Zecca (moneta)
La zecca (francese hôtel de la Monnaie; spagnolo casa de moneda; tedesco Münzprägeanstalt; inglese mint) è un apparato tecnico e amministrativo per la monetazione o conio delle monete. L'attuale nome italiano dell'istituto si ritrova in documenti medievali redatti in latino sotto la forma sicla, che ne indica la probabile derivazione dall'arabo سكة, pronunciato sikka "moneta".
Sin dall'invenzione del denaro è esistita, strettamente legata al potere politico, una istituzione con edifici e officine situati nel territorio, incaricata di fabbricare la moneta (monetazione o conio), strutture che era o direttamente controllata dallo stato o per conto e sotto la sorveglianza dello stato.
Origini
Nell'antica Grecia ciascuna polis (città-stato) aveva il diritto di battere moneta. A Roma la prima zecca venne costruita sul Campidoglio presso il Tempio di Giunone Moneta (colei che avverte), attributo che fu assegnato a Giunone quando le sue celebri oche diedero l'allarme nel Campidoglio nel 390 a.C. Dal nome della zecca romana è derivato il sostantivo 'moneta' in italiano e in altre lingue.
Durante l'Impero le zecche romane erano ampiamente diffuse ed erano usate estesamente per scopi di propaganda. L'unico modo in cui le persone comuni potevano sapere che c'era un nuovo imperatore era quando venivano coniate le monete con la sua effigie.
Con la deposizione di Romolo Augustolo nel 476 ad opera di Odoacre, che pone istituzionalmente fine all'Impero Romano d'Occidente, l'Italia cadde sotto breve dominazione barbara con Odoacre e poi i Goti. In seguito per due secoli rimase sotto l'Impero bizantino e la zecca di Roma iniziò a coniare moneta bizantina con Giustiniano I a metà del VI secolo.
Nella storia della Chiesa
Essendo il diritto di battere moneta una prerogativa del sovrano, l'apparizione di monete con l'effigie di un pontefice presuppone che questi sia detentore del potere temporale. Forme di controllo papale sulla monetazione romana si hanno a partire da Sergio I, che pose l'iniziale del proprio nome sul verso di una moneta, al cui recto figura il busto dell'Imperatore d'Oriente. Benché "ufficialmente" imperiale, questa moneta di segno papale si fa chiara portavoce della presa di potere politico ed economico da parte del vescovo di Roma, quantomeno a livello simbolico. I monogrammi pontifici, così carichi di significati, compaiono sul rovescio delle monete a partire da questo papa e proseguono con Costantino e definitivamente da Gregorio III. Con questo pontefice l'influenza bizantina su Roma perde gradatamente d'importanza per passare sotto protezione franca.
Dopo il 770 ca. la zecca di Roma cessa definitivamente la produzione di aurei bizantini segnando una svolta epocale. Si registra, come effetti immediati e a lungo termine, un significativo riassesto nelle emissioni. Uno degli aspetti con cui il Sacro Romano Impero sostanzia la propria autonomia da Costantinopoli può individuarsi proprio nel "nuovo corso" economico, nel quale viene dato spazio a una moneta non più aurea ma argentea, nettamente separata dalla produzione bizantina, della quale diviene concorrente negli scambi di un certo rilievo.
L'equilibrio tra denari papali e carolingi viene spezzato, nella prima metà del X secolo, dall'utopico tentativo di rinnovamento (non solo economico) promosso dal senator et princeps Alberico II di Spoleto. La zecca di Roma, chiusa tra il 974 e il 983, riprende l'attività due secoli dopo in un contesto profondamente mutato.
Le fonti romane documentano infatti che dal 1184 iniziano ad essere battuti i provisinos posteriores[1] su iniziativa del governo municipale, poi provisinos senatus per distinguerli da quella di Champagne detta provisinos vetus. Nel 1188 un accordo stipulato fra il papa e l'amministrazione capitolina stabilisce che il pontefice abbia diritto di signoraggio sulle monete, mentre l'emissione è riservata al Senato.[2]
Per due secoli è il senato romano a battere moneta mentre i pontefici, durante la cattività avignonese, provvedono a far battere moneta nella zecca di Avignone. Rientrata la Santa Sede a Roma, da papa Martino V sino alla fine dello stato della Chiesa, i pontefici emettono monete utilizzando non solo la zecca di Roma ma altre sparse sul territorio, tra queste la seconda per importanza rimane quella di Bologna, che come quella romana, resta in funzione sino a papa Pio IX.
Competenze camerlengo
Le competenze in materia monetaria erano divise fra due autorità principali, il cardinale camerlengo e il tesoriere generale. Al primo, che era a capo della Camera Apostolica, spettava la potestà normativa, stabiliva i prezzi dei metalli da monetazione nonché le caratteristiche metrologiche e i valori dei nominali, come pure la disciplina della loro circolazione. Sulle medesime materie oggetto della potestà normativa il camerlengo esercitava la potestà giudiziaria.
Competenze tesoriere generale
Al tesoriere generale competevano invece i poteri amministrativi ed esecutivi, in quanto egli provvedeva a stipulare i contratti di appalto della zecca ed a dirimere in sede giudiziaria le controversie eventualmente da tali appalti originate, a disciplinare il personale, l'amministrazione interna e la contabilità della zecca e a vigilare sul corretto andamento della circolazione monetaria.
Competenze presidente della zecca
Camerlengo e tesoriere generale erano affiancati da un altro magistrato, il Presidente della zecca, che era chierico di Camera e incaricato principalmente di assistere al saggio delle monete appena coniate, onde garantire con la sua autorità, e prima che fossero immesse in circolazione, che il loro peso, titolo ed impronta fossero conformi alla legge. Inoltre il presidente della zecca provvedeva alla scelta dei conii delle monete ed aveva il diritto di far apporre il proprio stemma (armetta) sui nominali maggiori.
L'apparato industriale che produceva le monete non era di proprietà della Santa Sede, ma gestito con il sistema dell'appalto, consistente nell'affidare la gestione ad un imprenditore detto zecchiere, ritenuto idoneo dai magistrati, sia dal punto di vista finanziario che da quello tecnico. Sino alla metà XVII secolo la tecnologia monetaria era stata a Roma piuttosto primitiva e le lavorazioni si svolgevano per lo più manualmente in locali di fortuna, di volta in volta affittati dagli zecchieri. In seguito venne costruita una grande officina in Vaticano, di proprietà della Camera Apostolica, fornita di macchinari tecnologicamente avanzati per l'epoca che, oltre a migliorare notevolmente la qualità della moneta emessa, tolse anche allo zecchiere la preoccupazione di dover provvedere a macchinari e attrezzature.
Con la fine del regno temporale della Chiesa a metà del XIX secolo la zecca pontificia, trasformata in zecca italiana, rimase nelle vicinanze della basilica di San Pietro, sino al suo trasferimento nel palazzo di via Principe Umberto avvenuto nel 1911. A ricordo di questo stabilimento, ancora oggi esiste una strada appunto denominata via della Zecca all'interno della Città del Vaticano.[3]
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