Trattato di Worms

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Testo della formula dell'imperatore Enrico V di Franconia del Trattato di Worms; Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano

Il Trattato di Worms (detto anche Concordato di Worms) del 23 settembre 1122 fu stipulato tra papa Callisto II e l'imperatore Enrico V di Franconia con cui si risolveva la nomina dei vescovi, assegnata ai papi; l'investitura temporale per l'eventuale conferimento dei feudi era lasciata all'imperatore.

Ufficio ecclesiastico e beneficio temporale

Con il trattato si concludeva, almeno in linea di principio, la lotta per le investiture che aveva trovato in papa Gregorio VII uno strenuo difensore della libertà della Chiesa e dell'autorità della Santa Sede. Tra gli avversari di Gregorio VII, Guido di Ferrara[1], dopo la morte del pontefice, escogitò la distinzione tra ufficio strettamente ecclesiastico che proviene dallo Spirito Santo ed i beni temporali che provengono dalle donazioni dei sovrani o dei privati fedeli. L'ufficio ecclesiastico era conferito ai vescovi dal papa, i beni temporali dal re. In questo modo i beni ecclesiastici venivano considerati quasi come beni feudali, la cui proprietà era del sovrano, e soltanto l'uso spettava ai beneficiari. Ciò era in contrasto con la natura stessa della Chiesa, che, in quanto società perfetta, aveva il diritto di possedere in modo libero e indipendente i beni che le sono donati, in piena proprietà.

Potere spirituale e investitura regia

Questa teoria di Guido di Ferrara fu ripresa da sant'Ivo di Chartres vescovo e canonista morto nel 1115. Egli nel 1097 fece osservare che la Santa Sede non aveva impedito il possesso di un vescovado dopo una regolare elezione canonica; inoltre in casi particolari il papa aveva sollecitato il consenso del re ed aveva differito la consacrazione perché non era pervenuto il consenso sovrano (regio placet). Veniva portato l'esempio di Urbano II che aveva proibito l'investitura corporale ma non l'elezione ai re, in quanto a capo dei popoli; lo stesso Concilio VIII proibiva loro di assistere all'elezione, ma non alla concessione dei beni, in qualsiasi modo essa fosse stata espressa (con gesti, parole, con il segno della croce): questo, purché i re non avessero intenzione di conferire poteri spirituali, ma solo la possibilità di accedere al voto degli elettori o di conferire agli eletti le ville ecclesiastiche o altri beni temporali. In conclusione: Ivo riconosceva al re, nell'elezione dei vescovi, alcune attribuzioni ben precise e ammetteva che il sovrano, sebbene fosse sprovvisto di ogni prerogativa spirituale, potesse investire l'eletto dei beni appartenenti alla sede vescovile. Il pensiero di Ivo fu sviluppato dal suo discepolo Ugo di Fleury e, con vari distinguo, divenne la dottrina prevalente.

Le posizioni di Urbano II e Pasquale II

Papa Urbano II, pontefice dal 1088 al 1099, proseguì la linea tracciata dal predecessore, Gregorio VII. Dal 1095 in poi, specialmente nei Concili di Bari (1098) e di Roma (1099), interdisse ai laici qualsiasi ingerenza nelle elezioni episcopali, essendo riservata al solo clero. Il novello papa, Pasquale II, succeduto a Urbano II nel 1099, continuò sulla stessa linea della riforma gregoriana. Il 12 marzo 1102, in un concilio locale del Laterano e poi il 22 ottobre 1106, in un sinodo tenuto a Guastalla, condannò di nuovo l'investitura laicale, deponendo l'arcivescovo di Treviri, Bruno, perché non aveva osservato i decreti contro le investiture. La linea del pontefice rigida nei principi, trovò delle forti reazioni in Inghilterra, in Francia e in Germania. Pasquale II, papa dal 1099 al 1118, perseguì comunque una linea di politica di mediazione nei rapporti con gli imperatori. Sognava una chiesa povera, come quella delle origini, e anche per questo entrò in conflitto con una parte del clero. Dopo vari tentativi di accordo si giunse ad un compromesso con Enrico I d'Inghilterra, sanzionato a Londra nel 1107, per la mediazione di sant'Anselmo arcivescovo di Canterbury. Venne stabilito che il vescovo non poteva ricevere dal re l'investitura con il pastorale e l'anello, e la consacrazione episcopale non poteva aver luogo prima che l'eletto avesse prestato giuramento di fedeltà al re per ragione dei beni feudali. Per la prima volta si giungeva alla pace religiosa su questa spinosa materia e il papa acconsentì ad una modifica dei decreti di Gregorio VII. L'accordo con il sovrano inglese aprì la strada per i successivi sviluppi della controversia.

Le trattative di Sutri

Nel 1111 si ebbero delle lunghe trattative diplomatiche, a Sutri, con i legati del papa Pasquale II. Essi dichiararono che la Santa Sede era disposta a rinunciare ai domini temporali ed alla regalìa dei vescovadi se Enrico V avesse abbandonato le pretese sull'investitura. Dopo alterne vicende si giunse ad un accordo: ci sarebbe stata una duplice investitura, prima quella spirituale da parte dell'autorità ecclesiastica e poi quella temporale civile, eseguita dal re, con l'imposizione dello scettro.

Privilegio del Pontefice

 Io, Callisto, vescovo, servo dei servi di Dio
concedo a te, diletto figlio Enrico, per grazia di Dio augusto imperatore dei Romani,
che le elezioni dei vescovi e degli abati di Germania che spettino al regno,
si facciano alla tua presenza, senza simonia e senza alcuna violenza...
Secondo il dovere del mio ufficio, ti darò aiuto in quelle cose
nelle quali mi farai lagnanze e chiederai aiuto.
Ti assicuro una vera pace, a te
e a tutti coloro che sono o sono stati
del tuo partito durante questa discordia.

Fine della lotta per le investiture

Questo celebre concordato fu una soluzione di compromesso, che pose fine alla lunga, durissima ed estenuante lotta tra la Santa Sede e l'Impero. Con le affermazioni di Gregorio VII, formulate nel Dictatus Papae e nelle lettere ad Hermanno di Metz, il controllo morale della Chiesa sui sovrani rimase pressoché intatto. Pur non essendoci una formale promessa di obbedienza da parte dell'imperatore, questa era implicita, essendo egli tornato alla piena comunione con la Chiesa. I difensori di Enrico IV e del figlio Enrico V avevano tentato di rivendicare il diritto imperiale alle investiture episcopali e alle molteplici donazioni loro elargite. Queste pretese furono superate in modo definitivo dai termini del concordato che stabilì l'abbandono da parte dell'Impero ai presunti diritti di tutela e di ingerenza nella Chiesa e il riconoscimento pieno dell'autonomia e della libertà del papato. La Santa Sede in favore dell'Impero riconobbe, per il bene supremo della pace, il diritto di investitura di beni temporali da parte del sovrano. Il Concordato di Worms, firmato da Callisto II, papa dal 1119 al 1124, fu poi ratificato dal Concilio ecumenico Laterano del 1123: segnò una svolta nella storia di tutta l'Europa medievale.

Note
  1. Francesca Roversi Monaco, GUIDO su treccani.it, Treccani Dizionario degli Italiani, 2005 URL consultato il 3-06-2020
Fonte
  • G. B. Lo Grasso, Trattato di Worms in Dizionario storico religioso, Roma 1966
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