Carta della Carità
La Carta caritatis, o Charta caritatis (espressione latina che significa Carta della carità) è un testo legislativo cistercense, scritto originalmente da Santo Stefano Harding con la finalità di regolare il rapporto tra i monasteri dell'Ordine e il governo dell'intero gruppo di abbazie.
Storia del testo
A quanto sembra già per la fondazione dell'abbazia di Pontigny c'era un testo, chiamato Carta della carità e dell'unanimità, che si usava per uniformare le abitudini tra i diversi monasteri. Questo testo fu presentato al papa Callisto II nel 1119, e dopo fu rimaneggiato, sia attraverso le modificazioni introdotte dai capitoli generali, sia anche per gli interventi dei papi.
Purtroppo non ci sono testimoni manoscritti che ci riportino il testo originario; alcuni studiosi hanno pensato che i primi capitoli del testo conosciuto come Carta caritatis prior riproducano il testo iniziale, ma non c'è modo di provare tale tesi. Comunque, analizzando la tradizione manoscritta che è arrivata ai nostri giorni si possono delineare tre versioni del testo:
- La carta caritatis prior, che sarebbe lo stato di questa legislazione circa l'anno 1150. Si trova un testimone presente nella Biblioteca Universitaria di Liubliana[1].
- La carta caritatis posterior, che è una versione posteriore del testo, con rimaneggiamenti e aggiunte dovute soprattutto all'intervento dei papi tra gli anni 1152 e 1165.
- La summa cartae caritatis, che era uno schema destinato forse a venir consegnato ai vescovi quando si chiedeva il permesso di fondare un monastero all'interno di una determinata diocesi. C'è un manoscritto di questo testo nella Biblioteca comunale di Trento[2].
Contesto
Una delle innovazioni proprie dell'Ordine cistercense era il modo in cui si concepiva la dipendenza tra i monasteri. Questo creava, per così dire, il bisogno di uniformare il più possibile il modo di vivere e i costumi tra le diverse abbazie. Con questa finalità si crearono istituzioni destinate a venir impiegate in seguito da tutti gli ordini religiosi, come il capitolo generale (concepito anche come possibilità di adattare questo consuetudinario con la partecipazione di più abati) e il visitatore. All'interno di questo sforzo di uniformità e di unione tra i monasteri si situa il testo della Carta caritatis.
Contenuti
Sul capitolo generale si dice nel capitolo VII che si deve parlare anzitutto della salvezza delle anime e della correzione o aumento dell'osservanza della Regola di San Benedetto. Si sottolinea frequentemente la finalità del testo, che non è altra che l'uniformità di consuetudini e la osservanza il più possibile uniforme, affinché "non vi sia alcuna discordanza, ma viviamo in una sola carità, con una sola regola e con stessi costumi".
Si parla anche del rapporto delle altre abbazie con quella di Cîteaux, e specialmente in questo capitolo si può vedere l'evoluzione della legislazione dell'Ordine tra Carta caritatis prior e posterior: infatti gli abati di La Fertè, Pontigny, Clairvaux e Morimond diventano possibili visitatori dello stesso Cîteaux, mentre in un primo tempo non si contemplava la visita alla abbazia fondatrice, e perfino amministratori durante il periodo in cui il monastero rimaneva senza abate. Il privilegio di partecipazione al capitolo generale dato a tutti i monaci di Cîteaux scompare nella versione del 1165.
Influsso
Si è potuto dimostrare l'influsso della Carta caritatis su altri testi legislativi analoghi, soprattutto tra ordini di canonici regolari come i premonstratensi o i canonici regolari di Arrouaise[3] e anche degli Agostiniani di Oigny.
Si deve menzionare anche l'influsso di istituzioni come quella del capitolo generale e della visita, che saranno richiesti a tutti gli ordini monastici nel Concilio Lateranense IV (1215), dove si arriva a dire che per l'introduzione di questi organismi si può chiedere l'aiuto ai cistercensi.
Note | |
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