Simonia
In riferimento a Simon Mago, che voleva acquistare con denaro dagli apostoli il potere di imporre lo Spirito Santo (At 8,18-24), per simonia s'intende la compera o vendita di beni spirituali.
All'epoca romana e nel primo medioevo, in occasione di ordinazioni, sacramenti, funerali, assunzione di cariche e altro si istituivano delle imposte, che però per la maggior parte risalivano a consuetudini legali. In questo modo c’era senz’altro il pericolo di cadere nella simonia vera e propria. Per tale motivo a partire dal IV secolo, sinodi e concili proibirono severamente tali imposizioni di denaro arrivando perfino a condannare il pagamento di beni temporali in qualche modo collegati con la Chiesa. Papa Gregorio Magno si spinse più in là stabilendo non una, ma tre forme di simonia:
- Munus a mano (denaro o regali)
- Munus ab obsequi (servizi e favori)
- Munus a lingua (intercessione)
Inoltre riprese il concetto dihaeresis simoniaca, già elaborato prima di lui: chi con la simonia peccava contro lo Spirito Santo era considerato come eretico.
Ma una condanna così globale non aiutò certo a dominare la realtà concreta, perché i giovani popoli germanici avevano sviluppato per l'amministrazione ecclesiastica delle forme che corrispondevano alla loro civiltà agraria e si realizzavano appunto nelle istituzioni delle chiese proprie, dell'investitura, ecc. Così essi capovolsero il rapporto originariamente esistente fra ufficio e proprietà ecclesiastica: mentre secondo la concezione ecclesiastica romana l'ufficio occupava il posto centrale e il patrimonio costituiva il mezzo per mantenere l'ecclesiastico e per provvedere ad altri impegni, nel diritto ecclesiastico influenzato dalla mentalità germanica l'aspetto giuridico oggettivo passò al primo posto e il sacerdote, necessario per i compiti della Chiesa, al secondo. Di conseguenza le chiese potevano essere tutte o in parte vendute e nell'affidare una chiesa si potevano pretendere dei pagamenti. Ma poiché l'investitura conferiva temporaneamente anche l'ufficio, questi pagamenti avevano per lo meno aspetto simoniaco.
Fino a che punto potesse arrivare la tendenza materialistica, appare chiaramente da quanto avvenne nel 1016 per il conferimento dell'arcidiocesi di Narbona. Il conte di Cerdana, per il suo figlio di dieci anni, offrì ben 100.000 scellini d'oro, pur di superare l'altro pretendente, l'abate di Conques che si era arricchito vendendo il patrimonio del monastero; i padroni, un conte e un viceconte accettarono la somma e se la divisero tra loro.
Un simile mercimonio sarà stato senz'altro un'eccezione; in generale per le investiture delle chiese più ambite ci saranno state delle tasse più o meno fisse. Ogni investitura imponeva determinati impegni ai quali, a seconda delle circostanze, venivano aggiunti altri obblighi. I vescovati erano oggetto di traffico vero e proprio.
Il parroco di campagna doveva pagare al signore una tassa per ottenere la sua chiesa. Quindi gli ecclesiastici erano tentati di trarre profitto dalle loro funzioni spirituali. Alcuni parroci arrivavano a farsi pagare per battezzare i neonati o fare i funerali. Naturalmente i candidati spesso si servivano delle raccomandazioni delle persone più influenti. Perciò le tre forme di simonia enucleate da Gregorio Magno erano senz'altro praticate un po' ovunque. Poiché coloro che ricevevano l'investitura desideravano naturalmente recuperare i soldi spesi servendosi della chiesa e dell'ufficio ricevuto, non pochi pretendevano denaro per prestazioni puramente spirituali, cadendo così nella spirale della simonia vera e propria.
Chi condivideva i rigorosi criteri stabiliti da Gregorio Magno e dalle antiche leggi sinodali doveva necessariamente considerare l'eresia della simonia come uno dei vizi più gravi e frequenti della sua epoca.