Terra di San Benedetto
La Terra di San Benedetto, ovvero Terra Sancti Benedicti, è stato il territorio d'influenza dell'Abbazia di Montecassino, grande polo religioso-politico-culturale nel medioevo. La storia dei territori legati all’Abbazia benedettina si può suddividere in tre fasi principali che corrispondono a tre diverse impostazioni del controllo del territorio: si ha prima l’epoca della curtis, poi quella del castrum ed infine quella dello sviluppo della universitas civium. Successivamente l'Abbazia perde progressivamente lo storico potere temporale.
Fondazione
L'origine va rintracciata nella cospicua donazione di terre fatta nel 744 al monastero dal longobardo Gisulfo II, duca di Benevento. Le terre donate da allora furono soggette solo all'autorità papale e abbaziale; nel 774 abate era Potone. La donazione probabilmente fu di carattere sia religioso sia politico: si garantiva così un'alleanza tra la Chiesa e i duchi beneventani per difendersi reciprocamente nella zona occidentale della Terra dove corrono importanti direttrici nord-sud. Nei secoli successivi, progressivamente, al cenobio vennero offerti monasteri, chiese e castelli con annessi possedimenti, anche oltremare, tramite concessioni e donazioni effettuate da nobili, imperatori e papi, raggiungendo gli ottantamila ettari.
Epoca della curtis (secoli VIII - IX)
La curtis è l’organismo fondiario fondamentale dell’epoca della Terra Sancti Benedicti che va dal 774, anno della donazione da parte di Gisulfo II, all’883, anno della distruzione dell'Abbazia per mano dei Saraceni. Prima della donazione, il territorio nei pressi di Montecassino era suddiviso in fondi imperiali e fondi delle ricche gentes locali, come gli Ummidia, i Paccia e i Luccia. Non esisteva quindi un effettivo potere temporale del monastero.
Sul territorio donato, i monaci hanno autonomia totale di controllo e gestione in quanto loro proprietà privata. Essi si adoperano subito a riorganizzare razionalmente l’area: vengono intraprese attività di bonifica dell’area paludosa nei pressi del fiume Rapido e vengono distribuiti strategicamente sul territorio degli avamposti costituiti da piccoli monasteri, le cellae. La parte del possedimento che fa capo ad una cella è appunto la curtis. Viene intrapresa l’edificazione di una vasta basilica, il Divin Salvatore, ovverosia la curtis maior da cui dipendono le altre.
Ogni curtis tende ad essere economicamente autonoma, in linea con lo spirito della Regola benedettina. Il terreno è lavorato direttamente dai monaci o dagli angarari, cioè i dipendenti che annualmente devono prestarsi ad un numero fissato di giornate lavorative, le angariae. Vi sono poi le curtis concesse a coloni e le pertinentiae, ovvero una specie di demanio del monastero da cui gli abitanti prendono i materiali di prima necessità.
In tale epoca viene fondata ai piedi dell’abbazia la città di Eulogimenopoli dall’abate Bertario, poi distrutta dai Saraceni. Le cellae costellano un ampio territorio, ma sono tra loro disperse; tramite scambi di particelle fondiarie, Montecassino e le altre signorie laiche ed ecclesiastiche tendono a creare continuità tra i propri possedimenti.
Epoca del castrum (secoli IX - XI)
A seguito delle scorrerie dei saraceni e della distruzione di Montecassino, i monaci superstiti si rifugiano a Capua. Seguoono una quarantina di anni di insicurezza e instabilità, con la conseguenza dell’arretramento della superficie coltivata. La vittoria, nell’agosto 915, della lega cristiana di papa Giovanni X nella battaglia del Garigliano segna la ripresa da parte della nobiltà locale del controllo della Terra. I monaci ritornano a Montecassino nel 949. Nel periodo che segue, il castrum, insediamento concentrato e fortificato sulle alture, diventa progressivamente l’elemento fondamentale di controllo e amministrazione del territorio e lo rimarrà per centinaia di anni.
Nel 967 Pandolfo Capodiferro, principe di Benevento, concede all’abate lo ius munitionis, ossia il privilegio di fortificare liberamente. L’Abbazia e la nobiltà laica, con la popolazione in crescita, si adoperano per riorganizzare i possedimenti: si ripopola il territorio secondo le esigenze, si realizzano opere di bonifica, si mettono a coltura nuove aree e si realizzano, appunto, i castra, rioccupando gli insediamenti abbandonati e fondandone di nuovi, spesso utilizzando le antiche cellae come nucleo di aggregazione.
Grazie all’utilizzo di contratti livellari della durata di ventinove anni, gli abati cassinesi a partire da Aligerno riescono ad attrarre anche coloni dalle aree limitrofe a cui affidare i terreni. All’Abbazia è versata la settima parte delle messi e la terza parte del vino. L’accentramento delle abitazioni dei coloni all’interno di fortificazioni e l’affidamento ad ogni colono di particelle di terreno rappresentano le caratteristiche di questo periodo. Non vi è inizialmente una minaccia imminente tale da rendere indispensabili castelli e torri, ma il ricordo della devastazione saracena e le mire dei potenti vicini sono il motivo di tale scelta.
Ci è giunto un documento esemplare riguardante la fondazione del primo castrum: Sant'Angelo in Theodice. Il contratto attesta che in località at Teudice, attorno alla chiesa di S. Michele Arcangelo, si stanziarono 34 famiglie; ogni famiglia ricevette una particella all’interno delle previste mura, su cui edificare, più una all’esterno, da coltivare; le famiglie dei coloni con i commenditi, i dipendenti, avevano diritto di residenza nel castrum e il dovere di conciare castellum sotto la guida dei magistri fabricatores inviati dall’Abate. Fu realizzata sul colle Janulo una fortezza turrita per dominare la valle, la Rocca Janula. Già nella bolla papale di di Vittore II del 1057 furono elencate diciannove castelli, che divennero una trentina sul finire del secolo, dopo le acquisizioni operate dell’abate Desiderio. Tale Abate fece giungere da Costantinopoli delle porte di bronzo per la Basilica di Montecassino su cui vennero incisi i nomi dei castra.
« | Castella autem haec in primis ad pedem montis S.Salvatoris, quod est S.Germani, S.Petri, Piniatari, Plumbarola, S.Stephani, S. Georgii, S.Apollinaris, Vallisfrigida, S.Andreae, Bantra Comitalis, Bantra Monacisca, Juntura, S.Angeli, Turruculum, Sancti Victoris, S.Petri in flia, Cervara, Vallisrotunda, S. Helia, Sarracininscum. » | |
(Diploma a firma di papa Vittore II, 1057)
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Il territorio si popola di castra grazie agli abati seguiti dai nobili confinanti. Nel 991, con Mansone abate, vengono fondati Sant’Elia e Roccasecca. Nei pressi di Aquino fu fortificata la cella dedicata a San Gregorio e dotata di un’imponente torre. Nascono Pignataro, Mortola, Rocca di Vandra, Cocuruzzo, Viticuso, Pontecorvo, Suio, da cui si vede il Tirreno, e altri. Dove il Rapido e il Liri confluiscono, nacque il castello di Iuntura (Giuntura); nei suoi pressi nacque quello di Vandra Monastica; nel 1051 i conti di Aquino promossero la realizzazione del castello di Teramo; dello stesso secolo sono Vallerotonda e Torrocolo (Trocchio). La città ai piedi dell’Abbazia fu ricostruita per volere dell’abate Atenolfo e le venne dato il nome di San Germano.
La bellicosità e il domino normanno sul sud preoccupava l’abate Richerio che perciò fondò una milizia abbaziale, affidando la difesa territoriale agli stessi abitanti e scegliendo quelli che si sarebbero occupati esclusivamente della professione militare. Si creerà così una nuova classe sociale a cui verranno assegnati vari privilegi. Altrove, nel Centro, l’incastellamento nel secolo Undicesimo si era attenuato; nella Terra di San Benedetto e nell’area limitrofa, a causa della presenza dei vicini Normanni, si era prolungato: nacquero nuovi castra, sia su iniziativa abbaziale o di signori locali, ma anche su iniziativa normanna. Questa peculiarità caratterizzò il governo del monastero nel periodo di massimo splendore.
Sviluppo dell’Universitas Civium (secoli XI - XIII)
La terza epoca inizia sul finire dell’Undicesimo secolo, quando i castra sono consolidati: la popolazione dei castelli prende consapevolezza sociale e comincia ad organizzarsi in Universitas civium, per far valere i propri diritti nei confronti dell'Abbazia. La possibilità d’azione dei castelli era comunque limitata dato che spettava all'Abate la nomina delle cariche pubbliche principali e la terra era proprietà del monastero.
In questo stesso periodo l'abbazia trova il suo sbocco a mare grazie agli abati Federico e soprattutto Desiderio, ottenendo i castelli di Fratte, Mortola, Terame, Cocuruzzo, Traetto, Spigno, Suio e la Torre a Mare di Pandolfo I Capodiferro.
Il potere abbaziale in questo periodo venne però limitato dall’esterno, iniziando dai Normanni che governavano il sud della Penisola. Nel 1199, le truppe imperiali assediarono l’abbazia stanziando a San Germano. La Terra di San Benedetto si trovò al centro di importanti vicende dei principi Svevi, che limitarono ancora di più il potere dell’Abbazia: nel 1230 la stessa città fu luogo della firma della pace tra il papa Gregorio VII e l’imperatore Federico II; nel 1266 ancora a San Germano gli uomini di Manfredi tentando di resistere all’invasore Carlo I d'Angiò.
Dopo queste turbolente vicende, l’abate Bernardo I Ayglerio fu protagonista della restaurazione del patrimonio dell’abbazia e la codificazione dei diritti del monastero. Fermo restando che la Terra è demanio abbaziale, un’Universitas civium, tramite rappresentanti, organizza e dirige la polizia urbana, tributaria e annonaria, realizza opere di pubblica utilità, ripartisce i pagamenti tra i cittadini e tiene i contatti con l’Abate. Riconoscere dei rappresentanti della cittadinanza equivale a riconoscere una organizzazione municipale.
Questo sviluppo amministrativo inizia attraverso il riconoscimento di Chartae Libertatis: l’Abate fissava con i rappresentanti le condizioni e gli obblighi nei reciproci rapporti; lo stesso doveva pagare penali in denaro all’Universitas in caso di inadempienze. L’abate Desiderio concesse agli abitanti di Trajetto queste carte di franchigia nel 1061. In quelle concesse a Suio nel 1079 si legge che l’Abate s’impegnava nel concedere alla cittadinanza di amministrare la legge e la giustizia e nel non nominare senza consenso amministratori estranei al loro territorio.
Questa evoluzione era favorita dal crescere del frazionamento dei possessi a causa di donazioni e vendite parziali e suddivisioni ereditarie. Lo sviluppo delle Universitas semplificava la riscossione dei pagamenti: il pagamento per il rinnovo delle concessioni avveniva attraverso i rappresentanti e la somma veniva ripartita tra i singoli cittadini. In questo periodo aumentarono anche i servizi che dovevano prestare quelli a cui erano concessi i terreni, divenuti terrae de servitio.
Si verificò anche la nascita della classe sociale dei milites; a loro soltanto spettavano le terrae sine servitio. Nata con l’abate Richerio, riuscì ad ottenere progressivamente crescenti privilegi. I soldati a cavallo, cioè i più ricchi, erano la piccola aristocrazia, avevano diritto di ricevere un mantenimento per il cavallo e il materiale connesso ed erano esentati dalla pagare tasse sul terreno. Tali diritti erano in sostanza il pagamento del servizio militare e decadevano con la sua cessazione.
La perdita di potere del monastero (secoli XIII - XVI)
Dopo tali fasi di sviluppo, iniziò con alterne vicende la perdita del potere temporale da parte di Montecassino e la dissolvenza del territorio che aveva controllato in organismi più vasti. Un terremoto distrusse l'Abbazia nel 1349 e, malgrado questa sia tornata presto alla sua funzione, l’evento può considerarsi un importante spartiacque. Nel XIV secolo, da Roma si cercò di limitare l’abbazia ponendo un vescovo a San Germano, ma gli abati riuscirono a mantenere molte prerogative grazie a papa Urbano V. Dopo la battaglia del Garigliano del 1503, che segnò l’inizio del dominio aragonese sul sud, la Terra di San Benedetto divenne parte del Regno di Napoli. La fine ufficiale della signoria si ebbe nel 1806 con l'abolizione dei diritti feudali.
Voci correlate | |
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