Sindrome post-abortiva
La sindrome post-abortiva è il grave disagio psichico sperimentato frequentemente dalle donne che hanno fatto ricorso all'aborto volontario[1]. Essa è studiata già da molto tempo in USA[2]: le ricerche mettono in evidenza che il 62% delle donne che si sono sottoposte all'aborto soffre di essa[3].
La base della sindrome post-abortiva si situa al livello della percezione soggettiva dei fatti, cioè dell'aborto procurato. La donna percepisce l'aborto come il fatto d'aver ucciso il proprio figlio in modo cosciente e premeditato. Il fatto che l'esecutore sia stato un medico accresce l'orrore dell'accaduto.
Le conseguenze per la donna colpita da questa sindrome sono state studiate dall'Elliot Institute for Social Sciences Research[4]:
- il 90% di queste donne soffre di danni psichici nella stima di sé;
- il 50% inizia o aumenta il consumo di bevande alcooliche e/o quello di droga;
- il 60% è soggetto a idee di suicidio;
- il 28% ammette di aver persino provato fisicamente a suicidarsi;
- il 20% soffre gravemente di sintomi del tipo stress post-traumatico;
- il 50% soffre dello stesso in modo meno grave;
- il 52% soffre di risentimento e persino di odio verso le persone che le hanno spinte a compiere l'aborto.
Non vi sono statistiche su certi altri aspetti, come gli incubi notturni, le difficoltà di relazioni interpersonali, gli stati di panico, di depressione incontrando altri bimbi o bimbe.
Molte donne soffrono di disturbi ginecologici dopo l'aborto. Fra questi l'amenorrea (cessazione della mestruazione) prolungata, dolori persistenti ai seni. Tali disturbi, che possono trascinarsi per anni, non si spiegano solo con l'aspetto chirurgico dell’intervento.
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