Iconoclastia: differenze tra le versioni

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== Le icone nel culto ==
 
Le icone potevano essere raffigurazioni sacre di qualsiasi genere: dalle miniature dei codici alle pitture murali. Tanto chi avversava le immagini quanto chi era ad esse favorevole sosteneva che Dio non poteva essere rappresentato nella sua natura eterna. I [[teologo|teologi]] favorevoli alla venerazione delle immagini, però, la giustificavano in base all'incarnazione di [[Cristo]] che, a parer loro, rendeva possibile la sua raffigurazione. Distinguevano, per dar corpo alle proprie opinioni, tra immagine e archetipo: nell'icona non si venerava l'oggetto stesso ma Dio. Ciò era stato evidenziato ben prima della controversia iconoclasta da [[Leonzio di Neapoli]] (morto attorno al [[650]]). Anche [[Giovanni Damasceno]] distingueva con cura tra l'onore relativo di venerazione mostrato ai simboli materiali e l'adorazione dovuta solo a Dio. Naturalmente, per la religiosità popolare, questa distinzione sfumava e l'immagine stessa finiva per diventare oggetto taumaturgico. Anzi, tale era la tendenza a considerare le icone veri e propri oggetti animati che le si usava per assistere [[battesimo|battezzandi]] o [[cresima|cresimandi]] in qualità di [[Padrino e madrina|padrino]]. Altri raschiavano la vernice dei quadri e mescolavano quanto ottenuto nel [[vino]] della [[messa]], ricercando in tal modo una comunione con il santo raffigurato. Era, insomma, corrente l'opinione secondo cui l'icona fosse effettivamente un ''luogo'' nel quale poteva agire il santo o, comunque, l'entità sacra che vi era rappresentata.
Le icone potevano essere raffigurazioni sacre di qualsiasi genere: dalle miniature dei codici alle pitture murali. Tanto chi avversava le immagini quanto chi era ad esse favorevole sosteneva che Dio non poteva essere rappresentato nella sua natura eterna.
 
I [[teologo|teologi]] favorevoli alla venerazione delle immagini, però, la giustificavano in base all'incarnazione di [[Cristo]] che, a parer loro, rendeva possibile la sua raffigurazione. Distinguevano, per dar corpo alle proprie opinioni, tra immagine e archetipo: nell'icona non si venerava l'oggetto stesso ma Dio. Ciò era stato evidenziato ben prima della controversia iconoclasta da [[Leonzio di Neapoli]] (morto attorno al [[650]]). Anche [[Giovanni Damasceno]] distingueva con cura tra l'onore relativo di venerazione mostrato ai simboli materiali e l'adorazione dovuta solo a Dio.
 
Le icone potevano essere raffigurazioni sacre di qualsiasi genere: dalle miniature dei codici alle pitture murali. Tanto chi avversava le immagini quanto chi era ad esse favorevole sosteneva che Dio non poteva essere rappresentato nella sua natura eterna. I [[teologo|teologi]] favorevoli alla venerazione delle immagini, però, la giustificavano in base all'incarnazione di [[Cristo]] che, a parer loro, rendeva possibile la sua raffigurazione. Distinguevano, per dar corpo alle proprie opinioni, tra immagine e archetipo: nell'icona non si venerava l'oggetto stesso ma Dio. Ciò era stato evidenziato ben prima della controversia iconoclasta da [[Leonzio di Neapoli]] (morto attorno al [[650]]). Anche [[Giovanni Damasceno]] distingueva con cura tra l'onore relativo di venerazione mostrato ai simboli materiali e l'adorazione dovuta solo a Dio. Naturalmente, per la religiosità popolare, questa distinzione sfumava e l'immagine stessa finiva per diventare oggetto taumaturgico. Anzi, tale era la tendenza a considerare le icone veri e propri oggetti animati che le si usava per assistere [[battesimo|battezzandi]] o [[cresima|cresimandi]] in qualità di [[Padrino e madrina|padrino]]. Altri raschiavano la vernice dei quadri e mescolavano quanto ottenuto nel [[vino]] della [[messa]], ricercando in tal modo una comunione con il santo raffigurato. Era, insomma, corrente l'opinione secondo cui l'icona fosse effettivamente un ''luogo'' nel quale poteva agire il santo o, comunque, l'entità sacra che vi era rappresentata.
 
Si tenga poi conto del fatto che vi sono almeno due importanti passi biblici che servirono di supporto alla tesi iconoclasta: {{pb|Es|20,4-5}} e {{pb|Deuteronomio|4,15-19}}.<ref>Numerosissime sono in realtà le prescrizioni aniconiche dell'[[Antico Testamento]]: in Esodo soprattutto ({{passo biblico|Esodo|20,23}}, {{passo biblico|Esodo|24,17}}, oltre al noto episodio del vitello d’oro: {{passo biblico|Esodo|32}}) e nel Deuteronomio ({{passo biblico|Deuteronomio|4,12.27-28}}).</ref>
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