Martiri del Messico

Da Cathopedia, l'enciclopedia cattolica.
100%Decrease text sizeStandard text sizeIncrease text size
Share/Save/Bookmark
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Cristeros con la bandiera di Cristo Re e della Madonna di Guadalupe
Cristeros in marcia innalzano la croce
Sacerdote con i paramenti fucilato dai soldati Federali

I martiri cristiani del Messico difficilmente trovano nei libri di storia il benché minimo accenno alle persecuzioni che furono perpetrate contro di loro nel secolo XX per motivi religiosi.

I prodromi

L'ascesa al potere di Venustiano Carranza segnò l'inizio delle persecuzioni violente contro la Chiesa cattolica in tutte le sue espressioni. Questi fu eletto presidente coi voti del 2% della popolazione, dopo aver sconfitto militarmente Francisco Pancho Villa ed Emiliano Zapata in quel "proseguimento"della guerra civile (la Rivoluzione Messicana, iniziata nel 1910) che aveva insanguinato il Paese con circa un milione di vittime.

La Carta di Queretaro

Con la promulgazione della "Carta di Queretaro"(la nuova costituzione, di ispirazione massonica del 5 febbraio 1917, tuttora in vigore), venne proibito l'insegnamento religioso, confiscato ogni bene e negata personalità giuridica alla Chiesa, obbligati i sacerdoti a prestare servizio militare.

Nei due anni successivi 11 tra vescovi e arcivescovi e centinaia di religiosi furono cacciati o esiliati, 2000 scuole cattoliche dovettero chiudere.

Venustiano Carranza (a destra) e Álvaro Obregón (a sinistra)

Nel 1920 Carranza fu assassinato da sicari del suo ministro Alvaro Obregon, che divenne a sua volta presidente; infine, col successore di quest'ultimo, il generale Plutarco Elias Calles, divenuto nel 1924 presidente, la persecuzione religiosa raggiunse l'apice.

Tra gli innumerevoli soprusi Calles proibì l'uso dell'abito talare, vietò il segno della croce in pubblico, ordinò la chiusura degli istituti cattolici, espellendo i sacerdoti stranieri, impose agli impiegati cattolici di rinunciare alla loro fede, pena la perdita del posto di lavoro.

389 maestri di Guadalajara (su 400)preferirono perdere il posto di lavoro anziché piegarsi ad una simile infamia. Le messe venivano celebrate di nascosto nelle soffitte o nei garages, e i cattolici cominciarono a girare vestiti di nero, come a sottolineare il proprio lutto per la perdita della libertà religiosa.

Iniziò allora in tutto il Messico, come forma di protesta non violenta, il boicottaggio nei confronti dello Stato: ritiro dei depositi nelle banche, acquisto limitato ai prodotti strettamente necessari, rinuncia ai viaggi ed ai luoghi di divertimento.

La risposta del governo fu crudele e le detenzioni cominciarono ad essere sostituite dalle esecuzioni sommarie. "Chiunque farà battezzare i propri figli, o farà matrimonio religioso, o si confesserà, sarà trattato da ribelle e fucilato", recitava il testo del decreto emanato il 23 dicembre 1927 dal generale Gonzales. A fronte della violenza e dei crimini efferati messi in atto dal governo (arresti, campi di concentramento, eccidi, stupri...) consumati nell'indifferenza del mondo, e dopo aver opposto ogni tipo di resistenza passiva e non violenta, ai cattolici messicani non rimase altra alternativa se non quella delle armi.

I Cristeros

Nacque così, l'11 gennaio 1927, l'Esercito Nazionale dei Liberatori, che per tre anni si battè col proposito di restituire al Messico la libertà religiosa. Esso era formato dai soldati di Cristo Re, i "Cristeros", come erano definiti con disprezzo dal Governo perché, davanti ai plotoni di esecuzione ed alle forche di questa nuova Vandea, morivano gridando: Viva Cristo Rey!

Dalle regioni di Colima e Jalisco la rivolta si estese rapidamente in tutto il Paese. All'inizio del 1929 le truppe di Calles stavano per essere sopraffate ovunque sotto l'avanzata incalzante dell'esercito dei Cristeros, forte in quel momento di circa trecentomila uomini quando l'Episcopato, in sintonia con la Santa Sede, firmò un accordo col Governo il 29 giugno 1929, nell'intento di fermare lo spargimento di sangue ed evitare ulteriori sofferenze alla popolazione.

In tutto il Messico le chiese si riaprirono tra l'entusiasmo generale ed i Cristeros, deposte le armi, tornarono ai loro villaggi. La gioia fu però effimera e di breve durata: quei patti non sancirono in realtà altro se non l'inizio di una nuova fase di sangue nella storia del Paese, ancora peggiore di quella lasciata alle spalle. E difatti come i Cristeros, in obbedienza ai vescovi, ebbero deposto le armi, il Governo, scongiurata la disfatta militare che sembrava inevitabile, mise in atto un brutale genocidio: nell'arco di dieci anni, nell'indifferenza del mondo, circa duecentomila persone tra ex combattenti e civili vennero trucidate sui luoghi di lavoro o nelle proprie case.

Molti furono i martiri della Cristiada. Alcuni di essi sono stati canonizzati, altri beatificati o è in corso la causa di accertamento del martirio.

Tra questi il gesuita Miguel Pro fucilato nel 1927.

I vescovi, la lotta armata e la Santa Sede[1]

Il martire Beato Michele Agostino Pro qualche istante prima di essere fucilato
Pancho Villa ed Emiliano Zapata, avversari di Carranza

La seconda legge Calles, costrinse l'episcopato a metter fine a tutte le manifestazioni ecclesiastiche a partire dal 31 luglio 1926. La lotta si fece più aspra da ambedue le parti: il governo applicò la seconda legge Calles, i cattolici passarono dalla resistenza passiva a quella attiva e poi armata.

Il Papa Pio XI con l'enciclica Iniquis Afflictisque del 18 novembre 1926, prese per la prima volta posizione sulla situazione religiosa in Messico.

Il movimento armato fu spontaneo e si diffuse notevolmente a partire dalla fine del 1926. Esso era diretto dalla "Liga" (Lega Nazionale di Difesa della Libertà Religiosa) e i suoi militanti erano detti "cristeros" a motivo del loro grido di battaglia "Viva Cristo Re" o "Ligueros". La lotta fu dura per ambedue le parti.

Emilio Portes Gil, presidente dal 1928 al 1930, dichiarò alla stampa che "non esisteva problema, che non potesse essere appianato con la buona volontà da ambo le parti".

Rappresentanti dello Stato e della Chiesa pervennero ad un accordo, che venne ratificato da Pio XI nel 1929 quale male minore e mezzo per evitare ulteriori danni. Da una parte e dall'altra si ebbero proteste e scontenti. Molti cattolici ritennero che le cose ottenute non compensassero i sacrifici sofferti, mentre molti sostenitori del governo e la massoneria vi videro un atto di debolezza del presidente. Ma i compromessi concordati vennero sempre meno osservati dal governo. La maggioranza dei cristeros si arrese, però alcuni di essi vennero assassinati nonostante l'amnistia. Altri continuarono la lotta o la ripresero.

Pio XI seguì attentamente gli avvenimenti del Messico e nell'enciclica Acerba animi anxietudo del 29 settembre 1932 lamentò che il governo messicano non tenesse fede al modus vivendi concordato.

Papa Pio XI (Ratti)

Lodò il popolo e il clero del Messico ed esortò i cattolici a "difendere i sacri diritti della Chiesa" . Il governo e il partito nazionale non accolsero bene il documento pontificio e interpretarono l'ultima espressione come un incitamento alla ribellione.

Il Presidente successivo Lazaro Càrdenas (1934-1940) continuò nella politica anticristiana. Pio XI in una Lettera dell'aprile 1937 raccomandò ai Messicani [clero e Azione Cattolica] di organizzarsi in maniera pacifica , pur riconoscendo la legittimità della difesa armata in determinate condizioni.

Lazaro Cardenas, Presidente del Messico con le insegne massoniche

Quando il Papa nel 1929 abolì l'interdizione, le chiese vennero riaperte. Ma contrariamente agli accordi, i cattolici furono nuovamente puniti.

Dopo un nuovo bagno di sangue contro i cristeros, il popolo si convinse che il governo aveva ingannato i vescovi.

Il 31 dicembre 1931 l'arcivescovo di Città del Messico Pascual Dìaz Barrete alzò la propria voce contro i nuovi soprusi. Pio XI si vide costretto a stigmatizzare nuovamente l'ingiusto trattamento il 29 settembre 1932 mandò una Circolare a tutti gli ordinari.

Nell'enciclica del 28 marzo 1937 Firmissimam constantiam Pio XI si rivolse nuovamente ai cattolici del Messico, erano invitati a tutelare i propri diritti con mezzi legali. Il Papa riconobbe il diritto alla rivolta armata.

Il 4 febbraio 1926, in un intervista, l'arcivescovo Mora y Del Rìo, confermava l'atteggiamento di protesta [contro la costituzione del 1917], annunciando al giornalista (..) che "l'episcopato, il clero e i cattolici non riconoscono e combatteranno gli articoli 3, 5, 27 e 130 della Costituzione vigente".

Immediata fu la reazione di Calles (..). La "Lega Nazionale di Difesa della Libertà Religiosa", (..) pubblicò un foglietto che riprendeva la pastorale collettiva del 1917 contenente la condanna della Costituzione da parte dei vescovi.

L'episcopato messicano era diviso: da una parte gli "intransigenti", che non volevano nessuna conciliazione col governo, a costo di arrivare alla rivolta o - meglio - legittima difesa armata e dall'altra parte i "conciliazionisti", disposti a patteggiare con lo Stato, pur di giungere ad un accordo onorevole, che ridesse la libertà alla Chiesa.

La parte conservatrice o "radicale" dei vescovi era composta da Manrìquez y Zarate, Lara y Torres, Mora y Del Rìo, Gonzales y Valencia, Valverde y Tellèz, Orozco y Jménez.

La parte diplomatico-legalistica era composta da Pascual Dìaz, (che da vescovo di Tabasco nel 1922, diverrà arcivescovo di Città del Messico nel 1929, rimpiazzando il "radicale" Mora y del Rìo, che morrà nel 1936), Rùz y Flores, Banegas y Galvàn.

Se arcivescovo della capitale messicana e Presidente del "Comitato Episcopale Messicano" (CEM) era l'intransigente Mora y del Rìo Segretario di esso e Presidente del "Segretariato Arcidiocesano per l'Educazione" era monsignor Pascual Dìaz, che si muoveva - assieme a Ruiz y Flores, Vicepresidente del CEM - nella linea della "stretta legalità giuridica" e non era gradito assieme a Ruiz ai "ligueros".

Pascual Dìaz era molto benvisto - tra il 1924-25 - dal cardinal Pietro Gasparri, Segretario di Stato di Pio XI. Però "prudenza" o "conciliazione" non significavano arrendevolezza sui princìpi, ma una tattica di agire pratico, volta ad ottenere la libertà della Chiesa non tramite la resistenza attiva e anche armata, bensì solo grazie alle trattative giuridiche.

Quando si giunse al 1926, di fronte alla politica anticristiana di Calles, papa Pio XI scrisse la Lettera Apostolica Paterna Sane Sollicitudo del 2 febbraio 1926. In essa Pio XI aveva alzato il tono della critica, definendo i provvedimenti adottati dal governo messicano "così ingiusti da non meritare il nome di leggi".

Ci si avviava verso una protesta legale, in cui si era espressa un'energica protesta, ispirata a quella del 1917, contro la riduzione dei margini della libertà della Chiesa; con questa era ribadita la volontà della gerarchia di collaborare per la pace, ma anche di agire risolutamente per la riforma degli articoli 3 e 130 della Costituzione.

La reazione governativa fu talmente drastica che fece vacillare la linea "conciliatorista" imposta nell'episcopato da Dìaz e Ruiz y Flores, spingendo i vescovi a prendere contromisure drastiche, quale avrebbe potuto essere la sospensione del culto. Nonostante le perplessità personali esposte dal cardinal Gasparri, l'11 luglio il CEM decise che il culto sarebbe stato sospeso in tutta la Repubblica, "dopo aver consultato il Santo Padre Pio XI", che l'approvò.

Tuttavia nel mondo cattolico messicano si era formata una spaccatura tra CEM e Liga. I "ligueros" non avevano accettato favorevolmente le tattica del dialogo di Dìaz e Ruìz. Mentre il CEM rigettava l'idea di una resistenza armata, la Liga si avviava verso essa, ma non tutti i vescovi erano "anti-ligueros", anzi numerosi prelati li appoggiavano.

Gonzàles y Valencia, vescovo di Durango, si trasferì a Roma, nel 1927, per patrocinare la causa pro "ligueros" presso la Santa Sede. L'8 luglio 1926 Pio XI, sentendo prossimo il pericolo di una guerra civile in Messico promulgò l'enciclica Iniquis Afflictisque per ispirare fiducia nel futuro e nell'azione comune dei cattolici.

Nel 1927 la Segreteria di Stato vaticana aveva deciso di appoggiare la linea "conciliazionista" dei vescovi Dìaz e Ruìz.

Frattanto tra il 1928-29 divampava una vera e propria guerra civile. Mentre Pio XI l'8 giugno 1928 scrisse una Lettera a Los pueblos de America en favor de México perseguido, il cardinal Gasparri propendeva ancora per la via di prudenti negoziati riservati e guardava con diffidenza la "Liga" e ci si riavviava così nel 1929 verso un "modus vivendi" di tolleranza pratica, da parte del governo messicano, della libertà ecclesiastica.

Tale accordo pratico spiacque ai radicali cattolici e a quelli laicisti. Da parte del Vaticano si esigeva un'amnistia completa per clero e laici, la restituzione delle proprietà ecclesiastiche e la garanzia di relazioni senza alcuna restrizione tra Roma ed episcopato messicano. Per la Santa Sede tutto ciò non era l'ideale ma de facto ci si poteva accontentare di questa tolleranza pratica per evitare mali maggiori alla chiesa messicana. L'ala intransigente dell'episcopato si adeguò in pratica alle direttive vaticane, pur non rinunciando de jure alle proprie posizioni "radicali". Ma tra i fedeli si era scavato un solco fra intransigenti e dialoganti.

Tuttavia gli accordi ("arreglos") del 1929 non durarono molto, lo Stato non li mise in pratica volentieri e già nel 1931 si tornò alla persecuzione.

Pio XI pubblicò l'enciclica Acerba animi, 29 settembre 1932, in cui invitava i cattolici "ad obbedire alla legge e a difendere la Chiesa".

Scoppiò quindi la seconda "cristiada" (1932-34), cambiò anche la strategia dell'episcopato e l'azione della Santa Sede, che nel 1937 con l'enciclica Firmissimam Constantiam assunse una decisa presa di posizione, e contribuì a rafforzare la presenza pubblica del cattolicesimo intransigente.

Il clero in quanto tale e l'Azione Cattolica in quanto associazione direttamente mandataria dell'episcopato, non dovevano usare mezzi violenti, ma potevano e dovevano preparare i fedeli laici a impiegare lecitamente anche il diritto della resistenza armata contro un ingiusto aggressore.

Se una parte dell'episcopato messicano preferiva, per evitare un male maggiore, trattare giuridicamente col governo al fine di ottenere la libertà per la Chiesa; vi era un'altra parte dell'episcopato che preferiva la resistenza, prima passiva, poi attiva e in ultimo armata, per ottenere lo stesso risultato.

La dottrina cattolica insegna che è lecito pattuire giuridicamente, a condizione di non ledere i principi delle fede e del diritto naturale e divino. Dunque non vi è stato peccato di "liberalismo" nella pratica "concordataria" di una parte dell'episcopato, anche se essa si è poi rivelata una chimera.Vi fu, forse, un errore pratico di valutazione sui mezzi migliori da prendere, ma non che vi sia stato cedimento sui princìpi o scelta di mezzi cattivi in sé.

Così pure - per la dottrina cattolica - è lecito, come extrema ratio, resistere attivamente ed anche con le armi a certe determinate condizioni (essere sicuri moralmente della riuscita della rivolta e che la situazione posteriore non sarà peggiore di quella anteriore). Ora i "cristeros" avrebbero potuto vincere (ma tuttavia non ve ne era la certezza) e ridare la libertà alla Chiesa. Quindi anche la loro condotta non fu biasimevole, anzi, essa si sarebbe rivelata poi - praticamente - la migliore. I "cristeros" obbedirono all'episcopato e questo si lasciò dirigere da Roma.

I martiri canonizzati del 21 maggio

Alcuni martiri messicani

Cristoforo Magallanes Jara e 24 compagni, entrarono subito dopo la canonizzazione nel Calendario Romano al 21 maggio con il grado di "memoria facoltativa". Il Martirologio Romano commemora invece i diversi santi e beati separatamente, ciascuno nell'anniversario del martirio.

Altri Martiri

Anacleto Gonzalez Flores, conosciuto come "il maestro Cleto", fu il fondatore sia dell'Associazione Cattolica della Gioventù Messicana (ACJM), nella città di Guadalajara, sia dell'Unione Popolare, movimento dedito alla promozione della catechesi, che si opponeva attivamente al Governo federale per via della repressione crudele delle libertà religiose.

José Luis Sánchez del Río aveva solo 14 anni quando fu assassinato, il 10 febbraio 1928. All'età di soli 13 anni, poco più di un bambino, era riuscito a farsi arruolare come aiutante da campo e, poco dopo, come portabandiera e clarinettista delle truppe del generale cristero Luis Guizar Morfin. Quando, nel corso della battaglia del 6 febbraio 1928, il cavallo di Morfin venne ucciso, Josè gli cedette il proprio per consentirgli di mettersi in salvo, perché, come disse al suo generale, "la vostra vita è più utile della mia". Poco dopo il ragazzino, ormai appiedato, venne sopraffato dai soldati federali, che lo rinchiusero nella sua chiesa parrocchiale, ridotta a stalla ed a carcere per i "cristeros". Gli chiesero di rinnegare la fede in cambio della libertà ma egli rispose: "Viva Cristo Re, viva la Madonna di Guadalupe". Gli spellarono le piante dei piedi, facendolo camminare senza scarpe su una strada selciata fino al cimitero: lì, esasperati dalle sue continue invocazioni a Cristo Re, lo finirono con un colpo di pistola alla testa.

Note
  1. Don Curzio Nitoglia ha pubblicato on line una puntuale ricostruzione della vicenda messicana, degli interventi di Pio XI e della Segreteria di Stato (vedi link)
Voci correlate
Collegamenti esterni