lui [...] senza infingimenti dicono quelli che gli uomini di solito fanno, non quello che debbono fare".[4] Per Antonio Gramsci (m. 1937) "il Principe prende il posto, nelle coscienze, della divinità o dell'imperativo categorico, diventa la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume".[5]

Note
  1. Cfr. la voce Il fine giustifica i mezzi, sul vocabolario online Treccani.
  2. Cfr. la voce Machiavèllico sul vocabolario online Treccani.
  3. Introduzione, pp. VI-VII, in "Il Principe", a cura di Giorgio Inglese.
  4. F. Bacone, De dignitate et augmentis scientiarum, in Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, UTET, Torino 1975, p. 302, cit. da Inglese, p. VII.
  5. A. Gramsci, Quaderno 13. Noterelle sulla politica di Machiavelli, Einaudi, Torino 1981, p. 9, cit. da Inglese, p. XI.
Bibliografia
  • Niccolò Machiavelli, Il Principe, a cura di Giorgio Inglese, Einaudi, Torino 2013, ISBN 9788806221959
  • Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, vol. 1, Einaudi Scuola, 1992, pp. 264-283
Voci correlate
Collegamenti esterni