Il libro nero del comunismo europeo

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Il libro nero del comunismo europeo
Titolo originale Du passé faisons table rase!{{{titolo originale}}}
Nazione bandiera Francia
Lingua originale francese
Autore autori vari
Datazione 2002
Numero di pagine 494
Genere saggio
Ambientazione Geografica Europa
Ambientazione Storica XX secolo

Il libro nero del comunismo europeo. Crimini, terrore, repressione fu pubblicato in I edizione nel marzo 2006 da Mondadori: il titolo originale in lingua francese è Du passé faisons table rase! che significa del passato facciam tabula rasa.

Autori

L'opera è a cura di Stéphane Courtois con il quale hanno collaborato gli storici Martin Malia, Mart Laar, Plamen Cvetkov, Ljubomir Ognjanov, Dinju Sarlanov, Romulus Rusan, Ilios Yannakakis, Dennis Deletant, Ehrhart Neubert, Stefan Maritiu, Gheorghe Onisoru, Marius Oprea, Stelian Tanase e studiosi quali Joachim Gauck, Aleksandr Jakovlev, Ehrhart Neubert, Philippe Baillet che non sono storici ma hanno competenze a vario titolo; la traduzione è di Alessandra Benabbi e Cristiana Spitali

Composizione dell'opera

Il libro è composto nel modo seguente:

  • prefazione
  • parte prima L'europa dopo il muro
  • capitolo I Del passato facciam tabula rasa! con le sezioni La morte del sistema comunista, Il mutamento del clima intellettuale, La rivoluzione documentale, La fine di un tabù, Del passato -comunista- facciam tabula rasa!, Il negazionismo comunista, L'impossibile <bilancio globalmente negativo>, La strumentalizzazione politica del <Libro nero>, <Le Monde>, tra storia del comunismo e memoria comunista, Gli abiti non troppo nuovi della storiografia comunista, Lo scarto tra l'ideale e la realtà del comunismo, La gloriosa memoria del comunismo nell'Europa occidentale, L'Europa dell'Est, malata di comunismo, Morte del comunismo e rinascita della civiltà europea. Numero di note: 272.
  • capitolo II La cecità volontaria nel regime comunista. Numero di note: 1.
  • capitolo III Il bolscevismo, malattia sociale del XX secolo
  • capitolo IV La pratica dell'atrocità. Numero di note: 9.
  • parte seconda All'Est
  • capitolo I L'Estonia e il comunismo con le sezioni La diffusione del marxismo in Estonia in epoca zarista, I comunisti estoni nella rivoluzione mondiale, La fine dell'indipendenza dell'Estonia, Il terrore rosso e la politica di genocidio, I comunisti al servizio dell'occupante, La russificazione, L'economia coloniale, Il richiamo all'ordine della società civile, Il crollo del regime d'occupazione. Numero di note: 212.
  • capitolo II La Bulgaria sotto il giogo comunista. Crimini, resistenze e repressioni con le sezioni Il contesto storico, L'ascesa al potere di un piccolo partito, Il partito comunista impone il monopolio staliniano, Dopo Stalin, Todor Zivkov!. Numero di note: 9.
  • capitolo III Il sistema repressivo comunista in Romania con le sezioni Il contesto storico, Alleati o forza di occupazione?, La deviazione della giustizia, Gli organi di repressione, Le punizioni, I metodi di <rieducazione>: il fenomeno Pitesti, La resistenza armata, La collettivizzazione, L'asservimento delle Chiese, L'imbavagliamento della cultura, Il risorgere della protesta. Numero di note: 143.
  • capitolo IV I crimini politici nella RDT con le sezioni La fuga dalla Storia, Comunismo sovietico e comunismo <tedesco>, La <liquidazione> della società e il tradimento, Repressione e violenza, fenomeni della rivoluzione permanente, Il 1990: l'apertura della Storia. Numero di note: 104.
  • parte terza All'Ovest
  • capitolo I Le vittime greche del comunismo con le sezioni La tragedia delle comunità greche in URSS, Perchè mi uccidi, compagno?, La repressione dei greci esiliati nell'Europa dell'Est. Numero di note: 33.
  • capitolo II Togliatti e la difficile eredità del comunismo italiano con le sezioni L'irresistibile ascesa di un vero leninista-stalinista, Togliatti liquidatore di comunisti, italiani e non, La guerra e l'atteggiamento di Togliatti di fronte alla sorte dei prigionieri italiani in URSS, La fine della guerra e una <pulizia etnica> dimenticata: le foibe, L'epurazione antifascista e il dopoguerra. Numero di note: 79.

Le note riportano una bibliografia notevole di storici e studiosi importanti, tra i quali figurano: Francois Furet, Robert Conquest, Nicolas Werth, Annie Kriegel, Ernst Nolte, Alain de Benoist, Horst Moller, Jacque Rossi, Victor Zaslavsky, Hannah Arendt, Gheorghe Boldur-Latescu, Anne Appelbaum, Arrigo Petacco, Gianni Oliva.

Questioni considerate

Prima parte

Nella prima parte gli autori considerano la fine e il fallimento del comunismo marxista in Europa valutando tutte le statistiche riguardanti la situazione economica e quella della repressione che ha provocato un numero impressionante di vittime uccise. Viene data importanza alla memoria storica e alla bibliografia che ricorda le vittime del comunismo stigmatizzando il negazionismo di taluni ancòra ideologicamente abbacinati dalla tesi marxista, che nel libro viene smontata e ridicolizzata. Citando i casi delle nazioni nelle quali la fine delle dittature non è stata traumatica si legge: Sarebbe tuttavia disastroso che la non traumatica uscita di scena del comunismo si concludesse con la pura e semplice cancellazione della memoria della tragedia, con l'oblio delle sue innumerevoli vittime e con l'occultamento degli altrettanto numerosi carnefici che, giorno dopo giorno, per decenni, hanno assicurato la sopravvivenza di quei regimi totalitari. Ma amnesia organizzata e amnistia strisciante sono diventate per interi gruppi una strategia volta a garantire l'impunità e al tempo stesso a difendere le posizioni acquisite nel settore politico e in quello economico. Nei paesi della <restaurazione> o della <riconversione>, il potere, che non è stato decomunistizzato, sembra infatti volere fare 'del passato -comunista- tabula rasa'. Non solo gli archivi non vengono aperti -o vengono richiusi- ma i latori della memoria della tragedia rischiano di essere oggetto di manovre intimidatorie, mentre i carnefici si godono il loro "buen retiro" nella più completa impunità.[1] Dopo si legge: I marxisti dell'inizio del XX secolo -russi e tedeschi in particolare- avevano una visione deformata della legge, della socializzazione dell'individuo, della costruzione di una società sana. Tutti i tentativi mirati alla creazione di una teoria dell'individuo erano, in realtà, solo la traduzione pratica di un'immane demagogia politica. Inoltre, come si può pensare di poter raggiungere il completo sviluppo dell'individuo, se la sua educazione è fondata sul concetto di classe? Un simile uso della nozione di classe nega, squalificandoli, fattori di integrazione sociale che hanno una funzione diretta nel preservare l'umanità dell'uomo, quali la morale universale, la religione e la famiglia.[2] Lo storico Martin Malia è autore del capitolo La pratica dell'atrocità, che è il titolo di un suo libro pubblicato nel 1999. Malia riferendosi a il libro nero del comunismo afferma: Un simile approccio fattuale ricolloca il comunismo in quella che, nonostante tutto, è la sua prospettiva umana fondamentale, considerando che esso è stato veramente <una tragedia di dimensioni planetarie> (per riprendere le parole dell'ispiratore francese dell'opera), con un numero totale di vittime che i vari coautori indicano comprese tra gli ottantacinque e i cento milioni. In un caso come nell'altro, il record comunista costituisce la più colossale carneficina politica della storia.[3] Dopo si legge: Dal canto loro, le èlite occidentali intellettualmente compromesse con il comunismo sono passate dal negazionismo militante al relativismo scettico e oggi ostentano un'amnesia di bassa lega che tende a fare tabula rasa del passato. Si capisce, quindi, che non abbiano alcun desiderio di vedere emergere la verità su questi regimi che hanno esse stesse contribuito a presentare per molto tempo come l'avvenire radioso dell'Umanità.[4]

Seconda parte

La seconda parte considera l'occupazione sovietica di Estonia, Bulgaria, Romania e RDT. Gli autori descrivono i metodi sovietici di repressione attuati con la complicità dei comunisti di tali nazioni e i movimenti di resistenza anticomunista.

Nel capitolo III nella sezione L'asservimento delle Chiese riguardo la repressione delle varie Chiese in Romania si descrive come tutti i culti religiosi furono di fatto resi illegali e considerati sovversivi contro lo Stato comunista. Gli storici riportano il parziale contenuto delle leggi comuniste rumene contro preti e fedeli dei vari credi confessionali. Infatti per secoli la Romania cristiana fu oggetto delle mire espansionistiche dell'impero ottomano e decine di guerre la opposero alla potenza musulmana con il pieno appoggio delle Chiese cristiane. Nel corso dei secoli la Chiesa ortodossa rumena e la Chiesa greco-cattolica rumena, definita “uniate” e radicata in Transilvania, ebbero un ruolo essenziale nell'identità e coesione nazionali. Dopo il 1945 le Chiese erano l'ultimo grande ostacolo per il potere comunista ma i rumeni non applicarono il metodo sovietico di repressione. I comunisti rumeni imposero una legge che stipendiava i preti sottomessi: il patriarca Nicodemo morì in modo sospetto il 28 febbraio 1948 sostituito dal patriarca Giustiniano. La legge sui culti religiosi del 4 agosto 1948 istituì il controllo totale del governo dittatoriale sulle Chiese; in tale legge l'articolo 13 stabiliva che il riconoscimento legale di un culto poteva essere revocato in qualsiasi momento e l'articolo 32 stabiliva che i sacerdoti esprimenti punti di vista antidemocratici potevano essere privati dello stipendio statale. Molte scuole private e pubbliche cristiane, associazioni, chiese, monasteri furono chiusi e si proibirono le celebrazioni pubbliche religiose, comprese quelle più partecipate di Natale e Pasqua. Inoltre la legge mise l'elezione dei vescovi ortodossi sotto il totale controllo dello Stato comunista e impose alla Chiesa ortodossa un nuovo statuto per poterla controllare: allora si contavano 10,5 milioni di fedeli ortodossi su 15,9 milioni di abitanti. La Chiesa Cattolica Romana e greco-cattolica uniate con i loro vescovi diedero prova di grande dignità, coraggio e fedeltà al loro credo: il 17 luglio 1948 fu denunciato il concordato con il Vaticano mettendo nei fatti fuori legge il culto cattolico e nell'autunno 1948 la Chiesa uniate fu dichiarata illegale quando contava un milione e mezzo di fedeli con 1725 chiese per celebrare messa. Inoltre contro rabbini e fedeli ebrei furono vietati i loro riti religiosi e le sinagoghe vennero quasi tutte chiuse. [5]

Terza parte

La terza parte è dedicata ai crimini commessi da comunisti greci e italiani con focalizzazione su Palmiro Togliatti. Nella sezione La fine della guerra e una <pulizia etnica> dimenticata: le foibe, dopo aver descritto l'italianizzazione forzata delle zone popolate da sloveni e croati, l'autore Philippe Baillet afferma: Ma nulla di tutto ciò può giustificare gli abominevoli massacri perpetrati dai partigiani titoisti, deliberatamente commessi per terrorizzare la popolazione italiana, provocarne l'esodo e condurre così a buon fine quella che merita di essere definita un'<epurazione etnica>. Dopo si legge: Tutte le testimonianze relative a questi massacri -che, interrotti nel settembre-ottobre 1943 a causa dell'occupazione della regione da parte delle truppe tedesche, ripresero a pieno ritmo e su più vasta scala, dal 1º maggio al 15 giugno 1945 - concordano sull'indicibile barbarie degli atti che furono commessi, i quali ricordano più le <imprese> dei serial killer che non le atrocità inevitabili in qualsiasi conflitto ideologico. Le vittime, essenzialmente membri dell'élite sociale e della classe media, venivano arrestate di notte. Si legavano loro le mani con il fil di ferro, quindi le si conduceva sull'orlo delle voragini, non senza averle sottoposte alle più ignobili sevizie. Prima di essere gettate nel baratro, le donne erano sistematicamente violentate, mentre gli uomini venivano talvolta svuotati delle viscere ed evirati. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le vittime, legate le une alle altre, erano uccise in questo modo: si spingeva la prima nel baratro che cadeva trascinandosi dietro le altre.[6]

Stime di vittime

Italia

Gli storici descrivono l'eccidio di Porzus dei ventidue combattenti della brigata Osoppo e riportano i dati del libro Foibe. Le stragi negate della Venezia Giulia e dell'Istria dello storico Gianni Oliva che calcola 10.137 vittime trucidate nei massacri delle foibe.[7]

Germania est

Nel capitolo III si legge: Tra i crimini comunisti che assunsero la forza di una distruzione di massa bisogna contare i dieci campi d'internamento che la NKVD aprì nel 1945, tre dei quali continuarono a esistere fino al 1950. Per due di essi vennero utilizzati degli ex campi di concentramento nazisti. La loro esistenza fu sistematicamente occultata in RDT fino al 1989 e solo nel 1990 incominciarono a emergere le prime informazioni su di essi: <Alcuni documenti di archivio sovietici provano che, nei campi in questione-che furono attivi dal 1945 al 1959 - furono rinchiusi 122.671 tedeschi, 45.262 dei quali vennero subito rilasciati. 14.202 detenuti vennero consegnati al ministero dell'Interno della RDT. 12.770 persone furono trasferite in U.R.S.S. e 6.680 condotte nei campi destinati ai prigionieri di guerra. Duecentododici detenuti riuscirono a fuggire. Durante tutto questo periodo, secondo i dati disponibili, 42.889 persone morirono di malattia, soprattutto tra il 1945 e 1947. Un tribunale militare condannò a morte 736 detenuti. Non è stata trovata negli archivi alcuna indicazione riguardante i luoghi d'inumazione>. Nel 1993 si è parlato di un massimo di 234.300 detenuti e di 105.500 morti, cifre che non tengono tuttavia conto di quanti morirono, non appena liberati, per i postumi della detenzione né di coloro che, deportati in U.R.S.S., non fecero mai più ritorno.[8]

Note
  1. pagina 35
  2. pagina 155
  3. pagina 168
  4. pagina 291
  5. pagine 335-338
  6. pagine 440-441
  7. pagine 441-442
  8. pagina 387