Scienza (disciplina)

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In senso proprio, con scienza si intende il sapere basato sul metodo scientifico come proposto da Galileo, che comprende l'esperienza e la matematica.

Definizione

In senso lato, con "scienza" il pensiero occidentale, dalla filosofia greca in poi, intende il sapere certo, "una conoscenza che includa, in modo o misura qualsiasi, una garanzia della propria validità",[1] contrapposta alla conoscenza opinabile (cf. episteme / doxa). In questo senso si potrebbe parlare anche di "scienza filosofica" o di "scienza teologica", espressioni che possono suonare come ossimoriche alle orecchie di uno scienziato contemporaneo.

In senso proprio e comune però il termine "scienza" indica l'insieme dei saperi, ben distinti da filosofia e teologia, ottenuti col metodo scientifico proposto e ideato da Galileo Galilei, che viene comunemente identificato come il primo scienziato. Anche se non nuova, geniale e vincente è stata la duplice intuizione di Galileo di aver voluto basare la ricerca nell'ambito della filosofia naturale sulla base dell'esperienza ("sensate esperienze") e delle "dimostrazioni necessarie",[2] cioè la matematica (il linguaggio nel quale è scritto "il grandissimo libro dell'universo").[3] Cf. anche Benedetto XVI, che sintetizza la base del sapere scientifico galileiano nella "sinergia di matematica ed empiria".[4]

Senza addentrarsi nella questione, andrebbe anche segnalato che il metodo empirico ideato da Galileo non è stato da lui correttamente applicato nella questione del sistema eliocentrico o copernicano da lui proposto come verità fattuale, e non come ipotesi come proposto dal card. Bellarmino. Galileo non addusse infatti nessuna "sensata esperienza" a favore dell'ipotesi copernicana, che avrebbe dovuto rimanere tale. Fu solo in seguito, con l'esperimento del bolognese Guglielmini (1791) e col più noto pendolo di Foucault (1851), che l'ipotesi assurse al rango di verità dimostrata.

Presupposti materiali

Per la nascita e lo sviluppo della scienza sono stati necessari innanzitutto certi presupposti materiali, che hanno permesso la creazione delle grandi civiltà del passato, e quindi altri presupposti teorici, che hanno permesso alla sola civiltà europea e cristiana di sviluppare la scienza e di conseguenza espandersi nel mondo.

Quanto ai presupposti materiali,[5] sono state necessarie risorse alimentari sufficienti a garantire lo sviluppo della popolazione e dunque la sua stratificazione, con individui o classi dedite a servizi e non direttamente alla produzione, attraverso gli stadi di banda, tribù, chiefdom e stato. L'accumulo di scorte alimentari ha facilitato l'ideazione della scrittura per censire le risorse immagazzinate, la quale ha facilitato lo scambio di idee e conoscenze.

Per millenni le risorse alimentari sono state principalmente tratte dalla megafauna tramite la caccia, la quale non produce accumulo e stratificazione sociale. Con l'esaurirsi dei grandi mammiferi il genere umano si è dovuto progressivamente adattare all'agricoltura e all'allevamento di piccoli mammiferi, anche se questo primordiale stadio economico garantiva inizialmente meno risorse di quanto lo facesse la caccia.

In questa evoluzione da cacciatori ad agricoltori/allevatori, le popolazioni eurasiatiche sono state facilitate dalla maggiore disponibilità di risorse. Nella zona del mediterraneo sono state naturalmente presenti 32 delle 56 piante con grandi semi (> 10 mg) commestibili, e dunque lavorabili come cibo, presenti nel mondo, contro 6 dell'est Asia, 4 dell'Africa sub-sahariana, 11 delle Americhe, 2 dell'Australia.[6] Inoltre nell'Eurasia sono stati presenti 13 dei 14 (escluso il lama) animali utili all'allevamento,[7] caratterizzati cioè da grande massa (almeno 45 kg), dieta erbivora, crescita rapida, docilità.

La maggiore disponibilità di specie animali in Eurasia è derivata sia dalla maggiore estensione del continente (54 milioni di km2, vs. Americhe 42, Africa 30) sia soprattutto dall'orientamento assiale dell'Eurasia: l'orientamento est-ovest del continente ha permesso la diffusione longitudinale di varie speci animali e vegetali per l'addomesticamento, cosa non possibile nella ridotta e isolata Australia e nelle ampie ma orientate nord-sud (con le annesse barriere climatiche) America e Africa.

Presupposti teorici

Questi presupposti materiali spiegano il perché della precoce nascita della civiltà (con agricoltura e allevamento) nell'Eurasia e nello specifico nella Mezzaluna fertile, poi gemmata in Europa e India, e sorta spontaneamente ma più tardi in Messico, Cina, Ande, Nuova Guinea, est USA. Ma per capire come mai ha sviluppato la scienza solo la civiltà cristiana europea (e non i precoci eurasiatici sumeri, egizi, greci, romani, indiani, arabi) occorrono altri presupposti di ordine teorico.[8]

  • Realtà del mondo. Il mondo esiste ed è sussistente. Questo è ovvio per la cultura ebraico-cristiana, ma p.es. alcune intuizioni orientali non lo presuppongono con altrettanta ovvietà. Celebre è il concetto indiano di maya, che sostiene l'illusione e l'infondatezza del mondo. Secondo un noto aneddoto Shankara (IX sec. d.C.), il principale filosofo indiano che teorizzò il concetto, mentre esponeva le sue convinzioni si vide caricato da un branco di elefanti e reagì (in pragmatico contrasto col suo insegnamento) salendo su un albero. Parimenti noto è il "sogno della farfalla" del cinese Zhuangzi (IV sec. a.C.), aneddoto per cui il filosofo sognò di essere una farfalla e al suo risveglio non sapeva se era una farfalla che si sognava uomo o il contrario. L'inconsistenza e apparenza del mondo è presupposta da diversi film contemporanei (cf. Matrix, Vanilla Sky, Atto di forza) ma non trova spazio nella forma mentis occidentale.
  • Bontà del mondo. Per essere studiato il cosmo non solo deve esistere ma deve anche essere buono, o almeno neutro, tanto da non scoraggiare l'interesse dello studioso. Così è nella tradizione occidentale, che può vedere nel ritornello genesiaco "e Dio vide che era cosa buona" (Gen 1,4 et al.), ribadito dopo ogni elemento creato, un presupposto teoretico allo studio scientifico. Lo stesso concetto è rafforzato nel cristianesimo, che col dogma dell'incarnazione mostra come Dio non disprezzi il creato. Invece la prima delle quattro "nobili verità" del buddhismo sancisce la radicale dolorosità dell'esistenza (dukkha), e la visione del cosmo malvagio è insita nelle varie correnti dualiste (p.es. manichei, catari).
  • Profanità del mondo. All'estremo opposto, per essere indagato dall'uomo il cosmo non deve essere sacro e divino, come presupposto da dottrine panteiste e panenteiste tipiche di alcune religioni primitive, dato che questo potrebbe incutere un "sacro timore" e distacco nel ricercatore. Il dogma biblico della creazione sancisce invece una adeguata distanza tra creato e creatore.
  • Autonomia del mondo. Nelle religioni politeiste gli specifici elementi e fenomeni del cosmo sono direttamente riferiti a determinate divinità ("competenza dipartimentale"), persone soprannaturali che possono gestirli in tutta libertà e secondo eventuali desideri e capricci. In tale contesto, alieno alla tradizione biblica, non ha senso impegnarsi nel cercare leggi e regolarità nella natura.
  • Razionalità del mondo. Oltre ad essere autonomo, per essere studiato il cosmo deve avere anche una razionalità intrinseca che permetta di coglierne le leggi, razionalità che deve derivare da un ordinatore razionale. Questo è quanto garantito dalla tradizione biblica: "Tu hai disposto ogni cosa con misura, calcolo e peso" (Sap 11,20 ), e in particolare dal dogma cristiano del verbo-logos mediatore della creazione, come evidenziato già da Galileo.
  • Scopribilità del mondo. Per essere conosciuto in maniera certa e oggettiva, la conoscenza del cosmo non deve essere riservata a pochi "iniziati", come avveniva p.es. nei culti iniziatici dell'epoca tardo-romana, ma oggettivamente possibile a tutti gli uomini, considerati uguali per abilità e capacità (Sap 7,17-20 ).
  • Dignità del lavoro. Un altro elemento, diretto incentivo allo sviluppo della tecnica (cioè l'applicazione pratica e fruttuosa delle conoscenze scientifiche) e dunque indiretto sprone allo sviluppo scientifico, si ha nel comando divino alla supremazia dell'uomo nel cosmo, che ha il diritto-dovere di dominare e modificare a proprio vantaggio (Gen 1,26 ). Inoltre il rifiuto della schiavitù proprio della morale neotestamentaria e cristiana costituisce un ulteriore incentivo allo sviluppo tecnologico: avendo schiavi lavoratori a propria disposizione (cf. Roma, Grecia, Islam) non si è portati a ideare macchine che lavorino al proprio posto e alleggeriscano la fatica.
  • Linearità della storia. La concezione di una storia ciclica, propria delle religioni primitive, pagane ed orientali, per cui tutto periodicamente si annulla e si ripete, rende invalido in partenza il concetto di sviluppo scientifico e tecnologico. Solo una concezione della storia lineare, propria della tradizione giudeo-cristiana, rende sensata la ricerca e la fatica scientifica.
  • Bontà della ragione. Non basta che il cosmo sia buono per dedicarvi tempo e interesse, anche la ragione, lo strumento d'indagine che ordina l'esperienza, deve essere considerata buona. Questo non avviene p.es. nel protestantesimo che si rifà all'insegnamento di Lutero: oltre al sola grazia (a discapito delle opere) e al sola scriptura (a discapito di tradizione e magistero), il padre della riforma professava il sola fide, a discapito della ragione, che era considerata "la prostituta del diavolo".[9]
  • Elasticità mentale. La dottrina cristiano-cattolica è (in linea di principio) aliena dai fondamentalismi, attenta a considerare le varie realtà esaminate nella loro totalità (cf. catholos, "secondo l'insieme"). P.es. per il cattolicesimo Dio è uno e trino, Gesù è Dio e uomo, la Bibbia è parola di Dio e parola di uomini, l'uomo è santo e peccatore, spirito e materia...
Note
  1. Abbagnano, N. (1971). Voce "Scienza" in Dizionario di filosofia, Torino, TEA.
  2. "Nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio [...] e [questa] mai non trascendente i termini delle leggi impostegli [...] pare che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio» (Galileo, 1610, Lettera a Cristina di Lorena); "Procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio [...], essendo la natura inesorabile e immutabile e nulla curante che le sue recondite ragioni e modi d'operare sieno o non sieno esposti alla capacità de gli uomini, per lo che ella non trasgredisce mai i termini delle leggi imposteli; pare che quello de gli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone innanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio per luoghi della Scrittura ch'avesser nelle parole diverso sembiante, poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com'ogni effetto di natura" (Galileo, 1613, Lettera a p. Castelli).
  3. "La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto" (Galileo, 1623, Il saggiatore, cap. 6).
  4. Nelle scienze naturali la ragione è "una sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed empirismo [...]. Da una parte si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l'elemento platonico nel concetto moderno della natura. Dall'altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o falsità mediante l'esperimento fornisce la certezza decisiva [...]. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercavano di avvicinarsi a questo canone della scientificità" (Benedetto XVI, Discorso a Regensburg del 12 settembre 2006).
  5. cf. Jared Diamond, Guns, germs and steel, Vintage Books, Londra 1997 (2005), tr. it. Armi, acciaio e malattie, Einaudi, Torino 1997.
  6. Diamond, p. 140.
  7. Diamond, p. 162.
  8. Dizionario interdisciplinare di scienza e fede (2002). "Scienza, origini cristiane", par. II. Le condizioni della nascita della scienza, online; McBourney, D.H.; White, T.L. (2007, tr. it. 2008). Metodologia della ricerca in psicologia. Bologna: il Mulino: 23-26.
  9. L'espressione "teuffels hure" compare in particolare in Sui profeti celesti, Luthers Werke, Weimarer Ausgabe, 18,164.
Bibliografia
  • Antonio Zichichi, Perché io credo in colui che ha fatto il mondo, Il Saggiatore, 1999
  • Peter E. Hodgson, Scienza, origini cristiane, in Dizionario interdisciplinare di scienza e fede, 2002, online, in particolare il paragrafo II: "Le condizioni della nascita della scienza"
Voci correlate