Formazione presbiterale
La formazione presbiterale è il percorso formativo che porta una persona, solitamente giovane, che manifesta segni di vocazione al presbiterato, lungo un cammino di discernimento vocazionale orientato all'ordinazione presbiterale.
Struttura e protagonisti
Per approfondire, vedi le voci Seminario e Formazione presbiterale e psicologia |
A partire dal Concilio Vaticano II sono stati diversi i documenti ecclesiastici, universali o nazionali, relativi ai presbiteri e alla loro formazione. Per l'Italia l'attuale regime vigente è normato dalla Ratio del 2006. Responsabile ultimo del cammino presbiterale è il vescovo diocesano. L'istituto deputato alla formazione dei presbiteri diocesani è il seminario, cioè un collegio dove i seminaristi attuano una vita comune e curano in particolare la formazione spirituale e culturale. Educatori del seminario[1] sono rettore, vicerettore/i e il padre spirituale. A questi formatori interni si affiancano, a vario modo, i docenti del bacellierato (v. dopo), il parroco della parrocchia d'origine del seminarista ed eventualmente quello della parrocchia dove svolge un qualche tipo di servizio pastorale. Lo psicologo è previsto principalmente per consulenze occasionali e/o esterne ("si casus ferat", "se il caso lo comporta"[2]), con lo scopo di evitare "non rari errori di discernimento delle vocazioni".[3]
Sulla base delle indicazioni fondamentali contenute nella Ratio, tuttavia, le varie diocesi si possono differenziare con regolamentazioni proprie, per scelta o necessità, nell'implementazione del cammino formativo: p.es. seminario diocesano o interdiocesano (cioè coinvolgente più diocesi); studio all'interno o all'esterno della struttura del seminario; ritorno in famiglia e attività pastorali durante il week-end oppure una volta al mese oppure solo d'estate...
Un altro esempio di differenziazione è il pagamento della retta per gli studi, variamente diversificato a seconda della diocesi: può essere a carico del seminarista (o meglio dalla sua famiglia), oppure della diocesi, oppure ripartito a metà tra famiglia e diocesi.
Inizio del percorso
Per approfondire, vedi la voce Vocazione |
La vocazione, cioè la chiamata interiore di Dio a seguirlo, è il primo passo di ogni cammino cristiano alla sequela di Cristo in qualunque sua forma (in particolare sacerdozio, vita religiosa, matrimonio). Sulla base di questo assunto, la scelta della vita presbiterale non è un diritto che il candidato può arrogarsi, né un'imposizione a qualcuno da parte di altri: "ogni vocazione cristiana viene da Dio, è dono di Dio" (PDV 35); "la vocazione è un dono della grazia divina e mai un diritto dell'uomo, così che «non si può mai considerare la vita sacerdotale come una promozione semplicemente umana, né la missione del ministro come un semplice progetto personale»".[4] Il fedele ha il dovere morale di rispondere in libertà a questa chiamata, mentre gli ecclesiastici suoi superiori hanno il dovere di discernerne l'autenticità e di portarla a compimento.
L'inizio del cammino vocazionale ha solitamente origine nello stesso ambiente deputato alla cosiddetta educazione (o socializzazione) primaria, la famiglia (Ratio 2006, 30; 38), che può costituire il "primo seminario". Talvolta però i genitori possono avere altri progetti per il futuro dei figli, cosa che può portare ostilità nei confronti della scelta vocazionale.
Secondo Diotallevi (2005: 211) c'è una differenza importante, circa l'influenza della famiglia, tra le vocazioni giovanili e quelle manifestatesi in età più matura: nelle prime l'influenza è relativamente maggiore, mentre nelle seconde è relativamente maggiore il peso della scelta razionale (rational choice).
Altri ambienti che possono contribuire alla maturazione vocazionale sono le parrocchie (Ratio 2006, 39) e i gruppi, i movimenti e le associazioni (ib. 78). Anche il contesto macrosociale influisce quanto al numero dei candidati presbiteri: per esempio in Italia, come è facilmente intuibile, le zone tradizionalmente più "rosse" sono tendenzialmente caratterizzate da una minore densità di seminaristi e viceversa, e similmente allorquando sono stati particolarmente diffusi valori atei e materialistici li tassi vocazionali sono stati ridotti.
Una volta maturata la coscienza della propria vocazione solitamente il candidato si rivolge al proprio parroco (o a un'altra figura ecclesiale per lui significativa) che valuta, assieme alle persone competenti (vescovo, rettore, incaricato diocesano per le vocazioni), l'opportunità o meno dell'ingresso in seminario.
In Italia l'età media alla quale i sacerdoti sono stati ordinati, e dunque quella nella quale hanno iniziato il cammino, è continuamente e linearmente cresciuta negli ultimi decenni, passando da 24 degli anni '30-40-50 a 30 nel 2001 (Diotallevi, 2005: 43), che indica un certo inserimento nella normale vita sociale precedente all'ingresso in seminario (lavoro, università, relazioni amicali e affettive). L'aver frequentato questi normali contesti sociali può avere effetti positivi nella maturazione personale.[7]
Percorso
Il percorso complessivo[8] prevede in sostanza un duplice cammino, ecclesiale ed accademico, all'interno di 3 contesti istituzionali-organizzativi caratterizzati da vita comune:
- seminario minore, per i candidati dell'età equivalente alle scuole superiori (14-19 anni). Un ragazzo può intraprendere il cammino anche a partire da anni intermedi (p.es. l'equivalente della terza superiore). Lo studio è finalizzato al conseguimento di un qualche diploma di maturità (solitamente di orientamento umanista), frequentando la scuola fisicamente all'interno del seminario oppure un istituto esterno, pubblico o privato. Non sono previste tappe ecclesiastiche. Il candidato rimane legato alla propria parrocchia d'origine e alle sue attività pastorali. In concomitanza col calo delle vocazioni e con l'aumento dell'età media di inizio del cammino il numero dei seminari minori è progressivamente diminuito;
- periodo propedeutico, per i candidati che non provengono dal seminario minore. È un'istituzione recente (1992) che trova la sua ragion d'essere nella succitata età avanzata di inizio del cammino. Rappresenta "un periodo di preparazione umana, cristiana, intellettuale e spirituale per i candidati al Seminario Maggiore" (PDV 62). L'ambiente fisico e istituzionale coincide solitamente con quello del seminario minore o di quello maggiore. Solitamente ha durata annuale;
- seminario maggiore. Di durata quinquennale, dal punto di vista accademico è finalizzato al conseguimento del baccalaureato (o baccellierato, omologo alla laurea civile 3+2) in teologia. In questi anni solitamente il seminarista compie un qualche tipo di attività pastorale (educatore e catechista, animatore liturgico...) che può variare a seconda delle diocesi: nella parrocchia d'origine, in un'altra parrocchia ("parrocchia di servizio"), un qualche altro tipo di servizio diocesano senza una parrocchia di riferimento, servizio per qualcuno dei 5 anni o nessun servizio ufficiale. Durante gli anni del seminario maggiore hanno luogo le tappe ecclesiastiche in vista dell'ordinazione presbiterale:
- candidatura, al 2° anno, che "manifesta pubblicamente l'orientamento vocazionale di coloro che aspirano al diaconato e al presbiterato, esprime l'accettazione della loro offerta da parte della Chiesa particolare, richiede ai nuovi candidati di applicarsi con rinnovato impegno nel portare a termine la preparazione";[9]
- lettorato, al 3° anno, che tra le altre cose esprime "un rapporto privilegiato con la Parola di Dio attraverso la lectio divina, la preghiera sulla Parola e l'esegesi";[10]
- accolitato, al 4° anno, che esprime "un rapporto privilegiato con l'Eucaristia attraverso la celebrazione eucaristica, l'adorazione e la preghiera contemplativa, la riflessione teologica";[11]
- diaconato, al 5° anno, che "un rapporto sempre più vivo con Cristo Servo, in una onsuetudine di preghiera intensa e profonda, comprendente la recita integrale della Liturgia delle ore [...], la maturazione di una spiritualità del servizio, nell'assunzione dei tratti essenziali della diaconia di Cristo, specialmente dell'offerta di sé per amore [... e] un'attenzione, in ambito pastorale, ai più piccoli, ai poveri e agli ammalati";[12]
- presbiterato, al 6° anno (con gli studi già terminati).
I ministeri del lettorato, accolitato e diaconato conseguiti dagli aspiranti presbiteri sono detti "transeunti", cioè temporanei, e sono distinti nella forma dai ministeri permanenti, conseguiti solitamente da fedeli adulti e talvolta sposati. Nel contenuto tuttavia l'ambito e il servizio ecclesiastico dei ministeri transeunti e permanenti è il medesimo. Gli impegni che caratterizzano queste tappe intermedie, come anche gli obblighi connessi al presbiterato, non vanno visti come imposizioni da parte della Chiesa ai candidati presbiteri, ma come il riconoscimento in essi di particolari qualità che hanno maturato.
Dal punto di vista accademico, terminato il percorso il novello presbitero può continuare gli studi in base alla scelta personale e/o indicazione dei formatori e del vescovo, conseguendo una licenza (altri 2 anni dopo il baccalaureato) e il dottorato (altri 2 anni dopo la licenza).
Sulla base dei diversi munera delineati dal Concilio la formazione al presbiterato deve consistere in un processo di maturazione-formazione umana che comprende la formazione negli ambiti specifici (spirituale, pastorale, intellettuale, affettiva), dei quali il riferimento è rispettivamente Cristo sacerdote, pastore-servo, profeta-maestro, sposo (PDV 43; Ratio 2006, 3). A seconda della indole personale dei vari candidati, dei loro singolari carismi e delle loro aspettative, nonché delle eventuali carenze che possono mostrare, questi singoli cammini formativi in vista del ministero presbiterale sono da loro (e per loro) enfatizzati e sviluppati.
Fine del percorso
Per approfondire, vedi la voce Ordinazione presbiterale |
Il cammino di formazione al presbiterato ha come esito naturale l'ordinazione presbiterale del candidato. Possono però verificarsi interruzioni del percorso volontarie (abbandoni) o forzate (espulsioni), che possono dare origine a un nuovo cammino in una diversa diocesi o all'interno di un ordine religioso (transfughi), v. dopo.
Il CDC contiene numerosi canoni relativi alle caratteristiche dell'ordinando. Deve essere di sesso maschile e battezzato (1024), non deve essere stato costretto (1026, 1036), avere almeno 25 anni (1031), essere cresimato (1033), aver svolto il rito della candidatura (1034) e terminato il quinto anno del baccellierato (1032). Deve essere utile per la Chiesa (1025). Deve avere fede integra, retta intenzione e dottrina, scienza debita, buona stima, integri e buoni costumi, provate virtù, pietà genuina, attitudine ad esercitare il ministero e "tutte quelle altre qualità fisiche e psichiche congruenti con l'ordine che deve essere ricevuto" (1029, 1041, 1051).
L'attuale codice ha lasciato cadere la prescrizione del CDC del 1917 per cui non potevano essere ordinati disabili fisici (984 § 2) ed epilettici (984 § 3). La valutazione della compatibilità con l'ufficio sacerdotale di eventuali deficit somatici (deambulazione, cecità, sordità...) è lasciata al giudizio del vescovo. Non possono essere ordinati inoltre chi ha compiuto apostasia, eresia, scisma, omicidio, aborto, tentato suicidio, mutilazioni a sé[13] o altri (1041), chi è sposato o impegnato in attività politiche o commerciali (1042).
Dopo l'ordinazione il presbitero è a disposizione del vescovo per le esigenze della pastorale diocesana. Solitamente viene nominato "vicario parrocchiale" (CDC 545), funzione popolarmente chiamata "cappellano" o "curato". Dopo un certo numero di anni subentra solitamente la nomina a parroco, usualmente non nella stessa comunità dove ha esercitato il ruolo di vicario parrocchiale. Sia come vicario che come parroco il presbitero può ricoprire parallelamente incarichi negli uffici o centri diocesani (p.es. pastorale missionaria, giovanile...), oppure insegnando in una facoltà teologica.
Interruzione e abbandono
A norma del diritto il seminarista può essere obbligato, per volere dei superiori, a interrompere la propria formazione: se "il Vescovo per precise ragioni (certas rationes) dubita che il candidato sia idoneo a ricevere gli ordini, non lo promuova" (CDC 1052 § 3). In questo caso dovere del seminarista è accettare la decisione dei superiori, dato che (in conformità alla "gratuità" del ministero cristiano) l'ordinazione sacerdotale non è un diritto che può essere arrogato da alcuno. D'altra parte, i superiori hanno il dovere di indicare le "precise ragioni" che motivano tale interruzione: la psicologia dell'educazione ha individuato molti "biases", cioè sistematiche distorsioni cognitive, che accompagnano regolarmente e non eccezionalmente tutti i percorsi formativi, e il preciso riscontro a caratteristiche vere e fondate della vita del seminarista è necessario per "non giudicare secondo le apparenze e non prendere decisioni per sentito dire" (Is 11,3 ).
Un comportamento che può verificarsi non raramente tra gli espulsi è la presentazione della domanda di iniziare il cammino presso un'altra diocesi o ordine religioso (transfughi). Tale comportamento è legittimo p.es. nell'ambiente lavorativo (il licenziamento da un'azienda è normalmente seguito dalla domanda presso un'altra azienda), ma non può essere riproposto tout-court nella vita ecclesiale. Premesso il caso dell'assenza di comportamenti pericolosi degli ex-seminaristi, a favore dell'inizio di un nuovo cammino può esservi la convinzione che la vocazione donata da Dio è da difendere anche di fronte a possibili e umani errori formativi e/o di giudizio dei superiori, oppure che relazioni umane (verso superiori, pari, fedeli) danneggiate in un certo contesto diocesano non debbano essere necessariamente indice di nuovi problemi in un diverso contesto ecclesiale. D'altro canto la vita e la formazione di un seminarista sono avvenute in un certo contesto sociale ed ecclesiale, il cui abbandono può essere fonte di sofferenza. Il trasferimento a un'altra diocesi non ha poi fondamento in un'ottica di spiritualità diocesana, cioè "l'assunzione dell'amore e del servizio verso la propria Chiesa particolare come interesse principale e criterio fondamentale della propria vita spirituale e dell'impegno ecclesiale" (Ratio 2006, 85).
L'interruzione del cammino del seminastista può anche essere frutto di una sua scelta personale, allorquando viene raggiunta la consapevolezza di non essere adatti al servizio presbiterale. Nel caso del seminarista questa interruzione non comporta particolari problemi e procedure ecclesiastiche. Se ha già ricevuto il ministero del lettorato o dell'accolitato può continuare a servire la sua chiesa (parrocchia o diocesi) con le funzioni connesse agli incarichi.
Nel caso sia un sacerdote ordinato (diacono, presbitero o vescovo) ad avvertirsi come inadeguato al ministero, la Chiesa prevede una particolare procedura gestita dalla Congregazione per il Culto detta dimissione dallo stato clericale (amissio status clericalis), che può partire da una richiesta del sacerdote o può essere (raramente) anche una sanzione non voluta dal sacerdote. La dimissione è conosciuta anche come riduzione allo stato laicale ma tale dicitura è impropria: secondo il CDC "la sacra ordinazione, una volta validamente ricevuta, non diviene mai nulla" (290). Il chierico ordinato dimesso (popolarmente detto "spretato") non torna ad essere laico, viene solo esonerato dagli obblighi ecclesiastici (obbedienza al vescovo, recita della liturgia delle ore...). L'obbligo del celibato viene dispensato, solitamente in un secondo momento, dal Papa (CDC 291).
Circa i presbiteri in Italia, negli ultimi decenni gli abbandoni annui sono stati mediamente 40, oltre 100 nei critici anni '70.[14]
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |