Formazione presbiterale e psicologia
L'applicazione delle psicologia alla formazione dei presbiteri è relativamente recente, successiva al Concilio Vaticano II. L'argomento è trattato da diversi documenti ecclesiali, universali e italiani. Lo psicologo è previsto principalmente per consulenze occasionali e/o esterne ("si casus ferat", "se il caso lo comporta"[1]), con lo scopo di evitare "non rari errori di discernimento delle vocazioni".[2]
Normative e caratteristiche generali
Da un punto di vista prettamente formale, la gestione delle risorse umane all'interno della Chiesa non dovrebbe differire da quella delle altre associazioni umane (p.es. esercito, istruzione, lavoro, amministrazione statale). Tuttavia, all'interno dell'antropologia cristiana, la chiamata vocazionale che segna l'inizio del cammino formativo è caratterizzata da un'origine soprannaturale o dall'alto, che in un'ottica di fede non può essere completamente ricondotta a categorie unicamente umane e psicologiche: "Ogni vocazione cristiana viene da Dio, è dono di Dio" (PDV 35). Sulla base di questo "assoluto primato della grazia nella vocazione" (LC 9), tra le diverse dimensioni della formazione presbiterale (umana, spirituale, intellettuale, pastorale, affettiva) quella spirituale rappresenta l' "elemento di massima importanza" (PDV 45). Per questo il counseling (o direzione, guida, accompagnamento) in ambito spirituale operato dal padre spirituale non deve essere sostituito dalla psicologia: "la direzione spirituale non può in alcun modo essere scambiata per o sostituita da forme di analisi o di aiuto psicologico".[3] In definitiva la psicologia, che tra le dimensioni della formazione presbiterale agisce in particolare sulla sfera umana, non può avere un ruolo assoluto nella determinazione della valutazione vocazionale, ma solo di cooperazione, ausilio e sostegno.[4] Questa subordinazione della psicologia alla formazione spirituale implica anche che non tutte le correnti psicologiche sono ugualmente valide e utili alla formazione presbiterale ma solo quelle "sane"[5] che possono risultare compatibili con l'antropologia cristiana: persone o enti sono validi "nella misura in cui esprimono una linea pedagogica radicata nei valori evangelici e negli orientamenti ecclesiali per i candidati al sacerdozio, mentre sono meno fruttuose, e persino fonte di disorientamento, quando non soddisfano pienamente a tale condizione, mediando contenuti e metodi unilaterali e discutibili";[6] "è necessario inoltre verificare che la base su cui si fonda il loro [degli psicologi] lavoro sia coerente con la dimensione trascendente della persona e con l'antropologia cristiana della vocazione" (Ratio 2006 76); "devono ispirarsi a un'antropologia che condivida apertamente la concezione cristiana circa la persona umana, la sessualità, la vocazione al sacerdozio e al celibato, così che il loro intervento tenga conto del mistero dell'uomo nel suo personale dialogo con Dio, secondo la visione della Chiesa" (Orientamenti 2008 6).
Nei vari documenti ecclesiali non sono forniti chiari ed espliciti esempi di pensatori o teorie "non sani", cioè non compatibili con l'antropologia cristiana, ma si pensi p.es. alla concezione della religione e della sessualità presente negli scritti di Freud e altri psicanalisti. Il CDC non tratta esplicitamente delle competenze psicologiche applicate alla formazione presbiterale, né tantomeno ne enuncia le modalità applicative, ma lascia di fatto aperta questa possibilità: "il Vescovo diocesano o il Superiore maggiore, perché lo scrutinio [in vista dell'ordinazione] sia fatto nel modo dovuto può avvalersi di altri mezzi che gli sembrino utili" (c. 1051); il Vescovo per conferire l'ordinazione deve essere certo "che l'idoneità del candidato risulti provata con argomenti positivi" (c. 1052 § 1). La psicologia può essere applicata da persone interne al seminario (foro interno) o esterne (foro esterno) in diversi campi d'azione (Ratio 2006 76).
Foro interno
Nei documenti ecclesiali l'applicazione della psicologia con modalità e contesti interni al seminario è prevista sia come applicazione in generale sia come vere e proprie competenze personali dei formatori. Circa l'applicazione in generale, la formazione presbiterale deve avvenire "senza trascurare nessuna utile indicazione offerta dalla moderna scienza psicologica e sociologica" (OT 2), osservando "diligentemente le norme della educazione cristiana, e queste siano convenientemente perfezionate coi dati recenti di una sana psicologia e pedagogia" (OT 11). Un testo che suona come abbastanza ambiguo, non precisando chi siano i protagonisti (foro interno o esterno?) afferma che "la selezione dei candidati [...] va fatta secondo i criteri di un'adeguata indagine diagnostica, quale la scienza psicologica oggi permette di realizzare" (Orientamenti 1974 38).
Circa le competenze psicologiche proprie dei formatori dei seminari, occorre precisare che nessun documento o direttiva impone che questi siano psicologi professionisti. È previsto che i formatori siano "con un corredo fatto di solida dottrina, di conveniente esperienza pastorale e di una speciale formazione spirituale e pedagogica" (OT 5), con "una buona conoscenza dei principi di una sana psicopedagogia" (Direttive 1993 36), con una "buona preparazione nella scienza pedagogica e nelle scienze umane, [... che è] una preparazione iniziale indispensabile per tutti gli educatori" (ib. 57), e ancora "ogni formatore dovrebbe essere buon conoscitore della persona umana, dei suoi ritmi di crescita, delle sue potenzialità e debolezze e del suo modo di vivere il rapporto con Dio" (Orientamenti 2008 3).
La formazione in tal senso degli educatori dei seminari viene lasciata abbastanza generica: può essere utile "la frequenza di convegni e corsi di spiritualità, di pedagogia e di psicologia che vengono oggi offerti con una certa abbondanza da vari centri accademici" (Direttive 1993 51; v. anche 36; 57-59); "ogni formatore va preparato, anche con adeguati corsi specifici, alla più profonda comprensione della persona umana e delle esigenze della sua formazione al ministero ordinato. A tale scopo, molto utili possono essere gli incontri di confronto e chiarificazione con esperti in scienze psicologiche su alcune specifiche tematiche" (Orientamenti 2008 4). Tuttavia, nonostante questa auspicata preparazione psicopedagogica, "dovrà essere evitato l'uso di specialistiche tecniche psicologiche o psicoterapeutiche da parte dei formatori" (Orientamenti 2008 5).
Il motivo di questo divieto non è esplicitato dai documenti ecclesiastici. È intuibile nel caso di educatori che non siano psicologi professionali iscritti all'albo: nonostante eventuali buon senso, empatia, prudenza, innati o acquisiti, un formatore non psicologo non ha verosimilmente l'esperienza e la padronanza delle tecniche che sono prerogativa degli omologhi professionisti. Anche però nel caso di formatori propriamente psicologi, data la vita strettamente comunitaria che caratterizza i seminari, il rapporto formatore/seminarista non dovrebbe coincidere con quello psicologo/utente. La commistione tra ruolo professionale psicologico e vita privata è vietata dall'art. 28 del Codice deontologico degli psicologi italiani, per il quale "costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale". La ragione di questo divieto, che non riguarda solo le relazioni affettive e sessuali, sta nel fatto che la prestazione psicologica (psicoterapeutica, di sostegno, counseling...) "può essere inquinata dalla familiarità, dalla scarsa obiettività, dalla mancanza di distacco e dalla tentazione di tutelare interessi e motivi [... e] le persone che ne ricevono la prestazione possono avere nocumento dalla confusione di ruoli".[7]
Foro esterno
Oltre a competenze richieste ai formatori del seminario, i documenti ecclesiali ammettono un'applicazione della psicologia con le modalità vere e proprie delle prestazioni offerte da psicologi professionisti esterni. Una prima modalità di intervento non riguarda i singoli seminaristi ma prestazioni più generali: gli psicologi possono collaborare con gli educatori del seminario "nella progettazione e nella verifica degli interventi educativi comunitari", oppure "illustrare alla comunità o alle singole classi qualche tema psicopedagogico di particolare rilevanza, specie nell'ambito relazionale e affettivo-sessuale" (Ratio 2006 76).
La principale modalità d'intervento trattata nelle direttive ecclesiastiche, in particolare in Orientamenti 2008, è quella del colloquio personale tra psicologo e seminarista. Lo scopo è quello di favorire la crescita personale del seminarista (empowerment) e di aiutare i formatori nel lavoro di discernimento e selezione. La consulenza, che può avvenire sia prima dell'ingresso in seminario sia in itinere, non deve essere generalizzata a tutti i candidati, ma occasionale ed eccezionale (si casus ferat, Orientamenti 2008 5, cf. anche Orientamenti 1974 38; Ratio 1985 39).
Lo psicologo, che deve essere esterno al team formativo (Ratio 2006 51; 76; Orientamenti 2008 6, per la motivazione cf. sopra), può essere indicato dai formatori o scelto dal candidato e accettato da loro (Orientamenti 2008 12). Oltre ad avere una "adeguata e prolungata preparazione accademica e pratica" (Ratio 2006 76) e una "solida maturità umana e spirituale" (Orientamenti 2008 6), la formazione e l'orientamento dello psicologo devono rispondere a precise caratteristiche che rendano il suo operato compatibile con la formazione presbiterale (cf. sopra). È auspicata inoltre la "specifica formazione" di psicologi con queste caratteristiche (Orientamenti 2008 6). A tutela del seminarista, l’intervento dello psicologo professionista esterno deve avere due caratteristiche:
- essere libero e consensuale: "sembra opportuno che questa [consulenza psicopedagogica] non venga mai imposta, ma semmai proposta a tutti all'inizio del cammino di formazione" (LC 21; v. anche Ratio 2006 76; Orientamenti 2008 5). Se il seminarista rifiuta di sottoporsi a colloqui psicologici la valutazione dei formatori non ne deve tenere conto, basandosi sugli altri dati a disposizione (Ratio 2006 93);
- essere riservato: "onde proteggere, nel presente e nel futuro, l'intimità e la buona fama del candidato si presti particolare cura affinché le esternazioni dell’'esperto siano accessibili esclusivamente ai responsabili della formazione, con il preciso e vincolante divieto di farne uso diverso da quello proprio del discernimento vocazionale e della formazione del candidato" (Orientamenti 2008 13; cf. anche CDC 220; Ratio 2006 93). Nel caso di un referto scritto, questo non deve essere conservato negli archivi del seminario (Ratio 2006 nota 213);
Nei documenti non viene specificato se il compenso economico allo psicologo debba essere versato dai formatori o dal seminarista.
Campi d'azione
Il ricorso allo psicologo per interventi mirati su singoli seminaristi può fornire contributi utili in una duplice direzione:
- aiutare il candidato a rispondere alla chiamata, sia (in positivo) con il potenziamento (empowerment) "di quegli aspetti della personalità che permettano al candidato di accogliere in pienezza e libertà la vocazione" (Ratio 2006 76), sostenendo il candidato "nel suo cammino verso un più sicuro possesso delle virtù umane e morali" (Orientamenti 2008 9), sia (in negativo) nella cura eventuali ferite della propria storia passata (ib. 5) e/o nell’individuazione di problemi che possano ostacolare il cammino vocazionale (ib. 8);
- aiutare la valutazione-discernimento-selezione operata dai formatori (SaC 63), in particolare all'inizio del cammino (Ratio 2006 51; 94) ma anche in itinere, in particolare per evitare i non rari "gravi errori di discernimento" (Orientamenti 2008 4; v. anche Orientamenti 1974 38).
Quanto agli elementi problematici che possono essere identificati e affrontati col supporto psicologico e che, se non risolti, possono implicare l’interruzione del cammino, secondo Orientamenti 2008 sono: "forti dipendenze affettive, notevole mancanza di libertà nelle relazioni, eccessiva rigidità di carattere, mancanza di lealtà, identità sessuale incerta, tendenze omosessuali fortemente radicate, e così via" (n. 10). Il precedente documento italiano Linee comuni del 1999 contiene una lunga lista, che per chiarezza e concretezza appare non comune in un documento ecclesiale, di "ferite irrisolte" di carattere psicologico.
« | Alcuni problemi che l'educatore si trova ad affrontare più frequentemente con i seminaristi giovani e giovani-adulti:
Patologie rilevanti che possono pregiudicare un fruttuoso cammino seminaristico [...]:
Segni o sintomi di lievi patologie che possono e devono essere trattate [...]:
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(LC 15-17)
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Gli elenchi dei nn. 16-17 sono interamente ripresi nella lunga nota 112 della Ratio 2006, anche se per il n. 17 è erroneamente indicata come fonte il documento Nuove vocazioni per una nuova Europa del 1998. Nonostante la possibilità di una consulenza o trattamento psicologico sia offerta a tutti i seminaristi, in particolare all'inizio del cammino, il carattere di eccezionalità sopra indicato per l'applicazione della psicologia impedisce l'attuazione di politiche di screening sistematico e generalizzato a tutti i candidati. Per la valutazione e diagnosi dei singoli casi può essere utile il protocollo diagnostico proposto p.es. da Plante e Boccaccini (1998),[8] e per l'analisi di tendenze sessuali Gould (2007)[9] e Songy (2007).[10]
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Voci correlate | |