Caduta di Gerusalemme del 70 d.C.
L'assedio di Gerusalemme dell'anno 70 fu l'episodio decisivo della prima guerra giudaica, sebbene il conflitto sia terminato con la caduta di Masada nel 74. L'esercito romano, guidato da Tito Flavio Vespasiano (il futuro imperatore Tito) assediò e conquistò la città di Gerusalemme, occupata dai ribelli ebrei sin dall'inizio della rivolta, nel 66.
A seguito della vittoria romana la città e il suo tempio furono distrutti; la distruzione del principale tempio ebraico è ricordata ancora oggi nell'annuale festa ebraica della Tisha BeAv, mentre l'arco di Tito, eretto per celebrare il trionfo del generale romano, si trova tutt'oggi a Roma.
Storia
L'assedio ebbe inizio nel marzo del 70: Tito disponeva di quattro legioni, tre delle quali (V Macedonica, XII Fulminata, XV Apollinaris) erano accampate sul lato orientale della città, mentre la quarta (X Fretensis) ebbe il compito di occupare il Monte degli Ulivi a oriente. La strategia di Tito fu quella di ridurre le riserve di cibo ed acqua degli assediati, permettendo ai pellegrini di entrare in città per la consueta visita al tempio in occasione di Pesach, ma impedendo loro di uscire. Il futuro imperatore costruì intorno alla città assediata oltre ad un grande campo, utilizzato come quartier generale, anche tredici forti collegati tra loro[1].
Gli Ebrei assediati riuscirono, in diverse sortite, a uccidere molti soldati romani. Tito decise di inviare Giuseppe ben Mattia, un comandante ebraico passato ai Romani dopo la cattura, per negoziare con i difensori, i quali, però, attaccarono improvvisamente gli inviati, riuscendo quasi a catturare Tito.
A metà maggio, Tito decise di distruggere la terza cinta di mura appena costruita con gli arieti e riuscì a sfondare anche la seconda cinta; il suo obiettivo successivo fu la Fortezza Antonia, posta a nord del Monte del Tempio. A questo punto i Romani furono trascinati in combattimenti strada per strada con gli Zeloti: Tito ordinò loro di ritirarsi per evitare pesanti perdite. Inoltre, mentre Giuseppe fallì un ulteriore tentativo di negoziare la pace, gli assediati riuscirono a impedire la costruzione di torri d'assedio nei pressi della Fortezza Antonia. Poiché il cibo, l'acqua e altro materiale iniziavano a scarseggiare, piccoli gruppi di rifornitori tentarono, riuscendoci, di portare di nascosto in città alcune provviste, occupando nel contempo i Romani con azioni di disturbo. Per fermare i rifornimenti, fu ordinato di erigere un muro attorno alla città e, contemporaneamente, di riprendere la costruzione delle torri d'assedio.
Dopo diversi tentativi falliti di scalare o penetrare le mura della Fortezza Antonia, i Romani decisero di preparare un attacco di nascosto, che, dopo aver sorpreso le guardie zelote immerse nel sonno, permise loro di conquistare la Fortezza: questa costituiva il secondo punto più alto della città dopo il Monte del Tempio e forniva ai Romani la piattaforma perfetta per attaccare il tempio stesso. Gli arieti ebbero poco successo, ma i combattimenti ebbero come conseguenza quella di appiccare il fuoco alle mura, in quanto un soldato romano lanciò una torcia accesa contro il Tempio. La distruzione del Tempio non rientrava probabilmente tra i piani di Tito: il generale romano intendeva conquistare il Tempio e trasformarlo in un tempio pagano, dedicato ad un dio del pantheon romano. Le fiamme si diffusero rapidamente e presto furono indomabili; il Tempio fu distrutto a fine agosto, in occasione di Tisha BeAv e l'incendio si propagò nei quartieri residenziali vicini.
Le legioni romane furono poi in grado di annientare la residua resistenza ebraica. Parte degli Ebrei riuscì a fuggire attraverso delle gallerie segrete, mentre altri decisero di resistere fino all'ultimo nella città alta. Questa resistenza rallentò i Romani, che furono costretti a costruire nuovi torri d'assedio. L'ultima resistenza fu domata il 7 settembre: avuto il controllo della città, i Romani si diedero alla caccia degli Ebrei fuggitivi.
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