Casta meretrix

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Casta meretrix ("casta prostituta") è un'espressione[1] latina mutuata da un testo di Sant'Ambrogio, che viene usata talvolta per indicare la realtà della Chiesa, santa ancorché composta da peccatori.

Il testo di Ambrogio

Ambrogio confronta nel suo Commento al Vangelo di Luca[2] la genealogia di Gesù fornita da Luca con quella di Matteo, e si sofferma sull'espressione di Matteo: "Giuda generò Fares e Zara da Tamar" (Mt 1,3 ). Ambrogio si domanda perché il Vangelo nomini tutti e due i figli di Giuda, quando sarebbe stato sufficiente nominarne uno solo, e ne conclude che nell'espressione è racchiusa una realtà misteriosa, ed esorta i fedeli a seguirlo mentre ne analizza il senso storico, quello morale e quello mistico.

Il senso storico si coglie per Ambrogio a partire dal racconto del Genesi: Tamar

« aveva nel grembo due gemelli. Durante il parto, uno di essi mise fuori una mano e la levatrice prese un filo scarlatto e lo legò attorno a quella mano, dicendo: "Questo è uscito per primo". Ma poi questi ritirò la mano, ed ecco venne alla luce suo fratello. Allora ella esclamò: "Come ti sei aperto una breccia?", e fu chiamato Peres. Poi uscì suo fratello, che aveva il filo scarlatto alla mano, e fu chiamato Zerach»

Zara o Zerach è in ebraico Zerah, termine che indica il "bagliore" dell'aurora che precede il giorno; Peres o Fares, in greco e latino Phares e in ebraico Peres, significa "breccia".

Commenta Ambrogio:

« Vedi quanti enigmi fanno intravedere il mistero: la mano che sporge, il filo scarlatto allacciato, la mano ritratta, la voce ripetuta della levatrice, che l'uno doveva uscire per primo, l'altro doveva aprirsi una breccia. Ma perché l'uno fece sporgere prima la mano dall'utero, l'altro fu primo ad essere partorito? Non forse perché nel mistero dei due gemelli si descrive la vita dei due popoli, l'una secondo la Legge, l'altra secondo la fede»
(Libro III, 18)

Poco più avanti Ambrogio conclude affermando che Zara, "il quale tradotto significa Oriente"[3], viene per primo. Viene cioè per prima la fede insegnata dal Vangelo,

« poiché noi crediamo per mezzo della croce e del sangue di Cristo; Abramo vide il suo giorno ed esultò [...]; e quella Rahab, che nel tipo era una meretrice, ma nel mistero è la Chiesa, indicò nel sangue di Cristo il segno futuro della salvezza universale, quando il mondo stava crollando: la Chiesa non rifiuta l'unione con numerosi fuggiaschi, tanto più casta quanto più strettamente è congiunta al maggior numero di essi [quo coniunctior pluribus eo castior], essa che è vergine immacolata, senza ruga, incontaminata nel pudore, amante pubblica, meretrice casta, vedova sterile, vergine feconda: meretrice casta, perché molti amanti la frequentano per l'attrattiva dell'affetto, ma senza la sconcezza del peccato [casta meretrix, quia a pluribus amatoribus frequentatur cum dilectionis inlecebra et sine conluvione delicti»
(Libro III, 23.[4])

Il significato dell'espressione in Ambrogio

Con quale intenzione Ambrogio riferisce alla Chiesa l'espressione "casta meretrix"? La risposta a questa domanda deve tener conto che Rahab appare typo meretrix, mysterio ecclesia ("a livello di prefigurazione la prostituta, a livello del mistero la Chiesa"). Il meretricio è collocato sul versante del typos, cioè della figura, non del mysterion, cioè della misteriosa realtà figurata.

Occorre chiarire entro quale misura il typos valga per il mysterion, ed Ambrogio lo fa immediatamente, spiegando che la Chiesa - come già Rahab - non rifiuta di accogliere nel suo grembo molti fuggiaschi (convenae). Ma nello stesso tempo Ambrogio travalica il typos, aggiungendo due caratteristiche esclusive della realtà figurata:

  • in primo luogo, la Chiesa tanto più è casta, quanto più grande è il numero dei fuggiaschi con cui si unisce;
  • in secondo luogo, la Chiesa è "meretrice casta, perché molti amanti la frequentano per l'attrattiva dell'affetto, ma senza la sconcezza del peccato"[5]

Nell'intenzione di Ambrogio quindi non solo l'aggettivo "casta", ma anche il sostantivo "prostituta" è titolo di merito per la Chiesa: di fatto, in rapporto alla realtà misteriosa (mysterion), figurata da Rahab (typos), il termine meretrix viene ad indicare la sconfinata capacità di accoglienza della Chiesa, e perde dichiaratamente qualunque significato deteriore.

L'utilizzo dell'espressione nei Padri della Chiesa

Nonostante si affermi spesso che tale espressione è usata "dai Padri della Chiesa", "nessuno ha parlato di "casta meretrix" prima di lui [Ambrogio], e nessuno dopo di lui, tra i Padri, l'ha imitato"[6]. Ambrogio stesso "ha usato questa espressione una sola volta", precisamente nella sua meditazione su Rahab riportata sopra.

Anche altre espressioni in qualche modo equivalenti, come castum meretricium, meretrices virgines, ecc., si trovano usate molto raramente nei Padri, e comunque Ambrogio è il primo ad usarle; in ogni caso nessun altro Padre - oltre ad Ambrogio nel passo del Commento al Vangelo di Luca sopra citato - riferisce alla Chiesa l'espressione.

Fraintendimenti moderni

Mostra di fraintendere l'espressione di Ambrogio chi la adduce per affermare che la Chiesa è "allo stesso tempo santa e peccatrice", come fa, per esempio, Hans Küng in La Chiesa[7].

Ugualmente Giuseppe Alberigo, in Chiesa santa e peccatrice. Conversione della Chiesa?[8], sembra voler addurre testi di Ambrogio che smentiscano la visione riportata sopra ed espressa da Giacomo Biffi (1996), specialmente là dove egli afferma che Ambrogio "utilizza l'immagine della Chiesa morente: la Chiesa è la luna che cresce, cala, è oscurata dalle nubi e alla fine muore nel sole, Cristo[9]. Ma questa è solo una citazione indiretta di Ambrogio, mediata da Hugo Rahner, che non può essere addotta contro le argomentazioni di Biffi.[10]

Note
  1. Tecnicamente l'espressione è un ossimoro, ovvero una "figura retorica consistente nell'accostare nella medesima locuzione parole che esprimono concetti contrari" (Definizione nel Vocabolario Treccani).
  2. Libro III, 17-23.
  3. Libro III, 22.
  4. Ambrogio adotta qui con decisione il metodo allegorico-spirituale; tale tipo di lettura, detta "lettura spirituale", praticata dai Padri alessandrini, anzitutto da Clemente e Origene, implica l'attenzione all'esegesi letterale e storica, ma nello stesso tempo il desiderio di andare oltre il velo della lettera. Ambrogio è persuaso che sia necessaria una meticolosa opera di "imbrigliamento" di ogni singola espressione per fermare la parola e "spremerne" tutte le potenzialità nascoste: e questo deve essere fatto, perché già nella singola parola si attua il miracolo della presenza divina, e quindi il lavorio esegetico deve partire dai termini, che sono dimora del Verbo ed eventi dell'economia di salvezza.
  5. Commento al Vangelo di Luca, 3, 17-23.
  6. Giacomo Biffi (1996.
  7. Queriniana, Brescia 1972, p. 379.
  8. Magnano 1997.
  9. p. 23.
  10. Enrico Dal Covolo (1999).
Fonti
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni