Sefarditi

Da Cathopedia, l'enciclopedia cattolica.
100%Decrease text sizeStandard text sizeIncrease text size
Share/Save/Bookmark
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

I sefarditi sono gli Ebrei di tradizione occidentale, presenti in passato in particolare nella penisola iberica. Sono distinti dagli Ebrei di tradizione germanica-slava (askenaziti), e anche se hanno un'origine distinta dagli ebrei mizrahim, "orientali" (originari di Palestina, India, Iran) questi ultimi hanno accolto riti e regole sefardite. Fino al 1650 i sefarditi hanno rappresentato la componente maggioritaria dell'ebraismo, per poi perdere terreno a favore degli askenaziti.

Le due ramificazioni non sono distinte per la fede ma per usi e costumi, riti e lingua.

Etimologia

In Abd 20 si legge: "gli esuli di Gerusalemme, che sono in Sefarad, possederanno le città del Negheb". La tradizione ebraica ha idenficato la località con la Spagna, ma i biblisti contemporanei sono propensi a farla coincidere con la città di Sardi, nell'attuale Turchia.

Identificazioni affini si hanno per Sarepta, citata nello stesso verso biblico, verosimilmente la città di Saraphand sita tra Tiro e Sidone, ma fatta coincidere con la Francia. Per il gruppo degli askenaziti l'etimo è personale, rifacendosi ad Aschenàz discendente di Iafet, figlio di Noè (Gen 10,3 ).

Ancora oggi, nell'ebraico contemporaneo, la parola sefardì indica la lingua e nazione spagnola, mentre sarfàti la lingua e nazione francese.

Cenni storici

Insediamento e dominio visigoto

I primi contatti tra gli Ebrei e la Spagna sono ipotizzabili identificando Tarsis (1Re 10,22 ; Gio 1,3 ;Ez 27,12 ) con la città spagnola di Tartesso, anche se l'identificazione non è sicura. Le prime tracce certe si hanno solo dopo la diaspora del 70 d.C., quando sono testimoniati insediamenti nelle città portuali e del levante. Per i primi secoli non si hanno testimonianze di scontri tra ebrei e romani o cristiani. La prima testimonianza di emarginazioni si ha nel concilio di Elvira (305), quando sono vietati i matrimoni tra cristiani ed ebrei.

Durante le migrazioni barbariche i visigoti occuparono la Spagna, stabilendo la capitale a Toledo nel 560. Inizialmente professavano il cristianesimo ariano. La conversione di re Recaredo al cattolicesimo (587) coincise con la fine della tolleranza verso gli Ebrei. Il terzo concilio di Toledo (589) ribadì il divieto di matrimoni misti, proibì incarichi pubblici agli ebrei, vietò loro l'acquisto degli schiavi cristiani. Re Sisobuto nel 612 proibì non solo l'acquisto ma anche il possesso degli schiavi. Nel 615/16 impose agli ebrei il battesimo, pena la fustigazione e un parziale sequestro dei beni, e alcuni ebrei migrarono in Francia. Nel 655 il nono concilio di Toledo minacciava bastonate per chi non andasse in Chiesa. Re Ervigio (680–687) promulgò diverse leggi contro gli ebrei, che ne implicarono la definitiva fuga dal regno o conversione. Gli ultimi provvedimenti si ebbero nel XVII concilio di Toledo (694), che punendo usanze ebraiche voleva colpire i criptogiudei, cioè gli ebrei che si erano formalmente convertiti al cristianesimo ma mantenevano una nascosta fede ebraica.

Dominio islamico

A partire dal 612 molti ebrei fuggirono in nord Africa. Ebbero una parte importante nel condurre i mori alla conquista del regno visigoto, a partire dal 711, combattendo contro gli antichi persecutori. Il dominio islamico fu inizialmente benevolo con gli ebrei che avevano accettato la condizione di dhimmis (protetti) e iniziò così l'età dell'oro del giudaismo spagnolo, spesso fatta coincidere col primo califfo di Cordoba, Abd al-Rahman III (912-961). La città di Cordoba divenne la più grande d'Europa, e si assistette a una grande evoluzione culturale che riguardò anche la comunità ebraica.

D'altro canto, la dominazione islamica non fu sempre dorata per gli ebrei, come accadde anche per i cristiani mozarabi. Un massacro di ebrei a Cordova (1011) causò circa 2.000 vittime,[1] a Granada (1066) circa 3.000.[2]

Le persecuzioni causate dalla dinastia Almoade ("monoteisti", 1130-1212) implicarono la distruzione delle sinagoghe e la chiusura delle scuole rabbiniche. Ne seguì un esodo degli ebrei verso il settentrione cristiano, e anche Maimonide fu spinto ad abbandonare Cordova e rifugiarsi in Egitto.

Dominio spagnolo

La vittoria cristiana a Las Navas de Tolosa (1212) implicò tra il 1229 e il 1248 un incremento nel processo della reconquista iberica da parte degli stati di Castiglia e Aragona. Gli ebrei giocarono inizialmente un ruolo di primo piano nella gestione degli stati, come interpreti, diplomatici, medici, esattori delle tasse, e il commercio internazionale si trovava in mano a loro. Era garantita libertà religiosa.

In questo contesto si colloca la disputa di Barcellona del 20-24 luglio 1263, alla presenza del re aragonese Giovanni I e col beneplacito del vescovo, che vide contrapposti il converso (ex ebreo) domenicano Pablo Christiani e il rabbino Nahmanide (Moshe ben Nahman, 1194-1270), cui era garantita libertà di parola. Dopo il vantaggio di Nahmanide la disputa non ebbe chiara conclusione, ma mostrò la linea di rottura della società spagnola: re, aristocrazia ed ecclesiastici erano ben disposti verso gli ebrei, mentre non accadeva per la popolazione, il basso clero e gli ordini religiosi. Causa importante dell'antisemitismo popolare era l'usura, dato che ai cristiani era proibita.

Il '300 aveva visto l'Europa devastata dalla peste, e spesso gli ebrei furono incolpati del male, ma questo non si verificò in Spagna. Nel 1391 si verificò l'unico pogrom sistematico della storia spagnola. Sobillata dal predicatore Ferrán Martínez, arcidiacono di Siviglia, il 4 giugno la folla della città attaccò gli ebrei, e nei mesi di luglio e agosto la persecuzione si estese a tutta la Spagna. Gli ebrei spesso furono costretti al battesimo, o costretti alla fuga o uccisi (ca. 250 morti a Valencia, ca. 300 a Palma de Maiorca, ca. 300 a Barcellona).

Le conversioni comunque non furono solo forzate. Tra le conversioni spontanee di celebri ebrei al crstianesimo, ebbero particolare risonanza Abner di Burgos (poi Alfonso di Valladolid, m. 1347), Salomo ha-Lewi (poi Pablo de Santa Maria, nel 1390), Josua Lorki di Lorca (poi Gerònimo di Santa Fè, m. 1419). Quest'ultimo fu convertito dal domenicano Vincenzo Ferrer e divenne il medico personale dell'antipapa avignonese Benedetto XIII. Sul modello della disputa di Barcellona del 1263, Gerònimo, Ferrer e Benedetto idearono una disputa pubblica che ebbe luogo a Tortosa tra il 1413-14. L'antipapa dichiarò la vittoria cristiana e ordinò di censurare i passi del Talmud giudicati anticristiani. Fu però anche permesso agli ebrei convertiti forzatamente di tornare alla propria fede.

Nel corso del XV secolo crebbe il malcontento popolare verso i conversos o "nuovi cristiani" o "marrani", sospettati (come effettivamente spesso accadeva) di essere ancora ebrei e solo esteriormente cristiani (criptogiudei). Nel 1449 nelle città di Toledo e Ciudad Real vennero emanati statuti locali che vietavano cariche pubbliche ai nuovi cristiani, nonostante l'opposizione di re e papa. A Cordova nel 1473, durante una processione, una ragazza conversa rovesciò (per sbaglio o intenzionalmente) acqua dal balcone. Ne derivarono scontri e il conseguente statuto che vietava ruoli pubblici ai conversi.

Nel 1478 fu istituita l'inquisizione (la Suprema) col consenso di Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona, dietro ispirazione dei domenicani Alfonso di Hojeda e Tomàs de Torquemada. Secondo Bossong, "già nei primi anni furono bruciati 700 conversos", e "fino al 1490 vennero condannati per attegiamenti giudaizzanti 13.000 convertiti, molti dei quali finirono al rogo" (p. 50). Nel regno di Filippo V (1700-1746) sarebbero stati bruciati 1.500 eretici, e per l'intero corso della sua attività (1478-1834) le vittime sarebbero state 150.000 (Bossong, p. 63). L'inquisizione comportò un effetto collaterale: aveva autorità sui cristiani, inclusi i conversos, mentre gli ebrei non potevano essere da essa giudicati. Questo potè rappresentare un freno per le conversioni spontanee al cristianesimo, per paura di essere accusati come criptogiudei.

Nel 1485 Pedro de Arbués, nuovo grande inquisitore di Aragona, venne pugnalato mentre pregava nella cattedrale di Saragozza da otto congiurati conversos. Nel 1490 il converso Benito Garcìa fu accusato di criptogiudaismo, e accusò altri due conversi dell'omicidio rituale di un bambino cristiano. La tortura estorse le confessioni e ad Avila il 16 novembre 1491 furono bruciati due ebrei e sei conversos. Del "santo bambino di La Guardia" non venne però mai trovato il cadavere né fu dichiarata la scomparsa.

Questo preparò l'editto di espulsione di tutti gli ebrei dalla Spagna (Decreto di Alhambra, 31 marzo 1492). Il decreto venne promulgato in due versioni, per la Castiglia e l'Aragona. La prima versione ha motivazioni religiose, e vede il libero culto degli ebrei come una tentazione per i conversos e anche per i vecchi cristiani. La seconda versione evidenzia la deprecabile usura che pone miseri cristiani in balia di ricchi ebrei. È assente l'accusa dell'uccisione di Gesù, spesso ricorrente in altre zone d'Europa.

Agli ebrei venivano lasciati 3 mesi di tempo, fino al 31 luglio, per battezzarsi o lasciare la Spagna, pena la morte. Il numero di ebrei che non scelsero il battesimo e furono costretti all'esilio è stimato tra 80-110.000 in Castiglia (su circa 4 milioni di abitanti) e 10-12.000 in Aragona (su circa 850 mila abitanti). Non si tratta di quote elevate, ma gli ebrei ricoprivano comunque posti chiave come artigiani, mercanti e banchieri, e solo l'afflusso di ricchezza dall'America impedì il tracollo dell'economia spagnola (Bossong, p. 52-56).

Diaspora sefardita

Gli ebrei spagnoli si rifugiarono in diversi stati europei, in particolare i benevoli stato pontificio e impero ottomano.

Molti degli ebrei fuggiti dalla Spagna nel 1492 si rifugiarono nell'adiacente Portogallo, in un numero stimabile a circa 70.000 persone. Il re Giovanni II (1481-1495) concesse un soggiorno temporaneo di 8 mesi per transitare verso un altro stato o scegliere il battesimo, al termine del quale sarebbero stati ridotti in schiavitù. Sottrasse anche 700 bambini ai loro genitori per trasferirli a Sao Tomé dove, nelle sue intenzioni, potevano crescere sotto la custodia cristiana. Il successore Manuele I (1495-1521) nel 1496 promulgò un editto di espulsione simile a quello spagnolo del 1492, con termine ottobre 1497. Nel maggio 1497 il re portoghese ingannò gli ebrei convocando tutti coloro che volevano espatriare a Lisbona, con la promessa di un naviglio, ma qui si verificò il battesimo forzato dei presenti. Il vescovo di Lamega protestò contro i battesimi forzati. Questo comunque non protesse i conversi dall'odio popolare che si scatenò nel pogrom di Lisbona del 1506, che fece circa 2.000 vittime.

La costante fuga dei conversi portoghesi ebbe come destinazione le Americhe (Recife, Caraibi, New York), Londra (il decreto di espulsione del 1290 fu revocato nel 1655), Amburgo e soprattutto Amsterdam, che anche grazie a loro divenne centro dell'economia mondiale. Nella "Gerusalemme del nord" gli ebrei passarono da circa 500 nel 1612 a circa 2.500 nel 1675. Ad Amsterdam e Amburgo gli ebrei sefarditi entrarono in diretto contatto con la tradizione orientale askenazita.

In Italia il decreto di espulsione spagnolo del 1492 ebbe ripercussioni anche in Sicilia e Sardegna, sotto dominio spagnolo. Quando il regno di Napoli fu annesso alla Spagna (1504) fu sancita l'espulsione, che nel 1541 venne estesa anche ai conversi. Invece nel centro-nord i (ricchi) sefarditi spagnoli furono benevolmente accolti nelle varie signorie (Medici, Gonzaga, Estensi), da Venezia e dal papato. Nello stato pontificio dal 1569 fu imposta la concentrazione degli ebrei a Roma e Ancona.

Nell'impero ottomano i sefarditi espulsi furono accolti a braccia aperte in quanto élite intellettuale ed economica. Centro d'insediamento principale fu Salonicco che contava già una forte componente di ebrei greci ("romanioti"), e divenne la "Gerusalemme dei Balcani", dove la comunità ebraica rappresentava uno stato autonomo in quello turco. Dal 1500 all'inizio del 1900 Salonicco fu una città a maggioranza ebraica e ispanofona. Per gli ottomani la lingua spagnola era sinonimo di ebraismo.

A Salonicco va segnalata la predicazione del romaniota Sabbatai Zevi (1626-1676), originario di Smirne, che nel 1648 annunciò di essere il messia, e dopo un'esistenza raminga si convertì all'Islam. Nel 1693 seguendo il suo esempio circa 300 famiglie ebree di Salonicco si convertirono all'Islam, anche se continuavano a seguire riti e leggi ebraiche, e dai turchi vennero identificati come dömne ("girati", cf. conversi). Nel 1700 si registrarono comunità dömne anche a Edirne, Istanbul e Smirne, crescendo fino a circa 15.000 all'inizio della prima guerra mondiale. Hanno avuto un ruolo importante nel movimento dei Giovani Turchi, alla base dell'importazione laica della Turchia moderna, ma finiro per assimilarsi alla nazione turca.

Età contemporanea

Nel 1880 Angel Pulido Fernandez, un medico di Madrid, durante una crociera sul Danubio conobbe alcuni passeggeri che parlavano uno spagnolo antiquato, il giudeo-spagnolo. Diventato senatore, nel 1924 promosse una legge che permettesse ai sefarditi dell'Europa sud-orientale di ottenere la doppia cittadinanza spagnola, come tardiva riparazione per l'espulsione del 1492. Ne approfittarono in pochi: a Salonicco 560, l'1% della popolazione ebraica.

Nel 1941 i nazisti occuparono Salonicco e la Grecia, e nel 1943 Eichmann ordinò lo sterminio dei circa 50 mila ebrei di Salonicco. 45.659 furono deportati a Birkenau e uccisi, e solo 441, col doppio passaporto spagnolo, furono inviati incolumi in Spagna.

Ad oggi il principale centro sefardita è Israele, con circa 700 mila discendenti. A Istambul sono presenti circa 20 mila dicendenti sefarditi.

Cultura

Nella Spagna islamica si segnalarono diversi letterati ebrei. Hasdai ibn Shaprut (915-970), medico del califfo, tradusse un testo botanico dal greco all'arabo e curò le relazioni col re dei kazari, che si erano convertiti all'ebraismo. Menahem ibn Saruq (970-970) sistematizzò il lessico ebraico nell'opera Quaderni (Mahberet), e Yona ibn Djanah (990-1050) studiò il carattere triconsonantico della lingua ebraica. Dunash ben Labrat (920-990) è considerato il fondatore dell'arte poetica ebraica.

Grande poeta fu Salomo Ibn Gabirol, o Avicebron (1020-1057), che ha unito i contenuti della Bibbia ebraica allo stile del Corano arabo. La sua opera principale, Fonte della vita, ha avuto grande fortuna e influenza sulla filosofia scolastica nell'Europa cristiana, e veniva considerato un cristiano neoplatonizzante.

Samuel ibn Nagrella (993-1056) ha prodotto vari componimenti su guerra, piacere dei sensi e devozione. Moshe ibn Ezra (1055-1135) scrisse poesie sensuali e componimenti religiosi, e la sua raccolta La collana contiene poesie con giochi di parole tra termini omofoni.

L'opera poetica e teologica di Yehuda ha-Lewi (1070-1145) appartiene al nucleo centrale della cultura ebraica, assieme alla Bibbia. Particolarmente noto è il Libro dell'argomentazione e della dimostrazione a difesa della religione disprezzata (o Kuzari), che inscena una disputa tra il re dei Kazari e quattro saggi (ebreo, cristiano, islamico, greco), con solo l'ebreo che riesce a convertire il re.

Il filosofo Maimonide (Moses ben Maimun, 1135-1204), seguace del filosofo arabo Ibd Rushd (Averroè, 1126-1198), ebbe il merito di introdurre la razionalità aristotelica nella teologia ebraica. In particolare non negava valore alla verità rivelata nella Bibbia, ma la ragione poteva aiutare a far luce sulle verità bibliche apparentemente irrazionali.

La riscoperta di Aristotele tramite Averroè e Maimonide comportò anche lo sviluppo della mistica, in risposta all' "arido" razionanalismo. In ambito islamico cf. Ibn al-Arabi di Murcia (1165-1240) e Abu al-Hasan al-Shushtari (1212-1269) di Guadix, figure chiave del sufismo. In ambito ebraico va invece identificato lo sviluppo della Cabala. Figura chiave è Isacco il cieco di Narbona (1163-1235), ideatore della dottrina delle emanazioni divine (sefirot), ma i principali cabalisti si trovano in Spagna: il già citato Nahmanide (Moshe ben Nahman, 1194-1270), protagonista della disputa di Barcellona; Azriel di Girona (1160-1238), ideatore del concetto di en sof, "in-finito"; Moses ben Shem Tov di Leòn (1250-1305), autore dello Zohar ("splendore"), quintessenza dell'ebraismo cabalistico; Abraham Abul'afiya di Saragozza (1240-1290), che ne Il libro delle lettere dell'alfabeto sviluppa la ghematria (da "geometria"), che esamina il valore numerico delle lettere e delle parole ebraiche per trovare significati reconditi, dove però è labile il confine tra senso profondo e assurdità. Dopo l'espulsione del 1492 la piccola città galilea di Zefat divenne ritrovo di molti sefarditi espulsi, nonché luogo di attività dei più influenti cabalisti della modernità: Moses ben Jakob Cordovero (1522-1570) e Isaak Luria (1534-1572).

Nella diaspora sefardita di Amsterdam va segnalato Gabriel (Uriel) da Costa (1585-1640), che proveniva da una famiglia di conversi di Porto e tornò alla fede ebraica, emigrando poi ad Amsterdam. Si scontrò coi "farisei di Amsterdam", abbracciando un deismo e rifiutando l'immortalità dell'anima, e per questo andò incontro alla scomunica ebraica (herem). Destino simile lo ebbe il filosofo Baruch Spinoza (1632-1677), proveniente da una famiglia di marrani tornati all'ebraismo dopo la fuga dal Portogallo, che fu scomunicato il 27 luglio 1656.

La diaspora in Italia vide come importanti centri sefarditi Venezia (cf. la stamperia Soncino) e Ferrara (cf. Bibbia di Ferrara, 1553).

Lingua

Per secoli gli ebrei in Iberia hanno avuto come lingue vernacolari lo spagnolo o il portoghese, che non li distinguevano dalla popolazione cristiana. Dopo le espulsioni del 1492 (Spagna) e 1496 (Portogallo), la lingua spagnola e portoghese non lasciarono traccia nella diaspora. Ma lo spagnolo sopravvisse nei sefarditi rifugiati nell'oriente ottomano dove fu chiamato giudezmo ("giudaismo"), che isolato dall'area spagnola si accrebbe di prestiti morfologici e sintattici dall'ebraico. Riferimento linguistico fondamentale fu l'incompiuto commentario giudeo-spagnolo Me'am lo'ez, opera del rabbino Yaakov Culli (1690-1732).

Le traduzioni sefardite della Bibbia di Costantinopoli (1547) e Ferrara (1553) sono in una lingua artificiale chiamata ladino (da non confondere con la lingua neolatina del nord Italia). Si tratta di uno spagnolo arcaico costruito sul modello della sintassi e della semantica dell'ebraico, e anche se non fu mai lingua vernacolare degli ebrei di ascendenza spagnola, il ladino col tempo finì per fondersi col vernacolare giudezmo, indicate entrambe come "giudeo-spagnolo".

Nella seconda metà del XIX secolo l'indebolimento dell'impero ottomano e lo sviluppo delle comunicazioni con l'Europa ruppero l'isolamento delle comunità sefardite turche. Nel 1860 fu costituita a Parigi l' Alliance Israélite Universelle, che si proponeva di operare ovunque per l'emancipazione e il progresso degli ebrei. Questo implicò una commistione del francese con la lingua giudeo-spagnola (fragnol).

Note
  1. Jan Morris (1959), The Hashemite kings, Pantheon, p. 85.
  2. Bat Yeʼor, The Decline of Eastern Christianity Under Islam: From Jihad to Dhimmitude, Fairleigh Dickinson Univ. Press, 1996, p. 89.
Bibliografia
  • Georg Bossong, I sefarditi, Il Mulino, Bologna 2010, ISBN 9788815139580, tit. or. Die Sepharden, Verlag, München, 2008.