Iconoclastia

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Dirck van Delen, Iconoclasti in una chiesa (1630), olio su tavola; Amsterdam (Paesi Bassi), Rijksmuseum
Virgolette aperte.png
Et lui dovemo adorare et non questo legno
Virgolette chiuse.png
(Lando di Pietro, iscrizione all'interno della testa di un crocefisso ligneo, 1337)

L'iconoclastia - o iconoclasmo - (dal greco εἰκόν, eikón, "immagine" e κλάω, kláo, "spezzo") è stato, nella storia della Chiesa, un movimento di carattere religioso sviluppatosi, in vari momenti. Il primo ebbe inizio intorno alla prima metà dell'VIII secolo.

Alla base di questo movimento stava la convinzione che la venerazione delle icone da parte dei fedeli, sfociasse in idolatria. Questa idea provocò non solo un imponente confronto dottrinario ma anche la distruzione materiale di un immenso patrimonio culturale.

Il termine è usato più in generale per indicare altre forme di lotta contro il culto di immagini in altre epoche e religioni o correnti religiose. Iconoclasta fu l'islam nella proibizione dell'uso dell'immagine di Maometto, come iconoclasta fu il movimento puritano sviluppatosi col protestantesimo in epoca più moderna, e che portò alla distruzione di molte statue e effigi sacre nelle cattedrali nord-europee riformate.

Origini dell'eresia iconoclasta

Fin dalla fine del VI secolo, l'Impero bizantino fu afflitto da numerose eresie, che rischiavano di minare la sua stessa unità. Le più importanti tra queste furono il nestorianesimo, il monofisismo e il paulicianesimo. Quest'ultima era sorta in Armenia e in Siria nel VII secolo. Sensibili alle accuse di idolatria mosse al cristianesimo da parte dei fedeli dell'Islam, i pauliciani mossero guerra al culto delle immagini.

Al movimento pauliciano finì per aderire l'imperatore bizantino Leone III Isaurico, il quale si batté con una serie di editti per eliminare il culto delle immagini sacre (iconoclastia) ormai troppo diffuso nell'Impero,[1] andando anche contro le opinioni della Chiesa di Roma e di Papa Gregorio II che lo scomunicò.

Le icone nel culto

Le icone potevano essere raffigurazioni sacre di qualsiasi genere: dalle miniature dei codici alle pitture murali. Tanto chi avversava le immagini quanto chi era ad esse favorevole sosteneva che Dio non poteva essere rappresentato nella sua natura eterna.

I teologi favorevoli alla venerazione delle immagini, però, la giustificavano in base all'incarnazione di Cristo che, a parer loro, rendeva possibile la sua raffigurazione. Distinguevano, per dar corpo alle proprie opinioni, tra immagine e archetipo: nell'icona non si venerava l'oggetto stesso ma Dio. Ciò era stato evidenziato ben prima della controversia iconoclasta da Leonzio di Neapoli (morto attorno al 650). Anche Giovanni Damasceno distingueva con cura tra l'onore relativo di venerazione mostrato ai simboli materiali e l'adorazione dovuta solo a Dio.

Naturalmente, per la religiosità popolare, questa distinzione sfumava e l'immagine stessa finiva per diventare oggetto taumaturgico. Anzi, tale era la tendenza a considerare le icone veri e propri oggetti animati che le si usava per assistere battezzandi o cresimandi in qualità di padrino. Altri raschiavano la vernice dei quadri e mescolavano quanto ottenuto nel vino della messa, ricercando in tal modo una comunione con il santo raffigurato. Era, insomma, corrente l'opinione secondo cui l'icona fosse effettivamente un luogo nel quale poteva agire il santo o, comunque, l'entità sacra che vi era rappresentata.

Si tenga poi conto del fatto che vi sono almeno due importanti passi biblici che servirono di supporto alla tesi iconoclasta: Es 20,4-5 e Dt 4,15-19 .[2]

L'opera di Leone III

Folio 67 del Salterio Chludov (IX secolo)

Per abbattere queste correnti eretiche, l'imperatore Leone III di Bisanzio, originario di Germanicea, promanò un editto imperiale del 726 che decretava l'eliminazione di queste raffigurazioni. Ciò condusse ad una generalizzata rivolta degli iconolatri dell'Impero (detti iconoduli).

La riforma religiosa di Leone III va iscritta in una più ampia opera generale interna all'Impero, ai fini della quale i pauliciani rappresentavano un pericolo. Fu anche per togliere loro il pretesto di una ribellione che l'imperatore decise di assecondare le loro richieste. Non mancavano, insomma, ragioni politiche e di opportunità nell'operato di Leone: l'iconoclastia serviva anche a combattere lo strapotere dei monaci che, da un lato, facevano ampio mercato delle icone, rafforzando in tal modo la loro condizione economica e la loro influenza politica all'interno dell'Impero, e, dall'altro, suggestionavano le folle, sottraendo influenza alla corte imperiale. La foga iconoclasta diede a Leone III la possibilità di impossessarsi delle immense ricchezze dei monaci. Giunse, in ogni caso, anche la sanzione ecclesiastica: un concilio convocato nel 754 da Costantino V, tenutosi nel palazzo di Hieria (posto sul lato asiatico del Bosforo), gli diede ragione.

Il papa, in quel tempo Gregorio III condannò, dal canto suo, i decreti di Leone. La penisola italica vide anzi i suoi abitanti insorgere a difesa dell'ortodossia occidentale contro i funzionari bizantini. Fu proprio in questa occasione che il ducato di Roma assunse sempre maggiore indipendenza da Bisanzio: in questo vuoto di potere, i metropoliti di Roma avocarono a sé vere e proprie funzioni di governo.

Gli scontri dottrinari

Fu il secondo concilio di Nicea a dover deliberare sul culto delle immagini. Convocato nel 787 a Nicea, su richiesta di papa Adriano I, dalla imperatrice reggente d'Oriente Irene di Bisanzio e dall'imperatore Costantino VI, si svolse con la partecipazione di 367 padri (tra cui anche Giovanni Damasceno e Teodoro Studita), quando a Bisanzio era patriarca Tarasio.

La controversia, come detto, era centrata sulle sante icone, le raffigurazioni di Cristo, della Madonna e dei santi, che erano custodite e venerate, sia nelle chiese che nelle case private. La lotta non era un mero conflitto tra due concezioni di arte cristiana. Erano coinvolte questioni più profonde: il carattere della natura umana di Cristo, l'attitudine cristiana verso la materia, il vero significato della redenzione cristiana.

Gran parte della difficoltà odierne nell'interpretazione delle idee iconodule consiste nell'uso indifferenziato del verbo greco γράφειν, gráphein per "scrivere", "descrivere", "rappresentare". Gli iconoduli, comunque, partivano dal seguente ragionamento: se il Cristo si è incarnato, resta possibile la raffigurazione delle sue fattezze umane; viceversa, la possibilità di rappresentare tali fattezze costituisce una prova sostanziale dell'incarnazione: opponendosi ad essa, gli iconoclasti si rivelavano eretici.

Conclusioni

L'effetto complessivo dell'iconoclastia fu duplice: da un lato, il danneggiamento (quando non distruzione) di un grande numero di raffigurazioni sacre, ivi comprese opere d'arte e codici miniati; dall'altro, un generale irrigidimento dei rapporti fra la chiesa d'Oriente e la chiesa d'Occidente.

Ai decreti di Leone III seguì un periodo di alterne vicende che durò poco più di un secolo, durante il quale l'iconoclastia venne alternativamente approvata o bandita.

Nell'odierna Turchia, nella valle di Lhara (Peristrema), vi sono numerose chiese rupestri bizantine dove si possono ancora vedere, nella maggior parte dei casi, i volti delle raffigurazioni sacre sulle pareti danneggiati e deturpati. La loro distruzione risale a quel periodo, anche se l'iconoclastia proseguì in maniera più o meno occulta per numerosi anni.

Cronologia

Anno Autore Evento
727 Papa Gregorio II Ravenna rimane sede dell'Esarca fino alla rivolta iconoclasta
730 Leone III di Bisanzio Decreta l'eliminazione delle icone, dando inizio (ed ufficialità) al periodo dell'iconoclastia
731 Papa Gregorio III Si appella inutilmente all'Imperatore Leone III; nel novembre 731, denuncia tale movimento e scomunica gli iconoclasti
754 Costantino V di Bisanzio Convoca un concilio di 338 vescovi (durante il pontificato di Papa Stefano II) i quali accettano senza discutere le posizioni iconoclaste, formalizzando così l'assenso ufficiale della Chiesa
769 Papa Stefano III Conferma, durante il concilio del 769, la pratica della devozione alle icone
  Carlo Magno Insieme ai vescovi francesi si oppone alla venerazione delle immagini
786 La basilissa Irene Tenta di reintrodurre il culto delle icone indicendo un concilio, ma viene ostacolata dai soldati i quali avevano prestato giuramento a Costantino V
787 Papa Adriano I Induce la reggente imperatrice Irene a convocare un concilio a Nicea che afferma che le icone possono essere venerate ma non adorate e scomunica gli iconoclasti
794   Un sinodo tenutosi a Francoforte condanna nuovamente la venerazione delle icone
  Michele I di Bisanzio Persegue, attorno all'800, gli iconoclasti sulle frontiere settentrionali e occidentali dell'Impero bizantino
815 Papa Leone III Viene tenuto in Santa Sofia, a Costantinopoli, un sinodo iconoclasta
843 Papa Gregorio IV Abolisce ufficialmente e definitivamente l'iconoclastia

L'iconoclastia protestante

Molti capi religiosi protestanti incoraggiarono la distruzione delle immagini religiose, in sintonia con quanto avvenuto otto secoli prima, ritenendole una espressione pagana della fede. Oggetto di queste distruzioni furono non solo le statue e i dipinti di Cristo della Madonna e dei Santi ma anche le reliquie. Le prime manifestazioni iconoclaste di questa nuova avversione si ebbero in territori di lingua tedesca, a Zurigo nel 1523 a Colonia nel 1530 e ad Augusta nel 1537. Per il territorio francese furono le guerre di religione del 1562 a dare il via alle distruzioni di immagini nelle città cadute sotto controllo protestante. In alcuni casi la furia distruttiva non si fermò alle statue e alle immagini, ma coinvolse numerose chiese. Molti furono i monumenti prestigiosi andati distrutti, tra essi citiamo la Chiesa di San Martino a Tours, la Cattedrale della Santa Croce di Orléans, l'Abbazia di Jumièges, la cattedrale di San Pietro a Angoulême e la Santa Maria Maddalena a Vézelay. A queste prime distruzioni fecero seguito nel 1566, quelle nelle Fiandre e in Olanda.

Note
  1. Franco Cardini Marina Montesano, Storia Medievale, Firenze, Le Monnier Università/Storia, 2006, pag. 225 "Fu appunto lui a proibire in tutto l'impero il culto delle immagini sacre, che anzi furono per decreto sovrano condannate all'eliminazione. La distruzione delle immagini (detta con parola d'origine greca iconoclastia) fu all'origine di una lunga crisi che si trascinò lungo tutto il secolo VIII e parte del IX."
  2. Numerosissime sono in realtà le prescrizioni aniconiche dell'Antico Testamento: in Esodo soprattutto (20,23, 24,17, oltre al noto episodio del vitello d’oro: 32) e nel Deuteronomio (4,12.27-28).
Bibliografia
  • Giorgio Ravegnani, I Bizantini in Italia, Bologna, il Mulino, 2004.
  • Maria Bettetini, Contro le immagini. Le radici dell'iconoclastia, Roma-Bari, Laterza, 2008.
Voci correlate
Collegamenti esterni
  • Un articolo di Giuseppe Patella in kainos.it.