Ipogeo di via Livenza (Roma)
Ipogeo di via Livenza | |
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Ambito romano, Diana cacciatrice e due cervi (seconda metà del IV secolo), affresco | |
Collocazione storica | Impero romano |
Civiltà | Romana Cristiana |
Oggetto generico | Struttura per il culto |
Oggetto specifico | Luogo di culto sotterraneo |
Scopritore | Roberto Paribeni |
Data scoperta | 1923 |
Datazione | seconda metà del IV secolo |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Regione | Lazio |
Provincia | Roma |
Comune | Roma |
Diocesi | Diocesi di Roma Vicariatus Urbis |
Dimensioni | |
Larghezza | 7 m |
Lunghezza | 21 m |
Amministrazione | |
Ente | Sovraintendenza Capitolina ai Beni Culturali |
Indirizzo | Via Livenza, 4 - 00198 Roma (RM) |
Telefono | +39 06 0608 |
Posta elettronica | sovraintendenza@comune.roma.it info@060608.it |
Sito web | sito web ufficiale |
Note | |
Visita su prenotazione per piccoli gruppi accompagnati. | |
Coordinate geografiche | |
Roma | |
L'Ipogeo di via Livenza è un complesso cultuale sotterraneo, situato a Roma, posto lungo la via omonima, nelle vicinanze della via Salaria Vetus, nel moderno quartiere Pinciano.
Storia
Nel 1923 durante gli scavi per la costruzione di una palazzina, tra via Livenza e via Po, a circa 250 mt. dalle Mura Aureliane, venne scoperto dall'archeologo Roberto Paribeni un ipogeo in parte danneggiato dalle strutture moderne: attualmente si conserva solo una piccola porzione trapezoidale del lato settentrionale.
Descrizione
Struttura architettonica
Originariamente l'ipogeo presentava una pianta circiforme o basilicale (21 x 7 metri), orientata in direzione nord-sud, con il lato corto meridionale absidato e con accessi che immettevano in ambienti laterali. L'aula, costruita in opus vittatum, era distinta in due ambienti che, separati da due gradini in travertino inquadrati da pilastri in muratura, venivano a trovarsi su piani diversi.
Al complesso si accede tramite una scala che conserva ancora gran parte dei gradini originari. Nella parete settentrionale è articolata in tre archi adiacenti: i due laterali, minori rispetto a quello centrale, davano l'accesso l'uno (quello Nord-Ovest) alla scala, l'altro (quello Nord-Est) ad un piccolo vano che immetteva in un secondo ambiente oggi perduto.
Sotto l'arco centrale, in posizione leggermente obliqua, è collocata una profonda vasca rettangolare (lunghezza: 2,90 m; larghezza: 1,70 m; profondità: 2,50 m), foderata in cocciopesto, separata dal resto dell'aula da una transenna marmorea traforata, di recente ricostruzione. Si poteva scendere nella vasca grazie a tre gradini alti ed irregolari. Essa era alimentata da un tubo posto sul muro settentrionale che riempiva la vasca solo fino a metà, mentre lo scarico dell'acqua avveniva tramite un fognolo visibile sopra il primo gradino e un'apertura a saracinesca, sulla parete occidentale.
Impianto decorativo
Al di sopra della vasca è un muro che si apre in un arco; questo e i muri laterali erano ricoperti da una ricca decorazione ad affresco nello zoccolo ed a mosaico nella parte superiore. Gran parte del mosaico è andato perduto: si conserva solo un frammento sulla parete sinistra, con una fascia policroma in alto e i resti di un'interessante scena che raffigura: due personaggi, il primo vestito con una corta tunica è inginocchiato nell'atto di bere da una sorgente che sgorga da una rupe, alle sue spalle il secondo, vestito con tunica e sandali, incede verso sinistra: alcuni studiosi ritengono che si tratti di:
- San Pietro che fa scaturire l'acqua da una roccia per battezzare il centurione convertito.
Al centro dell'arcone era posta un'iscrizione in mosaico, quasi totalmente scomparsa. Lo zoccolo è decorato ad affresco da:
- Eroti pescatori: le figure degli amorini sono disposti su piani diversi: in alto a sinistra ne sono raffigurati tre, uno seduto e due in piedi, nell'atto di gettare le reti da una piccola barca, mentre sulla destra un altro nuota aggrappato al collo di un cigno dalle ali spiegate. Nella parte inferiore sono rappresentati altri due eroti, ambedue nell'atto di pescare, uno accovacciato su uno scoglio, l'altro mentre tira la lenza. Alcune anatre, raffigurate sugli scogli, completano il dipinto.
Nella parete di fondo si apre una nicchia, sfalsata rispetto all'asse dell'ipogeo, decorata ad affresco con riquadri a finto marmo (porfido e giallo antico), e nel catino presenta:
- Kantharos[1] da cui zampilla acqua e sul quale si posano due colombe.
Ai lati di questa nicchia, si trovano le decorazioni più importanti, ambientate in un paesaggio verde con alberi e cespugli:
- a sinistra, Diana cacciatrice estrae una freccia dalla faretra e due cervi che fuggono ai lati: la dea ha il capo ornato da un diadema con corona di lauro, veste un corto chitone purpureo ed indossa alte calzature da campagna bianche con lacci rossi. Sullo sfondo è rappresentato un paesaggio silvestre di alberi ed arbusti. La pittura è caratterizzata dalla simmetria e dalla ricerca di approfondimento spaziale, accompagnata da una tecnica chiaroscurale piuttosto marcata.
- a destra, Ninfa accarezza un capriolo: la figura mitologica è vestita con un corto chitone purpurea e con il capo ornato da un diadema aureo. La donna, con la faretra sulle spalle, è raffigurata stante, appoggiata con il braccio sinistro ad un'asta, mentre con la mano destra accarezza il muso dell'animale. La scena presenta uno sfondo analogo al precedente, reso con la stessa tecnica impressionistica a macchia.
Datazione
Gli studiosi sono concordi nel datare l'ipogeo alla seconda metà del IV secolo, sia per la tecnica edilizia in opus listatum, sia per la presenza di un bollo con il monogramma di Costantino, rinvenuto nel pavimento della vasca, che costituisce un importante terminus post quem. L'edificio si inquadra, infatti, in un periodo caratterizzato da un contesto sociale in cui elementi cristiani e romani coesistono in un sincretismo culturale, che si riflette nelle arti figurative.
Funzione
Il monumento si inserisce in una vasta area funeraria (compresa tra le Mura Aureliane e la via Salaria, utilizzata soprattutto tra la fine dell'età repubblicana e l'età dei Flavi), ma la sua destinazione ad uso sepolcrale è sicuramente da scartare.
Roberto Paribeni, che svolse i primi scavi sistematici dell'ipogeo, ipotizzò, evidenziando la presenza della vasca, che si potesse trattare di un santuario destinato al culto misterico, di origine greca, dei Baptai che venerava la dea tracia Cotys, a volte identificata con Artemide (Diana), che praticava, durante le cerimonie sacre, un bagno rituale in acqua. La struttura dell'edificio a pianta basilicale, l'interpretazione dei dipinti ed ancora l'esistenza della vasca, contrariamente hanno portato Joseph Wilpert a pensare che l'edificio potesse essere adibito a battistero e più precisamente, con ipotesi ardita, il battistero ricordato nella Passio Marcelli:
« | Ad nynphas Beati Petri, ubi Petrus baptizavit. » |
Lo studioso lesse nella scena musiva superstite la rappresentazione del miracolo della fonte operato dal Mosè-san Pietro ed interpretò in senso simbolico le pitture: Diana rappresenterebbe la religione romana che scaccia i fedeli contrapposta alla ninfa, raffigurante il cristianesimo, che attira le anime alla conversione. Mentre, secondo una recente interpretazione si tratterebbe solo di una fontana monumentale.
Note | |
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Bibliografia | |
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Voci correlate | |
Collegamenti esterni | |
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