Filosofia della religione

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Romano Guardini, teologo tedesco della prima metà del XIX secolo, è autore di una significativa opera sulla filosofia della religione

La filosofia della religione è la disciplina che si occupa di studiare in modo sistematico e rigoroso la religione, soprattutto nei suoi aspetti più essenziali, nella sua essenza.

Si tratta di una disciplina filosofica: rinvenire l'essenza della religione è un'operazione accessibile all'umana ragione. Tuttavia, poiché l'umana ragione è raggiunta anche dalla Rivelazione di Dio, è necessario precisare il rapporto tra la filosofia della religione e il cristianesimo.

Compito e modalità di svolgimento

Per precisare lo statuto epistemologico della filosofia della religione occorre individuarne l'oggetto materiale e l'oggetto formale, tenendo presente che questa disciplina è una delle cosiddette "filosofie seconde": infatti essa presuppone la metafisica, che è la "filosofia prima"; la precisazione dei due oggetti è necessaria, dal momento che realisticamente il suo metodo deriva dall'oggetto su cui si concentra.

L'oggetto materiale è perciò la religione, e l'oggetto formale, cioè il punto di vista dal quale questa viene studiata, è la sua essenza.

Rinvenire l'essenza di qualcosa è un'operazione metafisica; dunque la filosofia della religione va affrontata con un metodo metafisico, rintracciando quali siano i presupposti esperienziali universali che giustificano la religione come prassi dell'uomo verso Dio, e sottolineando, di tali presupposti, il valore veritativo in quanto, appunto, universali, fondati sulla naturale capacità dell'intelletto umano di conoscere intenzionalmente le cose, adeguandovisi per mezzo di giudizi[1].

La filosofia della religione, in quanto filosofia, riconosce nelle verità del senso comune i presupposti per poter costruire una definizione adeguata dell'essenza della religione, accogliendo il necessario supporto delle discipline con cui confina, anzitutto della teologia naturale, dalla quale ottiene il prezioso contributo dell'esplicitazione degli attributi di Dio. Tali discipline muovono anch'esse originariamente dal senso comune ogni argomentazione.

In pratica il principale campo d'indagine della filosofia della religione è l'esperienza religiosa; essa esprime quella conoscenza naturale di Dio che ogni uomo in quanto tale possiede.

Il riferimento alla religione come prassi vede poi nell'etica (su base, appunto, metafisica) l'ambito naturale in cui si inserisce la filosofia della religione[2].

Così procedendo, in maniera organica e sistematica, la filosofia della religione definisce l'essenza della religione come quella prassi a carattere sia individuale che sociale per mezzo della quale l'uomo pio cerca di conoscere sempre meglio l'Essere creatore di tutte le cose, la cui esistenza è nota a partire dall'esperienza religiosa originaria, riconoscendolo come unico, a carattere personale, buono e provvidente, affidandosi totalmente a Lui e venerandolo con il culto; all'uomo naturalmente religioso non ripugnerà certamente la possibilità che questo Dio gli si riveli storicamente per benevolenza.

Successivamente, la filosofia della religione, in possesso dei criteri con i quali stabilire i caratteri metastorici della religione, cioè quei caratteri che costituiscono la cosiddetta "religione naturale", potrà effettuare una efficace critica delle religioni positive, storicamente determinatesi, per rintracciare quali di queste realizzino l'essenza della religione e, tra quelle che la realizzano, quale la realizza nel modo più pieno.

È questo un momento fondamentale del compito che una filosofia della religione di corretta impostazione deve assumersi: se la salvezza è opera di Dio, è però compito dell'uomo accoglierla nella piena adesione alla verità, e ogni sforzo di purificazione in tal senso passa necessariamente attraverso la dialettica ricerca/accoglienza.

Così la filosofia della religione può essere un valido aiuto anche per i responsabili del dialogo interreligioso, il cui compito è di rilevare i fondamenti veritativi che accomunano ogni uomo in quanto uomo e promuoverne l'accoglienza in vista del vero bene.

Rapporto con la teologia naturale

Il rapporto tra teologia naturale e filosofia della religione trova fondamento nel rapporto che quest'ultima disciplina intreccia con la metafisica, meno come scienza che come proprietà intrinseca del pensiero umano di entrare in relazione con l'essere delle cose. Compito della filosofia della religione è cercare l'essenza della religione, ma sia la nozione di "essenza", sia l'esperienza religiosa dell'uomo sulla quale si fonda la religione stessa come prassi, e sia qualunque altro riferimento a ciò che ha fondamento nella realtà, presuppongono la capacità dell'intelletto umano di attingere la realtà delle cose adeguandovisi con il giudizio. Ora, l'esperienza religiosa è conoscenza spontanea e necessaria di Dio (ottenuta con un'inferenza) che ogni uomo in quanto uomo possiede, ed è per questa conoscenza che l'uomo sente l'esigenza di entrare in rapporto personale con il suo Creatore: la religione è questo rapporto esplicitato in una prassi sia individuale che comunitaria.

Dunque la religione come prassi, presupponendo costitutivamente la conoscenza naturale di Dio come fondamento di tutto il reale (banalmente: non si darebbe questa prassi senza questa conoscenza), presuppone l'esistenza stessa di Dio. È chiaro in tutto questo il ruolo che assume la teologia naturale come disciplina che dimostra metafisicamente l'esistenza di Dio e ne esplicita gli attributi (unicità, personalità...): è una disciplina di stretto confine con la filosofia della religione con la quale condivide, come tutta la filosofia, il fatto di procedere dalle verità del senso comune, e alla quale facilita certamente il compito di stabilire, proprio in base agli attributi divini, il retto rapporto che l'uomo deve liberamente avere con Dio: pietà filiale, confidenza, culto, ma anche ricerca di senso dei suoi piani provvidenziali a partire dalla propria esperienza. La teologia naturale, perciò, accompagna il lavoro proprio della filosofia della religione nel suo duplice compito di definire l'essenza della religione e di criticare le religioni positive nella misura in cui realizzano o meno tale essenza. Si può vedere la necessità di questo reciproco sostegno tra le due discipline (senza confusione sul piano epistemologico) in due esempi di come si deformano le religioni positive rispetto alla religione naturale quando si abbandona volontaristicamente l'esistenza di Dio (ciò che origina forme di gnosi), oppure quando si misconoscono alcuni attributi di Dio.

Il primo tentativo è stato esplicitamente perseguito nella storia del pensiero occidentale. Alcuni filosofi in epoca moderna cominciarono a fare filosofia della religione nel senso di critica della religione secondo i criteri del razionalismo inaugurato da Cartesio: tutto va dimostrato, tutto va sottoposto al vaglio della ragione e ciò che la ragione non può dimostrare non viene neppure considerato. Così ad esempio il Cristianesimo sarebbe parzialmente accettabile nei suoi precetti morali, ma inconciliabile con le esigenze della ragione per tutti i suoi aspetti che toccano il mistero o che ledono la libertà dell'uomo ridotta a libero arbitrio senza connessione con la verità e con la strutturale dipendenza creaturale dell'uomo stesso da Dio. Questa deriva razionalistica ha avuto l'effetto di ridurre la filosofia della religione a mero studio della prassi religiosa sotto molteplici punti di vista tranne, però, quello essenziale che è il suo fondamento veritativo; ad esempio, secondo Schleiermacher, la religione sarebbe ridotta a "sentimento di assoluta dipendenza". Procedendo così, però, non ha più senso parlare di "essenza della religione": essendo caduta la considerazione del fondamento metafisico che sorregge la prassi religiosa, si assiste oggi a un costante, maldestro e pericoloso tentativo di definire la religione solo cercando qualcosa (dal punto di vista della prassi) che accomuni le varie religioni positive. Questo tipo di ricerca è sempre destinato a fallire, non rispettando i corretti criteri epistemologici della disciplina in esame che non può fare a meno di quanto la teologia naturale esplicita su Dio. È anche evidente, in una tale impostazione, la deriva fideistica che vi soggiace. Per quanto riguarda la negazione di alcuni attributi di Dio, ad esempio la sua natura personale o la sua unicità, si cade in quelle forme di panteismo tipiche, ad esempio, delle religioni orientali.

Il dibattito sul cristianesimo come vera religio

La filosofia della religione, nel suo specifico duplice compito di definire l'essenza della religione e di valutare se e in che misura le religioni positive vi si adeguino, incontra come religione storica il cristianesimo e la sua pretesa veritativa e missionaria, dunque universale al pari della filosofia, addirittura con rivendicazione di valore salvifico. Nei confronti di ogni religione storica, è noto come la filosofia della religione espleti la sua critica innanzitutto distinguendo tra vere religioni e pseudo-religioni, dichiarando quest'ultime deformanti il giusto rapporto Creatore-creatura, e successivamente, nell'ambito delle vere religioni, cerca quella che meglio si configuri rispetto all'essenza della religione. Una religione storica che realizzi l'essenza della religione viene denotata come "vera religio". Questo significa che vera religio è una religione che non ripudia, ma fonda interamente le sue pratiche sull'esperienza religiosa originaria appartenente naturalmente a ciascun uomo; l'attributo "vera" fa riferimento al carattere veritativo e indubitabile di tale esperienza, nonché all'adeguazione ad essa delle pratiche religiose stesse.

Certamente dal punto di vista filosofico non è possibile valutare, del cristianesimo, i giudizi che riguardano specificamente il dato rivelato (ad esempio la Trinità). Piuttosto il lavoro filosofico deve concentrarsi sul versante di quelle nozioni che il cristianesimo stesso ha in comune con la ragione: le verità del senso comune (tra cui quelle inerenti all'esperienza religiosa originaria). Ebbene, il cristianesimo accoglie a tal punto tali verità che le riconosce strutturali per la stessa accoglienza della fede: "Senza questa capacità [di conoscere naturalmente Dio], l'uomo non potrebbe accogliere la Rivelazione di Dio" (Catechismo della Chiesa cattolica, n.36); in particolare esse sono necessarie affinché, innanzi ai segni con cui Dio si manifesta, sia "conforme alla ragione" (n.156) l'attribuzione a Dio stesso di tali segni: in questo senso le verità del senso comune sono note come "praeambula fidei". Chiaramente l'adesione effettiva a Dio che si rivela è lasciata alla libertà dell'uomo sotto il necessario impulso della grazia.

È evidente che, dopo tali precisazioni, il cristianesimo vada a pieno titolo considerato come vera religio: la sua razionalità, particolarmente manifesta nella intrinseca necessità, nel suo messaggio, dei praeambula fidei, fa sì che l'essenza della religione è non solo realizzata, ma lo è perfettamente proprio a causa di tale intrinsecità. È chiaro, poi, che la sua pretesa di considerarsi non solo vera religio, ma la religione vera in cui Dio stesso si è manifestato addirittura incarnandosi, è verità di fede, ma la ragione filosofica dovrà impegnarsi nell'analisi della credibilità di questa pretesa esplicitandone gli elementi necessari: credibilità dei testimoni e credibilità intrinseca del messaggio. Quest'ultimo elemento, in particolare, è singolarmente sottolineato, nel cristianesimo, proprio da quegli attributi di Dio che non a caso la teologia naturale individua: unicità, personalità, paternità, ecc.

In definitiva possiamo dire che il cristianesimo è vera religio in quanto realizza in ogni aspetto l'essenza della religione, e tutti i segni che fondano e corroborano la sua credibilità sono perfettamente contemplati come possibilità reale nella definizione di tale essenza.

Note
  1. Cfr. San Tommaso d'Aquino:
    (LA) (IT)
    « Veritas est adaequatio rei et intellectus. » « La verità è l'adeguazione tra la cosa e l'intelletto. »
    (De veritate, q. 1 a. 2 s. c. 2 )
  2. La stessa etimologia del termine "religione" rinvia al legame vitale tra l'uomo e Dio espresso anche mediante atti esteriori di culto.
Bibliografia
Voci correlate