Eremo di Santa Rosalia (Santo Stefano Quisquina)
Eremo di Santa Rosalia alla Quisquina | |
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Eremo di Santa Rosalia alla Quisquina | |
Stato | Italia |
Regione | Sicilia |
Comune | Santo Stefano Quisquina |
Diocesi | Agrigento |
Religione | Cattolica |
Telefono | +39 0922 989805, +39 347 5963469 |
Fax | +39 0922 989805 |
Sito web | |
Oggetto tipo | Eremo |
Dedicazione | Santa Rosalia |
Fondatore | Francesco Scassi |
Architetto |
Ignazio Traina |
Stile architettonico | barocco |
Inizio della costruzione | fine XVII secolo |
L'Eremo di Santa Rosalia è un luogo di culto ubicato nel territorio di Santo Stefano Quisquina (Agrigento), in Sicilia. E' stato costruito attorno alla grotta in cui visse santa Rosalia per circa 12 anni, fra il 1150 e il 1162.
Storia
Nel 1624, all'interno del bosco a circa 4 chilometri dall'abitato di San Stefano Quisquina, venne scoperta una grotta e, al suo ingresso, una iscrizione, incisa nella roccia, che attestava la presenza di santa Rosalia all'interno di essa. Considerato l'enorme afflusso di fedeli, alla fine del 1625 la Curia di Agrigento concesse il nulla-osta per edificare una cappella accanto all'ingresso della stessa grotta.
Nel corso del XVIII secolo l'Eremo è uno dei noti della Sicilia: vescovi, principi e cardinali lo visitavano e facevano delle donazioni. I poderi posseduti davano ai frati ciò di cui necessitavano: ortaggi, frumento, oltre all'uva per produrre il vino. La famiglia nobile dei Ventimiglia si prese cura per l'ampliamento dell'eremo che così poteva ospitare anche un centinaio di persone.
In effetti i frati erano meno di una dozzina, mentre numerosi erano i novizi e bisognava superare una selezione poiché, oltre ai devoti, c'erano i figli delle famiglie povere, criminali e banditi che cercavano asilo all'interno del convento. Diversi episodi portarono al declino della congregazione: l'ultimo frate si chiamava Filippo Cacciatore ed era noto come Frà Vicè (Vincenzo). E' morto nel 1986, alla veneranda età di 98 anni.
Oggi l'Eremo è affidato ad un Commissario, nominato dall'Assessorato Regionale agli Enti Locali, che l'ha a sua volta dato in gestione alla Pro Loco di Santo Stefano Quisquina.
Santuario
Alcuni anni dopo la scoperta della grotta, il mercante genovese Francesco Scassi, venuto a sapere della storia della Santa, decise di trasferirsi in Sicilia, finanziare la costruzione dell'Eremo e ritirarsi a vivervi con altre tre persone. I quattro fondarono una comunità di frati devoti a Santa Rosalia, diventata poi autosufficiente.
La chiesa, a navata unica e in stile barocco, fu costruita negli ultimi anni del XVII secolo, è stata abbellita alla fine del XVIII secolo, grazie all'opera dell'architetto Ignazio Traina, frate superiore per diversi anni, e ai finanziamenti dei principi Ventimiglia. Furono realizzati gli altari in marmo dei fratelli Musca, gli affreschi e le tele da parte dei fratelli Manno, e la statua in marmo di Santa Rosalia, realizzata da Filippo Pennino nel 1775.
Questa statua ha una caratteristica tutta particolare: infatti è stata fatta utilizzando un blocco di marmo con due tipi di venature, difficilissimo da lavorare. Il Pennino è riuscito ad armonizzare la parete bianca (con cui ha creato la veste), e la parte in grigio, con cui ha fatto il mantello: l'opera raffigura la Santa mentre incide l'epigrafe sulla roccia.
Purtroppo le tele originali e gli affreschi sono stati trafugati nel 1982: le opere attualmente esistenti nella chiesa sono esecuzioni di artisti stefanesi: Francesco Chillura, Alfonso Leto, Giuseppe Rizzo, Nino Giafaglione e Francesco Sarullo.
Convento
All'interno di esso sono stati realizzati diversi locali necessari per la vita quotidiana dei frati e per il loro sostentamento. Eccoli elencati nel dettaglio:
- frantoio: all'interno c'è la macina utilizzata per macinare il grano e la vasca in cui l'uva veniva pigiata per fare il mosto. Nella dispensa venivano conservati i cibi da consumare durante il periodo invernale, in quanto spesso non ci si poteva allontanare dal convento a causa della neve; qui ci sono le botti per il vino, i contenitori per la misurazione dei cereali e quelli per la raccolta dell'olio ricevuto con la questua.
- latrine: più recenti dei bagni delle abitazioni private, avevano un sistema di scarico e smaltimento davvero ingegnoso, poichè utilizzavano delle tubature ad imbuto in terracotta (catusi) che facevano defluire i "rifiuti organici" nei terreni coltivati, concimandoli.
- cellette dei frati: adeguate al numero dei frati che effettivamente vivevano nel convento, sono rivolte verso Nord e hanno le stesse dimensioni, con un arredo essenziale;
- cucina: rivestita da maioliche bianche e blu, con due forni, quello giornaliero e quello utilizzato per infornare il pane; c'è pure il "camino perpetuo", una brace che era lasciata accesa come fonte di luce e di calore; sono presenti anche vari utensili;
- refettorio: arredato con i tavoli originali e restaurati, include pure il braciere attorno a cui i frati potevano riscaldarsi la sera durante l'inverno; fra il refettorio e la cucina esiste un'apertura da cui i commensali potevano utilizzare dell'acqua piovana, in modo da lavarsi le mani prima di cenare;
- stanza del principe: fatta costruire dal principe di Ventimiglia per sé allorquando fu ampliato l'Eremo; sullo sfondo c'è un affresco del XIX secolo che rappresenta il porto di Palermo e il Monte Pellegrino;
Museo
Il museo etno-antropologico (allestito dalla Pro Loco) è ubicato all'interno della vecchia legnaia che, danneggiata a causa di un incendio, è stata completamente ricostruita nel XX secolo; ospita adesso parecchi oggetti relativi a settori diversi: aratri, strumenti di misura, e gli oggetti abitualmente in uso nelle abitazioni.
Cripta
Vi si accede da una porta esterna; in questo locale, inizialmente senza aperture, erano trasportate le salme dei frati per essere prima mummificate e poi riposte dentro le nicchie ricavate nelle pareti.
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