Editio Medicaea
La Editio Medicaea è una edizione del Graduale del 1614.
Il nome Editio Medicaea è latino e significa Edizione Medicea, dal nome della tipografia che la stampò.
Nel corso dei secoli, il gregoriano da un lato aveva lasciato sempre più spazio alla polifonia, dall'altro sopra alle sue melodie originarie si era accumulato molto nuovo materiale.
In alcuni casi i brani erano stati complicati da abbellimenti e variazioni: esempi più diffusi furono il versus e soprattutto il tropo; in altri si erano addirittura trasformati in forme autonome, come la sequenza e l'historia.
Già nel XII secolo i monaci cistercensi avevano operato una prima riforma, sfrondando le melodie troppo fiorite da melismi e tecnicismi.
Questa esigenza divenne urgente per tutta la Chiesa dopo la promulgazione da parte di Pio V delle edizioni ufficiali del Breviarium e del Missale: papa Gregorio XIII, preoccupato di armonizzare le musiche liturgiche con i nuovi testi dei libri riformati, affidò ai musicisti Giovanni Pierluigi da Palestrina e Annibale Zoilo, con un Breve datato 25 ottobre 1577, il compito della revisione dei libri liturgico-musicali; nel documento il papa indicò il criterio guida della revisione: depurare il canto piano da barbarismi, oscurità, opposizioni ed eccessi dovuti ad imperizia o negligenza o anche malizia di compositori, scrittori o tipografi[1]
Sostanzialmente, si dovevano individuare ed emendare le violazioni divenute ormai non più tollerabili delle leggi della prosodia: ad esempio, la collocazione di gruppi neumatici su sillabe brevi o atone per le quali sarebbe stata sufficiente una sola nota; l'obiettivo da raggiungere era quello di restituire piena comprensibilità al testo, che doveva essere perfettamente percepito da tutti.
Non si conosce con certezza a quale punto giunse il lavoro di Palestrina e Zoilo, che forse riuscirono a completare il Proprium de tempore del Graduale ma che comunque si interruppero dopo circa un anno.
Dopo l'intervento di vari musicisti e di alcuni prelati, nonché complicate vicende anche giudiziarie[2], l'opera venne ripresa nel 1611 e terminata da Felice Anerio e Francesco Soriano, con contributi minori ad opera di Ruggero Giovanelli.
La stampa avvenne presso la Tipografia Medicea Orientale, sotto la direzione di Giovanni Battista Raimondi che ne aveva ottenuto dal Pontefice l'autorizzazione: venne quindi diffusa con il nome di Editio Medicaea.
Solitamente quest'opera viene considerata il punto massimo della decadenza del repertorio gregoriano. In effetti la Medicea operò una vera e propria corruzione del gregoriano, sotto tutti i profili: tonale, melodico e melismatico:
- vennero tagliati melismi ritenuti erronei o superflui;
- fu adottata una notazione del tutto inespressiva, con segni quadrati e senza i raggruppamenti tradizionali secondo i neumi antichi;
- venne stravolta la mensura delle note, con la nota quadrata che valeva una unità e la nota romboidale che valeva un mezzo (come conseguenza l'esecuzione diventò pesante e dilatata);
- venne semplificato e impoverito l'impianto melodico.
Tuttavia essa fu frutto della mentalità del tempo: quindi, nel tentativo di conciliare il nuovo e l'antico, non fu un'opera di recupero filologico delle melodie originali, ma piuttosto una vera e propria riscrittura che diede ai brani liturgici una nuova forma musicale grazie a importanti interventi sulle melodie.
Perciò alla Medicea vanno riconosciuti anche alcuni incontestabili meriti: l'aver chiarificato la scrittura delle melodie; l'aver emendato le sfasature col testo; e soprattutto l'aver restituito il canto liturgico alla comprensione dell'assemblea.
Infine, nonostante tutto, la Medicea rimase fedele alla tradizione gregoriana, senza concessioni alle libertà compositive che caratterizzarono negli anni di poco successivi la nascita e lo sviluppo del canto fratto.
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